Volevano entrambi fare la loro rivoluzione, ovviamente senza spargimento di sangue. Chi in un senso, chi in un altro, ma spesso coincidenti. Non sono riusciti a farla e oggi si ritrovano con pochissime carte da giocare. Uno sta al governo, ha i suoi ministri, ma alle elezioni è andato male e nei sondaggi di queste settimane peggio. L’altro sta all’opposizione, non ha accettato alcun accordo politico-elettorale col Pd e tutti – ma proprio tutti gli opinionisti, i politici, i commentatori – lo giudicavano morto e sepolto. Invece è vivo e vegeto, ha ottenuto il 15 per cento dei voti e nelle ultime rilevazioni demoscopiche ha addirittura superato il Partito democratico.
Come avrete già capito siamo parlando della Lega e dei Cinquestelle, due forze politiche populiste, una pure sovranista, ma che al momento non sembrano in grado di cambiare il corso della storia, o almeno quello della cronaca politica. Potevano farlo nel 2018 quando si sono inopinatamente alleate per governare, ma com’era ovvio quel governo non ha retto più di un anno e mezzo: troppo diversi i due partiti, troppo ambiziosi i due leader, troppo pretenziose le loro richieste e la loro smania di protagonismo. E infatti grazie alla follia estiva di Salvini (“voglio i pieni poteri”) quel governo cadde. E non ebbe fortuna neanche quello che seguì, ovvero quello tra Cinquestelle e Pd: grazie alla follia invernale di Renzi (“basta con Conte, voglio Draghi a palazzo Chigi”) anche quel governo cadde. E pensare che avrebbe potuto essere la premessa per un nuovo centrosinistra, quel campo largo di cui ha parlato per mesi il segretario democratico Enrico Letta. Ma era proprio questa la prospettiva che Renzi voleva scongiurare.
Questo però è il passato, il presente invece ci mostra un Salvini in grande difficoltà politica ed elettorale: piazze vuote e urne pure, parafrasando Pietro Nenni. E soprattutto non più amato dal suo gruppo dirigente del nord e dai suoi (ex) elettori. Certo, può attaccarsi al governo come ancora di salvezza, può usare il suo Ministero e quello della sua controfigura Piantedosi per dimostrare che la Lega è viva e che salverà l’Italia dall’invasione degli ultracorpi (i migranti). Ma non ci riuscirà, troppi errori ha fatto e troppe promesse (la flat tax per dirne una) non ha mantenuto: prima o poi il suo Partito dovrà prendere atto che Salvini non funziona più come leader. Ne dovranno trovare un altro, chi al momento non si sa. Anche perché un altro segretario che sappia parlare alla cosiddetta pancia del paese non si vede all’orizzonte, ammesso che sia questa oggi la strada giusta per riguadagnare il terreno perduto. Forse, chissà, sarebbe ora di parlare al cervello invece che alla pancia (e qualcuno come Zaia e Fedriga ci sta provando), ma il cervello ha bisogno di proposte intelligenti e soprattutto da poter praticare in tempi brevi. Anche qui il buio regna sovrano.
Buio che, malgrado i risultati elettorali e i sondaggi positivi, regna pure sul mondo di Conte. La domanda è semplice: che farà da grande l’ex premier? Al momento non si sente ancora abbastanza cresciuto per prendere una decisione in merito, ma una volta che il Pd avrà concluso il suo congresso infinito e avrà scelto un o una leader, ecco che il Capo dei Cinquestelle dovrà sciogliere il dilemma: dove stare, con chi stare e soprattutto per fare che cosa. La logica direbbe che Cinquestelle e Pd sono condannati, prima o poi, ad allearsi, essendo le cose che li uniscono – la questione sociale per esempio – più di quelle che li dividono. Tuttavia la strada è ancora lunga, e dipenderà anche da chi diventerà leader del Partito democratico. Se cioè sarà qualcuno che guarda a Conte o invece pensa a fantomatiche larghe intese nel caso la coalizione della Meloni non reggesse alla prova del governo. Ma anche Conte dovrà fare un ragionamento politico – se ne è capace – ovvero decidere se il suo Movimento debba restare quel coacervo di protesta demagogica e populismo ormai arcaico, lasciando perdere qualsiasi velleità di tornare al governo, oppure se si renderà disponibile a mediazioni e compromessi con il Pd per poter avere qualche chance di vincere le prossime elezioni, tra cinque anni o anche prima.
Insomma, si tratta di due leader – Salvini e Conte – uniti dalla stessa questione: la scelta. Il primo dovrà decidere se continuare nella sua politica, anzi nella sua propaganda che nel giro di qualche mese lo condannerà all’irrilevanza, con probabile perdita del posto di lavoro. Il secondo, potrebbe trasformare il suo Movimento in qualcosa di utile al Paese (e a sé stesso) oppure metterlo in un angolo di opposizione perenne, tanto aggressiva quanto inutile.
Riccardo Barenghi