di Paolo Cannavò *
Tra i nodi da sciogliere per innovare il mondo del lavoro in Italia, sono sempre più evidenti:i nuovi modelli di rappresentanza degli interlocutori sindacali e sociali e il riconoscimento reale e definitivo del Dialogo Sociale Europeo (DSE) attraverso l’introduzione condivisa e “alla luce del sole” dei suoi strumenti e delle sue procedure nelle relazioni istituzionali, sociali e produttive.
In effetti le principali attività delle organizzazioni che in Italia associano gli appartenenti a categorie culturali o professionali o produttive, sembrano riconducibili ancora oggi a: scopi difensivi, in continuità con le tradizioni; erogazione di servizi, specifici per gli associati; esercizio della rappresentanza verso le Istituzioni e il “sociale”. Si possono distinguere, così, almeno tre posIzionamenti: statico (mantenere invariato il proprio stato conuna gamma di performance molto limitata); adattivo (migliorare/integrare nel tempo le performance); dinamico (selezionare e implementare con continuità le performance per aumentare la propria autorevolezza). Comunque le finalità tendono a convergere su: uniformità del valore degli iscritti; senso di appartenenza; capacità di “ascolto” e “interpretazione” della realtà.
Quanto è sotto gli occhi di tutti mostra che la maggior parte delle organizzazioni di rappresentanza che agiscono nel mondo del lavoro si caratterizzano con: attività fondanti di tipo difensivo, posizionamento prevalentemente statico, finalità circoscritte all’uniformità e al senso di appartenenza degli iscritti; tutte, peraltro conoscono la crisi della rappresentanza. La situazione è “fotografata” dalla ricerca Censis “I valori degli italiani 2013” pubblicata da Marsilio, in particolare quando si afferma che la dimensione “verticale” delle classi dirigenti ‘diverge sempre più da quella orizzontale, quella dell’uomo comune che deve quotidianamente “tirare avanti” ‘, o che il 67,1% degli italiani ritiene che nessuno sia in grado di rappresentarli o ancora che solo il 3,5% del campione intervistato riconosce ai sindacati la capacità di esprimere meglio di altre organizzazioni la funzione di rappresentanza.
Sempre in Italia, il Dlgs 113/2012 di attuazione della Direttiva 2009/38/CE, pubblicato sulla gazzetta ufficiale 174/2012, entrato in vigore dal giorno 11 agosto 2012, prevede l’istituzione di Comitati Europei di impresa CEE/EWC – notoriamente il primo livello del DSE – nelle imprese di dimensioni comunitarie o in gruppi di imprese comunitarie. Questo attribuisce un’ampia responsabilità alle rappresentanze delle aziende e dei lavoratori, ma anche alle singole aziende e a ogni singolo lavoratore.
Se poi si passa al livello generalista del DSE, la crisi economica ha visto importanti ed efficaci accordi nazionali di tipo intersettoriale originati dalla logica e dalle Direttive DSE, nei quali le parti sociali hanno messo a punto strategie condivise ma articolate caso per caso su alcuni item come: pressione fiscale, livelli retributivi, potere di acquisto, competitività, assistenza sociale, occupazione part time, mobilità, politiche attive del lavoro, contratti di solidarietà. Questo è avvenuto – tra l’altro – in Belgio, Bulgaria, Estonia, Francia, Germania, Polonia, Repubblica Ceca, ma non è potuto avvenire in Italia.
Infatti la differenza sostanziale tra la realtà europea e quella nazionale sembra identificabile nel fatto che il DSE è un sistema che nella prima realtà porta a risultati concreti, e quindi è riconosciuto e ritenuto utile, mentre nella seconda le parti sociali hanno cercato di mantenere in vita, fino alle più recenti posizioni del governo Renzi, gli schemi tradizionali e i riti della “concertazione” che – tra l’altro – non ha criteri formalmente definiti né prassi consolidate riconosciute da tutti. Oggi, e ancora una volta in Italia, non si conosce neppure l’attività dei CAE/EWC – base del modello sindacale partecipativo e non conflittuale nel quale si distingue la nota governante Wolksvagen – già istituiti in più di 40 importanti gruppi imprenditoriali a base italiana , tra i quali Autogrill, Barilla, Bormioli, Eni, Ferrero, Italcementi, Marzotto, Marazzi, Prysmian.
Va sottolineato, inoltre, come le decisioni prese nello spirito e con i metodi del DSE negli altri paesi appena ricordati hanno avuto anche il vantaggio di ripercuotersi positivamente nell’intero contesto economico europeo e quindi possono “godere” dei benefici di questo sistema, mentre le soluzioni estemporanee e autoctone del contesto italiano – nell’incredibile perdurare anche dell’assenza di una legge sulla rappresentanze, ben risolta recentemente in Francia, Spagna e Regno Unito – ripiegano su se stesse e limitano il collegamento con il “sistema Europa” alle percentuali di utilizzazione dei fondi comunitari.
Come valutare, a questo punto, il fatto paradossale che tutte le rappresentanze italiane attive nel contesto della domanda o dell’offerta di lavoro trascurano o dimenticano il DSE nel nostro paese, ma sono efficaci e dialoganti negli organismi europei del DSE generalista e settoriale?
La stessa posizione nazionale del semestre europeo appena concluso – esplicitamente favorevole al DSE – non è riuscita ad affermarlo in Italia, privando probabilmente il nostro contesto economico di un importante fattore competitivo che invece ha consentito in altre nazioni anche di mettere in campo soluzioni condivise tra datori di lavoro e lavoratori per il superamento dei passaggi della “crisi”.Anche per questo la crisi occupazionale dei giovani e degli over 40-50 resta chiusa nell’orizzonte limitato del contesto nazionale, senza riuscire da un lato ad accedere anche al mercato del lavoro comunitario, dall’altro a contestualizzare i valori del merito: responsabilità, innovazione, legalità e cambiamento.
La cronaca porta a segnalare qualche novità nella capitale. Infatti a Roma, a marzo 2014, l‘AISLO- Associazione Italiana di studio del lavoro per lo sviluppo organizzativo’ ha promosso la prima iniziativa specifica in materia di DSE: il Convegno “Dialogo Sociale Europeo, forza di modernizzazione e cambiamento”. Sempre a Roma,a novembre dello stesso anno, si è tenuto, presso il Cnel il 4° tavolo di lavoro nazionale “Fse 2014-2020. Gli orientamenti della nuova programmazione”, la cui head-line era“Dialogo sociale e governance del Fse: un fattore inaggirabile nel panorama italiano ed europeo”;si tratta di attività avviate nel dicembre 2011 da Fondazione Censis, Forum Pa e Associazione Nuovilavori, per terminare entro il 2015.
Comunque persiste la disattenzione dei maggiori media e delle parti sociali verso il DSE, che sembra sempre di più necessario al paese. Chi potrà dare l’impulso risolutivo? Si alimenta il sospetto che tra i maggiori ostacoli per promuoverlo e affermarlo sia presente anche l’aspirazione a mantenere inalterato il protagonismo politico di alcuni vertici delle stesse parti sociali.
(*) Presidente FECC
Federazione Europea dei Manager delle Costruzioni
aderente a CEC ConféderationEuropéennedesCadres


























