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Home - Blog - La tavolozza della politica italiana: dal giallo-verde al giallo-rosso

La tavolozza della politica italiana: dal giallo-verde al giallo-rosso

di Tommaso Nutarelli
2 Settembre 2019
in Blog
La tavolozza della politica italiana: dal giallo-verde al giallo-rosso

Se potessimo analizzare e misurare lo stato di salute della politica italiana sulla semplice scorta di un approccio cromatico, la situazione potrebbe non sembrare così fosca e confusa. Infatti, i colori che in questi giorni hanno più colpito la sensibilità politica degli italiani riescono tutti a evocare immagini e sensazioni positive: il giallo del sole, il verde dei prati e il rosso della passione. Più defilato c’è anche l’azzurro di una parte del centro-destra.

Ma dietro a questa patina pastello e bucolica si celano dinamiche e scenari forse meno confortanti. Gli ultimi sviluppi stanno confermando tutti quelli che hanno sostenuto l’esistenza di una certa affinità tra Pd e 5 Stelle, e che l’alleanza con la Lega fosse solo un incidente di percorso, o il frutto di contesto politico che, dopo le elezioni del marzo 2018, non poteva avere altro esito.

Un’affinità, quella tra le due forze, molto sopita e tenuta ben nascosta come un parente scomodo. Gli attacchi continui e ripetuti dei pentastellati al Pd a guida Renzi, senza dimenticare gli appellativi poco cortesi, partito di Bibbiano, partito mafioso, pdiota, facevano pensare a un’inimicizia mortale tra i due. Alle piazze Grillo parlava del Pd come uno di quegli interpreti dell’ancien regime che sarebbe stato abbattuto dallo tsunami a cinque stelle.

Eppure proprio in questi giorni il profeta del Movimento ha salutato il possibile accordo con il centro-sinistra come l’alba di un vero e proprio cambiamento. Eppure gli stessi toni entusiasti Grillo li aveva usati quando era nato il governo giallo-verde.

Ma anche il Pd non è esente dalle proprie responsabilità. Se i 5 Stelle hanno rappresentato il maggior pericolo per la democrazia rappresentativa e parlamentare, e una sciagura per l’economia e il lavoro di questo paese, come si può voler stringere ora un’alleanza con loro?

Sicuramente Zingaretti ha imposto una strada diverse al Partito Democratico, così come ha prestato più attenzione a quelle sirene che gli sussurravano di cercare una sponda, un punto di dialogo con i pentastellati, che in fondo non erano altro che povere pecorelle traviate dal Lucignolo di turno (Salvini), e che la mano del buon pastore le avrebbe riportate sicuramente sulla retta via.

Eppure i due streaming, prima con Bersani e poi con Renzi – interlocutori molto diversi non solo nella visione politica ma anche nel temperamento – avrebbero dovuto insegnare qualcosa. Certo il cambio di uomini al vertice potrebbe, in parte, giustificare i dialoghi con il Movimento, ma la distanza da colmare rimane ancora ampia.

Nelle trattive di questi giorni, Zingaretti e i suoi hanno più volte ribadito la necessità di segnare una cesura con il precedente governo. Ma per quale motivo una forza politica che ha votato i due decreti sicurezza dovrebbe ora disconoscerli? Vorrebbe dire rinnegare il lavoro fatto in questo anno. E se dovessero nuovamente allearsi con la Lega li rivoterebbero?

Per il Pd un altro segno di svolta sarebbe quello di riaffermare, con forza, la vocazione europeista dell’Italia. Ma lo sta chiedendo a un soggetto che ha appoggiato apertamente la rivolta dei gilet gialli, che ha strizzato l’occhio a Farage, che non ha mancato occasione di gridare al complotto ordito nei palazzi di Bruxelles.

Così anche delle divergenze dovrebbe esserci sulla visione e sul ruolo delle istituzioni. Come può allearsi chi dai banchi dell’opposizione ha sempre affermato la centralità del parlamento con chi, invece, ne ha più volte auspicato un suo superamento? Come può allearsi chi durante le primarie riesce a mobilitare nei gazebo milioni di persone, con chi raccoglie qualche migliaio di iscritti su una piattaforma privata on-line?

La parte più assurda di tutta questa vicenda è che il castello di carte costruito in questi giorni potrebbe andare in frantumi se la base del Movimento dovesse manifestare su Rousseau un parere negativo. Che cosa faranno allora Casaleggio & co? Sceglieranno la via dura e pura della democrazia diretta, oppure faranno orecchi da mercante alla rete, della serie le decisioni importanti le prendono gli adulti?

Insomma una possibile alleanza Pd-5 Stelle resterebbe un’alchimia misteriosa, una delle tante incognite della nostra politica. O il frutto di un trasformismo radicale e inaspettato della prassi dei due partiti. Che forse il Pd sia affetto da una grave miopia nella scelta del partner? O che gli istinti di autolesionismo abbiamo ormai raggiunto picchi incontrovertibili? Ma a tutto dovrebbe esserci un limite.

In questa giostra cromatica, fatta di sali e scendi, a chi dovrebbe importare se la nostra crescita è vicina allo zero e che nell’arco di trent’anni ci saranno più pensionati che lavoratori, e che tutto questo carosello rischia così di implodere? A chi importa in fondo? Alle fine i colori pastello mettono allegria a tutti.

Tommaso Nutarelli

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Tommaso Nutarelli

Tommaso Nutarelli

Giornalista de Il diario del lavoro.

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