di Andrea Bellini – assegnista di ricerca, Dispo, Università di Firenze & Labo.R.I.S., Polo universitario di Prato
(Il testo dell’accordo)
Il settore del legno e arredamento è da sempre uno dei più rappresentativi del Made in Italy. Con tutto ciò che questo comporta, nel bene e nel male. Tradizionalmente votato all’export, esso è infatti tra i settori più esposti alle pressioni della concorrenza internazionale. Tra il 2003 e il 2006, il settore nel suo complesso ha fatto registrare un fatturato alla produzione oscillante tra i 37 e i 38 miliardi di euro, con un saldo commerciale pur positivo ma in costante calo, a causa di un aumento delle importazioni che la crescita delle esportazioni non è riuscita a controbilanciare. La situazione è, tuttavia, assai differenziata a seconda del comparto produttivo e del contesto territoriale. L’industria del legno è, indubbiamente, quella che ha subito maggiormente gli effetti di una congiuntura negativa, determinata dall’aumento del prezzo delle materie prime legnose, dalla caduta della domanda dei due paesi europei che contribuivano in misura maggiore alle esportazioni, la Germania e il Regno Unito, e dalla contrazione del mercato statunitense dovuta al deprezzamento del dollaro. L’industria del mobile e dell’arredamento, al contrario, ha evidenziato un andamento tutto sommato positivo, per quanto la crescita tendenziale delle importazioni riveli una “progressiva permeabilità” rispetto ai prodotti provenienti dai paesi emergenti, soprattutto Cina e Romania [1]. La competitività del settore nello scenario mondiale rimane, comunque, elevata, grazie anche all’apertura di nuovi mercati – ad esempio, gli Emirati Arabi Uniti – caratterizzati dalla domanda di prodotti di alta qualità.
Una certa disomogeneità nei risultati emerge, tuttavia, anche tra i diversi sistemi produttivi regionali e tra i distretti industriali. Gli effetti del rallentamento della crescita economica a livello nazionale si sono fatti sentire anche sul Friuli V.G., regione fortemente orientata all’export in virtù della qualità dei suoi prodotti. Con tutto ciò, il Distretto del mobile di Pordenone [2], il quale si contraddistingue per la maggiore concentrazione di settore in Italia – circa mille imprese che coprono più o meno tutte le fasi della catena produttiva – si presenta a tutt’oggi in uno stato di buona salute. Il suo successo è legato principalmente alla capacità di diversificazione e di innovazione dei prodotti, che lo colloca in un segmento di mercato di fascia alta, terreno sul quale la Cina non è in grado di competere. Allo stesso tempo, però, costringe le imprese ad un molteplice impegno nel mantenimento della qualità, nel contenimento dei costi di produzione e nella ricerca di nuovi mercati. A tal proposito, il distretto trova un sostegno concreto in una lunga tradizione di relazioni industriali e contrattazione a livello di area, la quale ha consentito la costruzione di un clima favorevole allo sviluppo.
L’accordo integrativo sottoscritto il 5 novembre 2004 dall’Unione Industriali della Provincia di Pordenone e dalle Segreterie provinciali di Fillea-Cgil, Filca-Cisl e Feneal-Uil si inserisce in questo contesto. Con esso, in effetti, le parti sociali ribadiscono, innanzitutto, la volontà di andare nella direzione di un sistema “partecipativo” di relazioni industriali, nella convinzione che ciò possa favorire la creazione delle condizioni necessarie per affrontare la sfida della competitività. In secondo luogo, esse confermano la scelta di investire fortemente nel premio di risultato, evidentemente ritenuto uno strumento efficace al fine di garantire al contempo il mantenimento di standard di produzione elevati e il coinvolgimento dei lavoratori, vale a dire uno sviluppo socialmente condiviso.
L’accordo conferma, nella sostanza, il Premio Globale di Risultato (PGR) istituito nel 1996 in conformità con quanto previsto dall’Accordo interconfederale del 23 luglio 1993. Questo consiste in un premio fisso a obiettivi, applicato esclusivamente su base aziendale. Il testo ne individua i parametri di riferimento – si tratta degli indici di partecipazione, qualità, redditività, produttività e organizzazione – e determina le modalità di calcolo di ciascun indice. In particolare, introduce nuove formule per i due indici di partecipazione, collegati all’andamento infortunistico (A) e all’assenteismo (B), il cui elevato utilizzo avrebbe potuto erodere progressivamente le possibilità di miglioramento del dato. Dispone, poi, che nell’utilizzo degli indici di qualità, collegati alla soddisfazione del cliente (C) e ai costi interni causati da problemi qualitativi (D), le aziende attivino sistemi di controllo e misurazione a fini di trasparenza e uniformità.
È stabilito che le aziende debbano scegliere almeno tre tra i dieci parametri indicati, fermo restando che il totale delle relative percentuali sul valore del PGR siano sempre pari a 100. Le aziende sono, quindi, tenute a comunicare i parametri da adottare entro il 28 febbraio di ogni anno, provvedendo a illustrare alle Rsu (o, in assenza di esse, dandone comunicazione diretta ai lavoratori) i motivi che hanno determinato la scelta.
L’erogazione del premio è estesa a tutti i lavoratori in forza all’azienda al 30 giugno dell’anno successivo a quello di riferimento, compresi quelli che tra il 1° gennaio e il 29 giugno risolvano il rapporto di lavoro per accedere al pensionamento e i part-time in proporzione all’orario svolto. L’importo annuo lordo è, a regime nel 2007, pari a 1.240 euro.
Una novità importante, poiché introduce l’elemento della bilateralità, fondamentale per lo sviluppo di un sistema partecipativo di relazioni industriali, è costituita dall’istituzione di un Comitato paritetico formato da tre rappresentanti per ciascuna delle parti stipulanti l’accordo. In concreto, esso ha il compito di monitorare l’andamento del PGR e di esprimere valutazioni condivise in merito all’applicazione dell’accordo.
Tirando le somme, l’accordo in oggetto si presenta come un caso rappresentativo di un modello di contrattazione locale innegabilmente coerente con le caratteristiche del tessuto produttivo del distretto. Le scarse informazioni disponibili sulla diffusione e sui contenuti della contrattazione territoriale, che peraltro costituisce una pratica scarsamente utilizzata nel contesto italiano, non permettono di svolgere analisi comparative elaborate. Ciò nondimeno, facendo riferimento ai dati dell’Archivio Cnel [3], è possibile affermare con certezza che l’accordo è in linea con le recenti tendenze negoziali. Esso si concentra, infatti, sulla parte economica e, in particolare, sulla “contrattazione acquisitiva” legata ai premi di risultato. Accenna, inoltre, alla volontà delle parti di andare verso un modello partecipativo di relazioni sindacali e introduce l’elemento della bilateralità. Quanto al PGR, esso sembra essere ben congegnato, uno strumento flessibile in grado di rispondere alle esigenze specifiche delle aziende e che non rischia di penalizzare le imprese più deboli. È previsto, tra l’altro, che le aziende in “oggettive” difficoltà economico-finanziarie possano non applicare l’accordo in relazione all’anno di riferimento. In più, onde evitare un eccessivo aggravio per le imprese, l’accordo stesso esclude la possibilità di condurre la contrattazione integrativa del salario a livello di azienda. Insomma, si tratta di un accordo a dimensione di distretto, che non pone troppi vincoli alle imprese, ma si mostra anzi esile e flessibile. Permette inoltre, è bene ricordarlo, di adempiere alla funzione primaria della contrattazione territoriale, che è quella di raggiungere i lavoratori che non hanno accordi aziendali.
[1] È quanto emerge dall’analisi svolta da Confindustria nel Rapporto sull’Industria Italiana del 2005, su dati di fonte Federlegno-Arredo e Istat.
[2] Esso è stato istituito dalla Regione Friuli V.G. con delibera n. 457/2000, conforme alla Legge Regionale 27/1999, “Per lo sviluppo dei Distretti Industriali”.
[3] Cfr. Cnel (2006), Le relazioni sindacali in Italia e in Europa. Retribuzioni e costo del lavoro – Rapporto 2004-2005.

























