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Home - Approfondimenti - Analisi - L’accordo interconfederale

L’accordo interconfederale

6 Luglio 2004
in Analisi

di Ida Regalia – Università degli Studi di Milano

1. è da tempo che il telelavoro costituisce, per chi si interroga sul futuro del lavoro, uno dei casi più sconcertanti di scarto tra prospettive attese di sviluppo in base alla molteplicità dei vantaggi che esso dovrebbe offrire a tutte le parti interessate e ricorso effettivo, molto più modesto. Una volta tanto, ciò non è una caratteristica del caso italiano, ma è un dato diffuso, anche se con molte differenze tra Paesi e con segni di aumento lento ma continuo della diffusione.

I vantaggi del ricorso al telelavoro possono essere in effetti non pochi. Dal lato dell’impresa si citano in genere diminuzione dei costi strutturali, maggiore flessibilità organizzativa, incrementi della produttività, possibilità di migliorare la competitività, stimolo all’innovazione. Tra i miglioramenti dal lato del lavoro si elencano maggiore autonomia e soddisfazione per il lavoro, diminuzione dei tempi di spostamento, autorganizzazione dell’orario di lavoro, possibilità di conciliare meglio tempo di lavoro e tempo di vita. A vantaggio un po’ di tutti ci si attendono riduzioni del traffico, dell’inquinamento, del pendolarismo, miglioramento della qualità della vita, maggiori possibilità di inserire nel mercato del lavoro figure che tendono a rimanervi ai margini (persone con pesanti carichi di cura, portatori di handicap, e simili).


Lo scarto tra potenzialità e realizzazioni di cui s’è detto suggerisce che gli svantaggi non sono peraltro di poco conto. Il sociologo in questo scarto legge soprattutto, dal lato del lavoratore, la dimostrazione della centralità della dimensione relazionale e sociale dell’attività lavorativa e del gradimento e necessità dei contatti faccia a faccia; l’organizzativista vi sottolinea soprattutto, dal lato del management, l’aumento effettivo o temuto delle complicazioni organizzative e i rischi di perdita di controllo delle prestazioni.


Ciò che più in generale si può ricavarne, per quanto qui ci interessa, è che difficilmente il ricorso a questa soluzione organizzativa, mediata dall’utilizzo di tecnologie informatiche che in parte permettono di eliminare la necessità della presenza fisica del lavoratore in azienda, può svilupparsi pienamente al di fuori di un quadro di regole condivise, che diano garanzie a entrambe le parti circa la disponibilità a risolvere in modo positivo le difficoltà che ciascuna può temere che insorgano da questo modo diverso di organizzare il lavoro.


Non è un caso che, in assenza di quadri normativi generali, da tempo l’introduzione del telelavoro sia, in genere, comunque avvenuta in maniera consensuale e accompagnata dal raggiungimento di accordi collettivi, d’azienda in primo luogo e poi di settore, per iniziativa autonoma delle parti interessate.


L’accordo interconfederale del 9 giugno 2004, su cui ci concentreremo ora, fornisce una cornice, infine, a tutta la materia. Esso recepisce l’analogo accordo raggiunto a livello europeo nel luglio 2002. è dunque da lì che prendiamo le mosse.


 


2. A livello europeo l’attenzione per il telelavoro si intensifica sullo sfondo del dibattito e delle sollecitazioni aperte dal Consiglio di Lisbona del marzo 2000 sull’opportunità di promuovere il ricorso alle nuove tecnologie informatiche quali elementi per aumentare competitività, sviluppo e occupazione in Europa nel quadro della nuova economia della conoscenza. In particolare, un esplicito invito a avviare negoziati in tema di telelavoro viene rivolto dalla Commissione nell’ambito della consultazione in materia e modernizzazione e miglioramento dei rapporti di lavoro.


Un primo risultato sono i due accordi di settore a livello europeo del 2001, che fissano le linee guida per l’utilizzo del telelavoro nelle telecomunicazioni e nel commercio, due dei comparti in cui si fa maggiormente ricorso a questa forma di organizzazione del lavoro, incominciando così a mettere ordine in una materia cresciuta in modo poco coordinato. Specie nell’accordo del commercio, i temi toccati sono molti e trattati con notevole dettaglio: dalle modalità per l’introduzione del telelavoro ai criteri con cui vanno definite le condizioni d’impiego, dai diritti e doveri dei lavoratori ai modi di controllo dell’attività da parte del management, dai vari aspetti dell’organizzazione del lavoro e dei rapporti tra lavoratori e azienda ai diritti sindacali.


Viene in questo modo dissodata la strada per la definizione di una normativa generale, su cui i rappresentanti delle parti sociali si impegnano per vari mesi. Un accordo-quadro europeo sull’utilizzo del telelavoro viene infine raggiunto e firmato dalle organizzazioni centrali dei datori di lavoro e dei sindacati nel luglio 2002.


Esso viene accolto dal commissario europeo per l’occupazione e gli affari sociali come una pietra miliare: non solo perché tratta di un tema rilevante che va a vantaggio sia delle imprese sia dei lavoratori; ma anche perché è il primo accordo intersettoriale europeo per la cui attuazione, su richiesta dell’associazione degli imprenditori, si sia adottata una strada diversa da quella della direttiva, com’era invece avvenuto nel caso dell’orario di lavoro o dei contratti a tempo determinato. In questo caso l’attuazione è affidata invece all’iniziativa diretta delle parti sociali in ciascun paese membro.


Da questo punto di vista l’accordo è un primo esempio di regolazione soft, adatta a facilitare l’intesa su temi controversi, o su cui è ritenuto opportuno lasciare spazio all’autonomia delle parti. Esso può essere letto come il segnale di una nuova stagione del dialogo sociale europeo.


 


3. L’accordo europeo stabiliva che esso dovesse essere recepito entro tre anni, nei Paesi membri, nei Paesi appartenenti allo spazio economico europeo e nei Paesi candidati, per iniziativa delle organizzazioni aderenti alle parti firmatarie, conformemente alle procedure e alle prassi in uso presso le parti sociali in ciascun paese. è ciò che è avvenuto da noi con la firma dell’Accordo interconfederale per il recepimento dell’accordo-quadro europeo sul telelavoro concluso il 16 luglio 2002 tra UNICE/UEAPME, CEEP e CES del 9 giugno 2004.


Firmatari sono le ventuno associazioni degli imprenditori e le tre confederazioni sindacali Cgil, Cisl e Uil. Si tratta della prima intesa su un tema proposto a livello europeo su cui non si registrino rotture, ma su cui converga il più vasto consenso, “un vero e proprio coro unanime”, secondo dichiarazioni da parte degli industriali. Sulla stampa e nelle dichiarazioni dei rappresentanti delle diverse parti, esso è stato interpretato come segno di svolta nelle relazioni industriali, di ripresa della concertazione e di un clima di collaborazione tra le parti. In particolare, il fatto che esso sia il primo accordo firmato dalla nuova presidenza di Confindustria è stato salutato come segnale di buon auspicio per il futuro.


L’accordo di giugno riprende integralmente, con qualche variazione di dettaglio e un diverso modo di far riferimento alla contrattazione collettiva, il testo dell’intesa europea, di cui viene allegata la traduzione concordata in lingua italiana.


Nella parte introduttiva, oltre a un breve riferimento all’iter che ha condotto all’intesa europea e alla formale articolata dichiarazione di volerne dare attuazione, viene fatto un sobrio cenno ai vantaggi positivi che le parti si attendono dal ricorso al telelavoro: “il telelavoro costituisce per le imprese una modalità di svolgimento della prestazione che consente di modernizzare l’organizzazione del lavoro e per i lavoratori una modalità di svolgimento della prestazione che permette di conciliare l’attività lavorativa con la vita sociale offrendo loro maggiore autonomia nell’assolvimento dei compiti loro affidati”. è pertanto opportuno “incoraggiare tale nuova forma di organizzazione del lavoro in modo tale da coniugare flessibilità e sicurezza, migliorando la qualità del lavoro ed offrendo anche alle persone disabili più ampie opportunità sul mercato del lavoro”.


Il senso dell’intesa è quindi quello di stabilire un quadro generale di riferimento a livello nazionale per le organizzazioni aderenti alle parti firmatarie. L’attuazione dell’accordo non deve essere valido motivo – si precisa – per ridurre il livello di protezione di cui già godessero i lavoratori in quest’area. D’altro lato, nell’attuarlo si eviterà di porre inutili oneri a carico delle piccole e medie imprese.


Il primo articolo fornisce una definizione operativa di telelavoro, che è utile riportare dal momento che non esiste affatto nella letteratura scientifica una posizione condivisa sul tema. “Il telelavoro – viene detto – costituisce una forma di organizzazione e/o di svolgimento del lavoro che si avvale delle tecnologie dell’informazione nell’ambito di un contratto o di un rapporto di lavoro, in cui l’attività lavorativa, che potrebbe anche essere svolta nei locali dell’impresa, viene regolarmente svolta al di fuori dei locali della stessa”. Gli aspetti che rilevano sono dunque due: il fatto che si tratti di attività che potrebbe essere svolta nei locali dell’impresa e che viene invece svolta al di fuori di essa regolarmente, vale a dire non occasionalmente.


Il secondo articolo sottolinea e elabora il principio del carattere volontario del telelavoro. Questo diverso modo di lavorare – che “non incide, di per sé, sullo status” del lavoratore – è frutto di una scelta volontaria del datore e del lavoratore. “Può essere inserito nella descrizione iniziale delle prestazioni del lavoratore ovvero scaturire da un successivo impegno assunto volontariamente”: nel caso non sia ricompreso nella descrizione iniziale delle prestazioni il lavoratore può accettare o meno l’eventuale offerta; e il rifiuto non costituisce motivo di risoluzione del rapporto di lavoro, né di modifica delle condizioni precedenti del rapporto. Analogamente, il lavoratore può chiedere di lavorare come telelavoratore e l’imprenditore può accogliere o meno la richiesta. Sempre che il telelavoro non sia ricompreso nella descrizione iniziale della prestazione, la decisione di aderirvi è “reversibile per effetto di accordo individuale o collettivo”. In ogni caso il datore deve fornire al telelavoratore in forma scritta sia le informazioni previste dalla direttiva europea 91/533 (contratto collettivo applicato, descrizione della prestazione lavorativa), sia quelle derivanti dalla specificità di questo modo di lavorare: l’unità produttiva cui è assegnato, il superiore o le altre persone cui deve far riferimento, le modalità per tenere i contatti.


Il terzo articolo stabilisce per il telelavoratore parità di condizioni e di diritti in base alla legge e ai contratti rispetto al lavoratore tradizionale comparabile.


Gli articoli 4 e 5 indicano i principi da adottare in materia di protezione dei dati utilizzati dal lavoratore e di diritto alla sua riservatezza.


Gli articoli 6-9 affrontano diversi aspetti collegati alla specificità di questa modalità lavorativa. Vengono fissati i criteri relativi al tema fondamentale degli strumenti di lavoro (articolo 6): dalla fornitura, istallazione e manutenzione dell’hardware e del software alla copertura dei costi di comunicazione, di utilizzo di tali strumenti, o derivanti dal loro danneggiamento o dalla perdita dei dati. Vengono indicate le norme da adottare in materia di salute e sicurezza (articolo 7), che prevedono anche la possibilità di verifiche della corretta applicazione della normativa da parte del datore, delle rappresentanze dei lavoratori, delle autorità competenti, previo preavviso e consenso nel caso l’attività venga svolta a domicilio; e che prevedono d’altro lato che il lavoratore possa chiedere ispezioni. Si stabilisce che, in tema di organizzazione del lavoro (articolo 8), il telelavoratore gestisca autonomamente il proprio tempo di lavoro nel quadro della normativa esistente e delle direttive aziendali applicabili; e che il datore, oltre a assicurare che gli vengano attribuiti carichi di lavoro e livelli di performance equivalenti a quelli dei lavoratori tradizionali comparabili, si impegni a adottare misure appropriate a prevenire il suo isolamento (possibilità di incontri regolari con i colleghi, accesso alle informazioni dell’azienda). Viene stabilito che in campo di formazione e sviluppo della carriera (articolo 9) i telelavoratori non solo fruiscano delle medesime opportunità degli altri lavoratori e siano sottoposti ai medesimi criteri di valutazione; ma che venga anche loro offerta una formazione aggiuntiva, come richiesto dalle specifiche caratteristiche tecniche della prestazione. Un eventuale addestramento aggiuntivo appropriato viene previsto anche per il personale aziendale che debba supervisionare o tenere i contatti con i lavoratori a distanza.


Gli articoli 10 e 11 riguardano infine diritti collettivi e contrattazione collettiva. L’articolo 10 stabilisce la parità dei diritti collettivi di questi lavoratori con quelli degli altri in azienda, precisando in particolare che essi sono inclusi nel calcolo per determinare le soglie per gli organismi di rappresentanza dei lavoratori, che godono degli stessi diritti di partecipazione e eleggibilità in tali organismi, che deve essere nota fin dall’inizio l’unità produttiva cui essi sono assegnati al fine di esercitare i diritti collettivi, che non devono essere ostacolata la comunicazione con i rappresentanti dei lavoratori, che tali rappresentanti verranno informati e consultati in merito all’introduzione del telelavoro.


L’articolo 11 dell’accordo di giugno è, come abbiamo anticipato, un’aggiunta rispetto a quello europeo, nella quale trovano sistemazione più organica e maggiore visibilità alcuni richiami alla contrattazione collettiva che nell’altro testo sono collocati in modo sparso. In primo luogo viene specificato che, per “tener conto delle specifiche esigenze delle parti sociali interessate ad adottare il telelavoro”, esse potranno “concludere al livello competente accordi che adeguino e/o integrino i principi e i criteri definiti in questo accordo interconfederale”. In secondo luogo viene apertamente sottolineato che “la contrattazione collettiva, o in assenza il contratto individuale redatto con il lavoratore, deve prevedere […] la reversibilità della decisione di passare al telelavoro con indicazione delle relative modalità”. Viene infine aggiunto che “per tener conto delle peculiari caratteristiche del telelavoro, si potrà far ricorso ad accordi specifici integrativi di natura collettiva e/o individuale”.


L’attuazione italiana dell’intesa europea si chiude pertanto con una forte apertura nei confronti del ruolo di miglioramento e adeguamento delle norme alla specificità delle situazioni concrete che può essere svolto dalla negoziazione collettiva (“al livello competente”, e dunque senza prefigurarne il livello) e dal raggiungimento di accordi integrativi, anche di natura individuale. 


 


4. A chi scrive sembra che l’interesse di questo accordo interconfederale non stia solo nell’aver stabilito la parità dei trattamenti e dei diritti tra lavoratori a distanza, delocalizzati, e lavoratori tradizionali in azienda; ma forse ancor più nell’avere incominciato a suggerire strade e prevedere modi per far fronte alle conseguenze della diversità delle condizioni obiettive e soggettive che caratterizzano il telelavoro.


Lo scarto tra ricorso atteso e ricorso effettivo al telelavoro che ricordavamo in apertura è largamente dovuto alle caratteristiche di una soluzione lavorativa che per molti, sia dal lato del lavoro sia da quello dell’impresa, appare tecnicamente attraente ma socialmente ambivalente e almeno in parte rischiosa.  


Più che mai ha senso porsi in questo caso l’obiettivo di coniugare flessibilità e sicurezza, come si legge nel preambolo: flessibilità della prestazione (a vantaggio sia dell’impresa, sia del lavoratore) e sicurezza di poter godere di condizioni d’impiego che, al di là della doverosa parità formale dei trattamenti, non si rivelino di fatto alla lunga meno favorevoli.


Pertanto sono di notevole interesse il principio della reversibilità della scelta; le previsioni di offrire tutela e appoggio sul piano degli strumenti di lavoro, o dei costi specifici di produzione, o dei rischi in cui si può incorrere nel trattamento dei dati; le norme particolari in tema di salute e sicurezza ambientale, e in tema di formazione aggiuntiva e di occasioni di sviluppo della carriera; e –fondamentale – l’impegno a evitare l’isolamento e l’emarginazione dei lavoratori a distanza, facilitandone il collegamento fruttuoso con l’ambiente di lavoro, l’accesso alle informazioni aziendali e a quell’occasione potente di socializzazione al lavoro fornita, paradossalmente in apparenza, dalla partecipazione alle attività collettive.


Occorrerà naturalmente vedere quanto gli aspetti più innovativi in un campo come questo possano poi trovare effettiva applicazione. Perché questo avvenga è indispensabile, anche se non sufficiente, che non venga meno, e che anzi si rafforzi, la cooperazione di tutti gli attori che hanno intanto firmato l’intesa.

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