di Donata Gottardi – Professore straordinario di Diritto del Lavoro all’Università di Verona
L’intesa raggiunta il 3 marzo 2004 nel settore dell’artigianato da tutte le sigle datoriali (Confartigianato, Cna, Casartigiani, Claai) e da Cgil, Cisl e Uil, è stata subito accolta con grande interesse, anche per la non scontata unitarietà che si è realizzata nei confronti di determinazioni che riguardano la riforma degli assetti contrattuali e il riparto di competenze, confermando la spinta verso meccanismi che assegnano ruolo crescente al livello territoriale regionale.
L’Accordo consente di riattivare i negoziati nel settore, dopo i ritardi considerevoli registrati in sede di rinnovo dei CCNL. La prima disposizione che si incontra nel testo è dedicata, infatti, a questo aspetto: l’avvio del rinnovo dei contratti, scaduti o sospesi al 2002, dovrà avvenire per la parte economica entro la fine dell’anno, mentre la parte normativa viene congelata.
Nel contempo, seguendo uno schema classico nel nostro sistema di relazioni sindacali, che affianca alla conclusione dell’accordo la sua prosecuzione, la trattativa interconfederale si è data un nuovo appuntamento, ancora a fine anno, con lo scopo di razionalizzare il sistema, stabilendo nuove aggregazioni contrattuali, di riformare l’inquadramento professionale e di “stabilire materie, tempi e procedure della contrattazione nazionale e di quella di secondo livello”.
Il modello contrattuale
E’ opportuno iniziare l’analisi verificando le modificazioni del modello contrattuale. Con poco più di un anno di ritardo, l’accordo interconfederale fornisce attuazione dell’impegno che era stato sottoscritto nella precedente intesa – transitoria – del 20 maggio 2002, in cui si concordava di sviluppare “la verifica e l’aggiornamento del modello contrattuale … che dovrà aver termine entro il 31 dicembre 2002”.
Il modello contrattuale finora in atto era stato definito nell’Accordo interconfederale del 3 agosto 1992, a suo tempo una sorta di anticipazione di quanto avrebbe costituito oggetto della scelta più generale assunta nel Protocollo del luglio del 1993, sottoscritto anche dalle sigle rappresentative del settore.
Occorre pertanto premettere al commento alla riforma una breve sintesi del sistema contrattuale così come regolato nel 1992 al fine di verificarne le modificazioni. Nel 1992 era stata confermata la scelta di mantenere “due soggetti sindacali titolari della contrattazione, la confederazione e la categoria” e “due livelli di confronto negoziale, uno centrale e uno decentrato, per ciascuno dei due soggetti”. Il livello centrale è quello nazionale e il livello decentrato è quello regionale.
Nel 2004 il doppio livello di contrattazione viene, ancora una volta, confermato: “la titolarità della contrattazione appartiene, per le rispettive competenze, al soggetto confederale ed al soggetto di categoria, articolari, a loro volta, a livello nazionale e regionale” e “i due livelli di contrattazione hanno pari cogenza”.
La distribuzione delle competenze dei due livelli negoziali
Per quanto riguarda i contenuti, nel 1992, erano individuati i seguenti principi: la “non ripetitività allo stesso titolo degli argomenti già trattati”, la “esclusività di alcune materie per soggetto e livello”, la “possibilità di delega su alcune materie ad altri soggetti e livelli”.
Solo con riferimento al livello nazionale – interconfederale e categoriale – erano precisate le materie. Al livello decentrato – di nuovo interconfederale e categoriale – erano affidati compiti di applicazione e di adeguamento, delegabili anche a strutture territoriali, ma senza individuazione di specifiche competenze.
In particolare, per quanto riguarda il livello decentrato di categoria, i compiti erano quelli “di applicare i CCNL alle realtà regionali di settore e di comparto e definire un livello salariale regionale che tenga conto della situazione del sistema artigiano regionale, rilevata attraverso alcuni indicatori convenuti tra le parti”.
Incontriamo così la novità principale. La innovazione, date le peculiarità del settore, non è tanto o non è solo il riconoscimento del livello regionale né il ruolo di adeguamento alle caratteristiche dei territori, quanto nella accentuazione della sua specifica competenza in materia economica e nella indicazione del suo oggetto: da ora in avanti, “la contrattazione decentrata avrà il compito di ridistribuire la produttività del lavoro sulla base di parametri congiuntamente concordati fra le parti a livello regionale”.
Tra le due formule sopra riportate – quella del 1992 e quella del 2004 – la variazione più significativa consiste nella scelta espressa di affidare al livello decentrato la redistribuzione della produttività del lavoro e, quindi, il collegamento con l’effettivo andamento del sistema produttivo settoriale a livello di singole regioni. Ovviamente occorrerà che i soggetti negoziatori a livello regionale procedano a individuare i parametri per la sua rilevazione, solo indirettamente potendo essere utilizzati quelli normalmente in uso per gli incentivi di produttività nella contrattazione aziendale.
Nella parte dell’Accordo dedicata alle Linee guida della riforma del modello contrattuale, si aggiunge che il livello decentrato ha anche il compito “di integrare la tutela del potere di acquisto delle retribuzioni, in caso di scostamento tra l’inflazione presa a riferimento e l’inflazione reale all’epoca degli accordi regionali”.
Per la parte normativa, anche con la riforma, sono previste materie di esclusiva competenza del livello nazionale, indisponibili a quello regionale. Si tratta di: “regole (luoghi – tempi – modalità delle trattative), diritti individuali e sindacali (permessi sindacali, assemblea, diritto allo studio, congedi parentali), inquadramento, salario nazionale, disciplina generale orario di lavoro”.
“Tutte le altre materie” – e, a questo punto, sono numerose – “potranno essere oggetto di trattazione al secondo livello negoziale”.
Correlativamente, a livello nazionale, è prevista la costituzione di un Osservatorio della contrattazione decentrata, all’evidente scopo di effettuare il monitoraggio e la verifica dell’andamento effettivo della contrattazione territoriale.
Da quanto finora visto, appare evidente l’importanza assegnata al livello regionale, soprattutto, ma non solo, per la parte relativa alla retribuzione, all’interno di un sistema che mantiene al livello nazionale la determinazione degli incrementi economici legati all’andamento dell’inflazione e l’eventuale intervento di recupero in caso di mancata attività a livello regionale, finalizzato a tutelare il potere di acquisto dei lavoratori.
La parte economica
Torniamo allora alla parte economica. In apertura dell’Accordo, come si è ricordato più sopra, sono riaperti i rinnovi di livello nazionale che andranno dedicati a questa parte, con congelamento di quella normativa e pre-indicazione della percentuale di inflazione – misurata – su cui basare l’incremento: per il 2002 e per il 2003, il 2,5%; per il 2004, il 2,3%.
Gli aumenti retributivi “saranno calcolati sugli importi di paga base, ex contingenza e EDR attualmente in vigore” e si applicheranno anche ai contratti nazionali di categoria scaduti nel corso del 2003. Questo per consentire il riallineamento delle scadenze contrattuali, necessario alla razionalizzazione del sistema.
In altri termini, i negoziati nazionali dovranno portare a completare la copertura contrattuale per ciascuna categoria nazionale nel corso di quest’anno, individuando nel 31 dicembre del 2004 la data uniforme del settore.
Lo stesso dovrebbe avvenire anche al livello regionale, per tutti i CCRIL scaduti o in scadenza entro questa data.
La concertazione
Le modalità di determinazione della retribuzione a livello nazionale riaffermano l’importanza che le parti attribuiscono alla politica dei redditi e alla concertazione sociale.
L’Accordo lo precisa all’interno delle Linee guida sulla riforma del modello contrattuale. E’ la concertazione, qualificata come triangolare, ad essere la sede per “l’adeguamento delle retribuzioni nazionali all’inflazione”, secondo i principi di politica dei redditi contenuti nel Protocollo generale del 1993.
Le parti sono però consapevoli delle difficoltà attraversate attualmente dalla prassi concertativa e individuano una via di fuga: in assenza di concertazione “si farà riferimento ad un tasso concordato fra le Parti sociali sulla base degli indicatori disponibili”.
La bilateralità e le sue applicazioni: ammortizzatori sociali e previdenza complementare
La bilateralità è una tradizione per il settore, almeno a partire dallo storico accordo del 21 luglio del 1988, costituisce l’architrave per lo sviluppo delle relazioni sindacali e per un sistema di garanzie destinate sia alle imprese sia ai lavoratori. Non stupisce pertanto che, in un momento come l’attuale, in cui sul tema si stanno registrando posizioni controverse, le parti abbiano ribadito le scelte, accentuandone il valore e le potenzialità.
Le tematiche condivise per il nuovo sistema bilaterale sono le seguenti: “sistemi di rappresentanza, tutela in materia di salute e sicurezza, sostegno al reddito dei lavoratori e delle imprese, formazione, previdenza, Welfare integrativo, attività di indagine e ricerca, sviluppo delle pari opportunità, mercato del lavoro”.
La bilateralità è considerata preziosa anche per consentire la prosecuzione della possibilità di offrire al settore una tutela che surroghi l’assenza di ammortizzatori sociali e assicuri forme di previdenza complementare.
Nel primo caso, in attesa di una riforma su cui il Governo è ancora in attesa di ricevere la delega, l’accordo ribadisce la necessità di garantire il trattamento di disoccupazione ordinaria e di cassa integrazione guadagni. L’obiettivo è quello di ottenere una sinergia tra risorse pubbliche e risorse private che consenta di garantire il sostegno del reddito dei lavoratori anche in assenza dei requisiti richiesti dall’ordinamento legislativo, tuttora incardinato sul modello della medio-grande impresa industriale.
Nel secondo caso si tratta di saldare il fondo pensione negoziale interconfederale, mai definitivamente decollato, con il sistema nazionale e regionale della bilateralità, di individuare meccanismi di snellimento quali il silenzio-assenso all’adesione, ma anche di riconoscere la costituzione di fondi pensione regionali, nella medesima prospettiva di federalismo ragionevole già esercita nell’accordo interconfederale in relazione alla struttura degli assetti negoziali e delle loro competenze.