di Gianpiero Tozza, Università di Bologna
Il 16 maggio è stata siglata, tra le associazioni di categoria delle imprese fornitrici di lavoro temporaneo e le Organizzazioni sindacali dei lavoratori interinali, l’ipotesi di accordo per il rinnovo del Contratto nazipnale di comparto: il Ccnl, giova rammentarlo, disciplina in maniera unitaria, per tutto il territorio nazionale, i rapporti di lavoro intercorrenti tra tutte le agenzie interinali (oggi di somministrazione) ed il relativo personale, assunto sia a tempo determinato che a tempo indeterminato. L’occasione offre la possibilità di tentare un primo bilancio, a dieci anni dal suo avvio (il primo Ccnl di comparto è stato infatti siglato il 28 maggio 1998), della contrattazione collettiva di settore, cercando di evidenziarne i tratti salienti nonché le tendenze evolutive.
In tale ottica va subito evidenziato che una delle novità importanti dell’intesa in esame riguarda il complesso di misure atte a rafforzare il sistema delle relazioni sindacali, ampliandone gli spazi anche a livello aziendale e/o territoriale. Tale obbiettivo viene perseguito, innanzitutto, attraverso l’integrazione del vecchio modello di rappresentanza sindacale unitaria specifico per i lavoratori temporanei (sino ad ora articolato sulle due figure del delegato sindacale e del rappresentante aziendale), con l’istituzione delle rappresentanze nazionali di Agenzia, cui saranno devolute (unitamente ai sindacati firmatari del Ccnl) le attività negoziali proprie del livello aziendale. Altrettanto importante, sul piano qualitativo, è la correlata estensione dei diritti d’informazione (e consultazione) ai livelli territoriali: l’accordo prevede che (oltre che ai sindacati firmatari) anche alle rappresentanze nazionali di agenzia siano fornite le informazioni e garantita la consultazione riguardanti: a) l’evoluzione recente e probabile dell’attività di impresa e della situazione economica; b) la situazione, la struttura e l’evoluzione probabile dell’occupazione anche con riferimento alle procedure previste per la trasformazione a tempo indeterminato, nell’ambito dell’agenzia, e le eventuali misure anticipatrici previste in caso di minaccia per l’occupazione; c) le decisioni suscettibili di comportare cambiamenti di rilievo in materia di organizzazione del lavoro, nonché di contratti di lavoro (comprese quelle previste in materia di trasferimenti e licenziamenti).
L’elenco testè riportato corrisponde, grosso modo, a quello contenuto nell’art. 4 del D. Lgs. 6 febbraio 2007 n. 25 di recepimento della Direttiva 2002/14/CE, che istituisce un quadro generale relativo all’informazione e alla consultazione dei lavoratori (applicabile alle imprese che impiegano almeno 50 lavoratori e, quindi, alla maggior parte delle Apl, anche quelle transnazionali, purché abbiano in Italia sedi od articolazioni con più di 50 dipendenti). Com’è noto, tale direttiva europea costituisce un esempio di soft law, in quanto riserva proprio al contratto collettivo di lavoro la definizione dei tempi, dei modi e dei contenuti dei diritti in questione. Il Ccnl, quindi, riveste non solo una portata attuativa della norma, ma anche specificativa della stessa: è il caso della lett. sub b, dove l’intesa in esame fa riferimento anche alle procedure di “stabilizzazione”, ovvero della lett. sub c, dove precisa che sono comprese anche le decisioni in materia di trasferimenti e licenziamenti (il che vuol dire ricomprendere nelle procedure d’informazione ad es. anche i licenziamenti individuali [fino ad un massimo di 4 lavoratori] operati per ragioni produttive). Altro profilo di novità riguarda anche la lett. a) laddove si parla di situazione economica, cioè di un concetto ampio che finisce col ricomprendere, sempre a titolo di esempio, i bilanci, il fatturato, l’esposizione debitoria, etc.
L’estensione dei diritti d’informazione anche al livello territoriale arriva ad abbracciare altresì la stipula dei contratti di somministrazione pari o superiori a 20 lavoratori, nonché quelle notizie già incluse nell’art. 1 del Ccnl 2002, ma riservate sino ad ora alle organizzazioni sindacali firmatarie, e cioè quelle concernenti lo stato e la dinamica qualitativa e quantitativa dell’occupazione sull’intero settore – per dati disaggregati – la formazione e la riqualificazione professionale, le necessità dei comparti e settori nonché la prevedibile evoluzione degli stessi. Un altro aspetto di novità è costituito poi dall’impatto delle nuove tecnologie sulle relazioni sindacali: si va dalla gestione delle informazioni attraverso un programma informatico condiviso tra le parti, alla previsione di bacheche sindacali elettroniche accessibili dai siti web delle Apl. L’obbiettivo di promozione di un sistema di relazioni sindacali maggiormente strutturato in ambito territoriale si completa, infine, con la costituzione di commissioni sindacali a livello regionale quali sedi di confronto e proposizione di merito.
Un altro punto qualificante dell’intesa in questione è quello del rafforzamento del sistema di tutele e diritti dei lavoratori. Qui assume rilevanza centrale l’attivazione di un Fondo chiuso di settore per la previdenza integrativa, così come previsto in una precedente intesa tra le parti del 21 febbraio 2007: è previsto che il Fondo venga alimentato con i contributi dei lavoratori interinali e delle Apl; la copertura economica sarà garantita altresì da una contribuzione straordinaria a valere sui residui della gestione dei due Enti bilaterali paritetici E.Bi.temp e Forma.temp. Anche sul versante delle prestazioni connesse alla bilateralità si registrano delle novità assolute, nonché un generale miglioramento di quelle già in essere. Tra quest’ultime figura l’innalzamento della soglia di accesso al credito, nonché l’aumento del ventaglio delle causali che giustificano la richiesta di finanziamento. Importanti sono anche gli incrementi della copertura prevista contro gli infortuni sul lavoro.
Per quanto riguarda invece le new entry tra le prestazioni bilaterali si registra una particolare attenzione per le spese sanitarie: si va dal rimborso integrale del ticket sanitario per le prestazioni mediche erogate sia dal Ssn che da strutture private convenzionate (con estensione della tutela sanitaria, anche a favore del coniuge e dei figli fiscalmente a carico fino al 3° anno di vita) al rimborso delle spese sostenute per cure odontoiatriche (notoriamente elevate). Importanti innovazioni si registrano anche in tema di misure di sostegno economico. Da un lato, è stato concordato un sostegno (da definire) per le spese legate all’asilo nido. Su un altro versante, sono state introdotte misure di sostegno al reddito, quali: un assegno una tantum rapportata all’indennità di disponibilità (innalzata tra l’altro a 700 €), per quei lavoratori in somministrazione che abbiano lavorato almeno 6 mesi nell’arco degli ultimi 12 e che risultino disoccupati da almeno 45 gg.; un contributo (anche questo da definire) quale sostegno per i trasferimenti del lavoratore in caso di missioni lunghe.
Un altro capitolo sul quale l’intesa ha introdotto modifiche significative è quello della valorizzazione dei percorsi lavorativi. Qui il punto qualificante dell’intesa (non a caso definito di «carattere strategico» in un intervento apparso il 26 maggio su questo giornale) è rappresentato dalla previsione della “stabilizzazione” dei lavoratori in somministrazione che abbiano maturato un’anzianità, variamente computabile, da 36 a 42 mesi di lavoro. E’ sintomatico che la novità della trasformazione del rapporto di lavoro interinale a tempo indeterminato, per effetto del citato percorso di stabilizzazione, sia stata portata “in dote” al tavolo delle trattative da parte dell’associazione delle Apl, non figurando nella piattaforma unitaria Nidil-Cigl, Alai-Cisl, Cpo-Uil. La sensazione è che tale tributo alla stabilità dell’occupazione sia stato “pagato” al prezzo di un “passo indietro” da parte delle Oo.Ss. in punto di “flessibilità”: l’intesa si segnala, infatti, per avere esteso il regime delle “proroghe” della durata delle missioni per un massimo di 6 volte nell’arco di 36 mesi, regime che, invece, nella vigenza del primo Ccnl 1998 e del rinnovo del 2002 era fissato ad un massimo di 4 volte per una durata complessiva delle proroghe non superiore a 24 mesi (durata complessiva che la citata piattaforma sindacale era intenzionata a riconfermare, suggerendo però il numero massimo di 2 proroghe, nel tentativo, evidentemente frustrato, d’incentivare il ricorso alle missioni di lunga durata).
L’estensione del regime delle proroghe, peraltro, rischia di riproporre quelle critiche e quelle problematiche, oramai sopite, sugli intrecci tra lavoro interinale e lavoro a termine. E’ noto come la coincidenza tra “causali”, “divieti”, etc. abbia portato autorevole dottrina (P. Ichino) a denunciare l’istituto del lavoro interinale quale «clone» e «mutante» del lavoro a termine. Questo ulteriore avvicinamento di disciplina, pone poi in concreto il problema dell’applicabilità alla somministrazione di lavoro a tempo determinato delle disposizioni del D. Lgs. 6 settembre 2001 n. 368 recentemente aggiunte dalla L. 24 dicembre 2007 n. 247 (attuazione del Protocollo sul welfare), in particolare del comma 4 bis che prevede la trasformazione del rapporto a tempo indeterminato in caso di superamento del termine di 36 mesi, comprensivi di proroghe e rinnovi. Sul punto è però intervenuto il ministero del Lavoro e della previdenza sociale (rectius: ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali, come ridenominato per effetto del D.L. 16 maggio 2008 n. 85) chiarendo – con circolare n. 13 del 2 maggio 2008 – che tali novità non si applicano alla somministrazione di lavoro a tempo determinato.
Alcune considerazioni conclusive. Se il Ccnl del 23 settembre 2002 si segnalava per l’enfatizzazione della formazione e per aver portato a conclusione la fase di avvio degli Enti bilaterali, l’ipotesi di rinnovo in esame si caratterizza per l’obbiettivo ambizioso di coniugare la richiesta di sempre maggiore “flessibilità” proveniente dalle imprese con l’aspirazione dei lavoratori temporanei ad un occupazione stabile.
E’ questo il tema della «flexsecurity», cioè di quella politica (frutto della Strategia europea di Lisbona) che tende, in modo sincronico e deliberato, ad accrescere la flessibilità del mercato del lavoro, dell’organizzazione del lavoro e dei rapporti di lavoro da un lato e, dall’altro, allo stesso tempo ad accrescere non tanto la garanzia del posto di lavoro, quanto piuttosto la sicurezza dell’occupazione e del reddito, in una prospettiva dinamica che assicuri alle persone la capacità di acquisire, conservare e progredire nell’occupazione lungo tutto l’arco della vita attiva. Si tratta, in altri termini, di favorire la mobilità da lavoro a lavoro nell’ambito o della singola impresa (e qui si parla di flexsecurity interna) o da un’impresa all’altra (flexsecurity esterna) e di garantire i necessari interventi di sostegno e formativi in queste fasi di transizione.
In quest’ottica si può dire che l’intesa in esame presenti i requisiti minimi essenziali di tale policy, introducendo diverse novità concrete per il settore. Resta tuttavia, a monte, la considerazione che quale strumento di politica “attiva” il lavoro interinale (o somministrato) ha deluso le aspettative: come si evince da dati ufficiali della Confederazione delle associazioni delle imprese fornitrici di lavoro temporaneo (www.confinterim.it), al 31 dicembre 2004 il ricorso al lavoro temporaneo risulta giustificato quasi sempre da punte di più intensa attività stagionale (79%) e da sostituzione di lavoratori assenti (15%), che costituiscono anche ipotesi legali di lavoro a termine. In altre parole si tratterebbe solo di una percentuale aggiuntiva di lavoro non standard consentito alle imprese rispetto ai contratti a tempo determinato. Per tali motivi il lavoro interinale sembra destinato a rimanere un fenomeno di nicchia (come confermano i dati del “Monitoraggio delle politiche occupazionali e del lavoro” del 2007 – elaborato dal segretariato generale del ministero del Lavoro – secondo cui il lavoro interinale, pur se in ripresa nel 2006, rappresenta solo lo 0,6% del totale dei lavoratori dipendenti), poiché quella prodotta dal nuovo istituto non può considerarsi quale occupazione aggiuntiva, ma semplicemente il risultato di una diversa distribuzione del lavoro precario tra i due istituti del lavoro temporaneo tramite Agenzia e del lavoro a termine, in ragione alle rispettive percentuali massime stabilite dai contratti collettivi.


























