di Andrea Bellini – Università di Firenze
1. La cronaca dei fatti
Nei giorni 15 e 17 aprile dell’anno in corso, la Ferrari S.p.A. ha raggiunto con le Rsu un’ipotesi di accordo avente ad oggetto, tra le altre cose, la riorganizzazione del lavoro nei reparti della fonderia e della verniciatura nello stabilimento di Maranello (Modena). All’intesa hanno aderito Fim (Cisl) e Uilm (Uil), mentre la Fiom (Cgil) ha scelto di non firmare, ponendosi in aperto contrasto con l’azienda e le altre organizzazioni sindacali su alcuni aspetti contenutistici e, in modo particolare, sulle modalità che hanno portato all’accordo separato. A tal proposito, il Segretario generale della Fiom, Gianni Rinaldini, in un comunicato stampa del 21 aprile, ha denunciato la decisione della Direzione aziendale di siglare un accordo senza coinvolgere l’intera Rsu. Lo stesso giorno, sempre a mezzo comunicato stampa, la Rsu Fiom-Ferrari ha accusato le Rsu di Fim e Uilm di aver firmato un accordo “al buio”, in una logica di “scambio” tra salario e diritti, accettando in modo remissivo il diktat aziendale ed escludendo così la componente sindacale più rappresentativa. La Fim di Modena, in una nota, ha rispedito le accuse al mittente, affermando che l’intesa in oggetto dava attuazione “a quanto sottoscritto unitariamente da Fim-Fiom-Uilm nel contratto integrativo del 2005” e che “tutti gli argomenti sono stati dibattuti in svariati incontri, all’ultimo dei quali la Fiom ha deciso di non partecipare”.
Lo scontro è passato quindi sul terreno del referendum promosso tra i dipendenti, chiamati a esprimersi sull’accordo. Il motivo del contrasto aveva a che fare con le modalità della consultazione. Al riguardo, la posizione della Fiom era netta: se non fosse stato possibile separare i temi legati all’organizzazione del lavoro – che interessavano solo due reparti – da tutti gli altri – che interessavano l’intera popolazione aziendale – e dunque far votare sui primi i soli lavoratori cui si applicavano i cambiamenti, allora l’esito del voto sarebbe stato ritenuto non vincolante. Di parere opposto, Fim e Uilm ritenevano che il referendum dovesse coinvolgere la totalità dei lavoratori. Nei giorni 22 e 23 aprile si sono tenute le assemblee. Nonostante il tentativo di delegittimazione da parte della Fiom, il referendum ha fatto registrare la più alta partecipazione di sempre in Ferrari (1.888 votanti su 2.572 aventi diritto, una quota pari al 73,4%) e i lavoratori si sono espressi a larga maggioranza (77% dei voti validi) a favore dell’accordo. Il risultato del voto è stato accolto favorevolmente dalle parti firmatarie, che hanno visto in esso un chiaro segnale della volontà dei lavoratori di proseguire sulla via del dialogo e della collaborazione. È stato invece riconosciuto parzialmente – per la sola parte che interessa tutti i dipendenti – dalla Fiom, che mantiene dunque la linea critica.
Al di là delle questioni di merito, che peraltro riportano in primo piano il problema della “discontinuità” delle relazioni sindacali nel gruppo Fiat [1], questa vicenda fa riemergere alcune questioni di fondo che riguardano il funzionamento organizzativo del sindacato, il suo rapporto con la base e, più in generale, il suo ruolo in settori fortemente esposti alla concorrenza internazionale [2].
2. Il contesto dell’accordo: l’andamento aziendale e il clima (instabile) delle relazioni industriali
Ferrari S.p.A. è una società da 1.668 milioni di euro di fatturato, il cui giro d’affari è cresciuto del 15,3% dal 2006 al 2007 e i cui ricavi, nel primo trimestre del 2008, hanno avuto un incremento pari al 19,7% [3]. L’accordo in esame, dunque, giunge in un momento particolarmente positivo per l’azienda e si inserisce nella logica di un processo di ristrutturazione che, nello stesso periodo, ha investito tutto il gruppo Fiat [4] e che ha portato aziende e sindacati a firmare una lunga serie di accordi che perseguivano l’obiettivo di un’intensificazione dell’utilizzo degli impianti attraverso la rimodulazione degli orari di lavoro. Dunque, potremmo dire, sostenere la crescita attraverso maggiore produttività e maggiore occupazione.
Non tutto è oro quel che riluce. Nell’ultimo anno, infatti, le relazioni sindacali all’interno del gruppo hanno subito un deterioramento, di cui la vicenda dell’accordo separato siglato alla Ferrari costituisce solo l’ultimo esempio [5]. In questo caso come nei precedenti, la parte aziendale ha sempre mostrato risolutezza nella conduzione delle trattative, manifestando la volontà di chiudere gli accordi in tempi brevi per non perdere il vantaggio competitivo acquisito. È difficile dire con certezza se questo comportamento sia all’origine oppure sia una conseguenza dell’atteggiamento di chiusura della Fiom. Quello che è certo è che anche il fronte sindacale si è mostrato profondamente diviso, con Fim e Uilm schierate su posizioni più aperte. Il dato dell’isolamento della Fiom, tuttavia, non può essere sottovalutato, poiché essa rappresenta oltre il 12% dei dipendenti di un gruppo che ha un tasso di sindacalizzazione (40,8%) superiore alla media nazionale [6]. Dunque, un’interruzione del dialogo rischia di avere effetti negativi sul clima aziendale, producendo spaccature ben più profonde.
D’altra parte, le resistenze della Fiom riflettono anche una posizione ideologica tradizionalmente avversa al cambiamento quando questo intacca la sfera dei diritti dei lavoratori, seppure in una logica di scambio compensativo e in nome di un interesse comune. Qui la discussione si sposta sui contenuti dell’accordo.
3. I contenuti dell’accordo: il nodo del terzo turno
L’accordo dispone un riassetto organizzativo dei reparti che producono componenti per Maserati [7], in funzione dell’aumento dei volumi da essa richiesti. Le aree interessate dai cambiamenti sono la fonderia di leghe leggere e la verniciatura [8]. Le soluzioni organizzative individuate per rispondere alle nuove esigenze produttive propongono due significative modifiche del sistema di turnazione. La prima è l’introduzione di un turno “sfalsato” [9], che interesserà a rotazione i lavoratori della fonderia che effettuano il turno notturno. Questa innovazione consentirà all’azienda di non interrompere il ciclo produttivo e ottimizzare così l’utilizzo degli impianti. In cambio, i suddetti lavoratori percepiranno, oltre alla maggiorazione prevista per il lavoro notturno, un compenso mensile di 20 euro lordi. La seconda novità è l’estensione del terzo turno a tutto il personale della verniciatura, con il conseguente inserimento di 30 nuovi assunti, in un’ottica di incremento dell’utilizzo degli impianti e, al contempo, di contenimento del lavoro straordinario.
Su alcuni aspetti più controversi delle modifiche introdotte dall’accordo è tuttavia necessario soffermarsi a riflettere. Come ha sottolineato Piero Pessa [10], le tre variabili principali di cui si deve tenere conto in fase di progettazione dei regimi d’orario articolati su turni sono: l’utilizzo degli impianti; l’orario individuale; la retribuzione. A seconda delle priorità che si danno le parti, combinando in modo diverso questi tre fattori è possibile ottenere gli stessi risultati in termini di utilizzo degli impianti, ma con conseguenze molto diverse sulle condizioni di lavoro. Nel caso in esame, per quanto riguarda l’utilizzo degli impianti, la Fiom aveva espresso forti perplessità sulla compatibilità degli spazi e delle aree Ferrari con i livelli di crescita di Maserati, la cui produzione dovrebbe passare dalle 7.600 vetture del 2007 alle 10 mila del 2008 [11].
Un secondo rilievo critico aveva a che fare più specificamente con l’applicazione del terzo turno – già presente nel reparto della meccanica, caratterizzato da un’elevata automazione – in aree produttive come la fonderia e la verniciatura, in cui si fa invece un’attività diretta e dunque a più alto rischio infortuni. Qui bisogna dire che, proprio alla luce dei crescenti volumi produttivi, la strada della riduzione dell’orario indicata dalla stessa Fiom non sembra praticabile. Essendo impensabile ridurre i volumi produttivi, perché ciò significherebbe porre un freno alla crescita, un’eventuale riduzione dell’orario comporterebbe in effetti costi troppo elevati per l’azienda, nonché inevitabili ripercussioni su ritmi e condizioni di lavoro. Ciò che sembra più opportuno è piuttosto contrattare con l’azienda le condizioni di lavoro, facendo particolare attenzione alla pianificazione e gestione delle pause e vigilando sul rispetto dei vincoli di legge in materia di sicurezza. Per quanto riguarda infine l’aspetto retributivo, la maggiorazione di 20 euro (lorde) prevista per i lavoratori che effettueranno il turno sfalsato sembra effettivamente poca cosa.
L’accordo, tuttavia, non si esaurisce con le modifiche dell’orario di lavoro. Esso prevede infatti anche la definizione del calendario produttivo, con lo scaglionamento delle ferie, per esigenze tecnico-organizzative, nelle aree di revisione e finizione. Dispone poi il riassetto dei ristoranti aziendali e il riallineamento della quota pasto individuale ai valori medi di mercato. Infine, introduce un nuovo sistema di calcolo del premio di risultato (P.D.R.), basato su criteri contabili internazionali (International Financing Reporting Standard), che a detta del Segretario generale della Fim, Claudio Mattiello, dovrebbe portare a un aumento da 2.900 a 3.154 euro [12].
4. Il referendum e la questione (aperta) della democrazia sindacale
È a questo punto necessario spendere due parole sulla vicenda del referendum, poiché essa risolleva una questione annosa, legata all’efficacia degli strumenti di democrazia sindacale. Premesso che si deve dare atto a Bruno Vitali, Segretario nazionale della Fim, che lo “spacchettamento” è effettivamente una procedura inusuale [13], vorremmo tuttavia riportare la discussione a un livello più generale. A tal fine, citiamo testualmente le chiarificanti parole di Giuseppe Della Rocca [14], che spiega che “il contenuto sostantivo degli interessi rappresentati da una associazione non è un dato ma è un problema […] che viene risolto attraverso un processo di negoziazione intra-organizzativo […] e inter-organizzativo” e che questo processo, nel caso del sindacato, “ubbidisce ad alcuni principi che distinguono la rappresentanza sindacale rispetto ad altre forme di rappresentanza in particolare quella politica” (p. 119). Dunque, prosegue Della Rocca, “per ottenere dei risultati è necessario che l’associazionismo sindacale debba essere innanzitutto finalizzato a creare una forte coalizione tra i propri appartenenti” (ibidem). D’altra parte, afferma l’autore, “non sempre il metodo appropriato per risolvere un contrasto inter-organizzativo e prendere delle decisioni è quello della maggioranza. […] La necessità, per avere successo, di essere organizzati, comporta che le decisioni per essere effettive ed efficaci debbano coinvolgere tutti coloro che sono interessati, di qui l’importanza del dibattito interno e della partecipazione che in questo caso non sono finalizzati a definire una maggioranza e/o una minoranza ma a convincere e ad educare in funzione di una scelta che tendenzialmente si auspica venga presa all’unanimità” (ibidem).
5. Alcune considerazioni finali sull’accordo e sul ruolo del sindacato
Proprio il risultato del referendum dovrebbe far riflettere l’ala più critica del fronte sindacale sul rischio concreto di perdere contatto con la base. In generale, la sconfitta subita dalla Fiom non fa bene all’immagine del sindacato. La rappresentazione che ne restituisce è quella di un’istituzione indebolita, divisa e conservatrice, incapace di cogliere le opportunità del cambiamento, esattamente il contrario di ciò di cui l’Italia ha bisogno [15].
Quanto all’accordo, è vero che esso chiede molto e concede poco ai lavoratori. Ma è pur vero che lascia aperti degli spazi alle organizzazioni sindacali, perché queste possano continuare a esercitare efficacemente l’azione di tutela, giocando tuttavia un ruolo costruttivo. Inoltre, offre prospettive di crescita, anche dal punto di vista occupazionale. E, in un periodo di scarso sviluppo, il Paese ha bisogno di scelte coraggiose in grado di sostenere e guidare la crescita, non di bloccarla.
NOTE
(1) Cfr. Casadei, C. (2008a), Il sindacato: c’è discontinuità, in Il Sole 24 ore – Economia e imprese, giovedì 1 maggio, p. 20.
(2) Cfr. Trigilia, C. 82008), Il sindacato e la sindrome della sinistra radicale, in Il Sole 24 ore, sabato 26 aprile , pp. 1-2.
(3) Fonti dei dati: Il Sole 24 ore – Economia e imprese, martedì 22 aprile 2008, p. 20; e Il Sole 24 ore, venerdì 25 aprile 2008, p. 3.
(4) Nata del 1947, la storica casa di Maranello è entrata a far parte del gruppo Fiat nel 1969, quando quest’ultimo ne acquisì il 50%. Nel 1988, le quote azionarie di proprietà della Fiat erano salite al 90%. Ad oggi, lo stesso gruppo Fiat ne detiene ancora l’85%.
(5) Forti tensioni si erano avute, poche settimane prima, nel corso della trattativa per l’introduzione dei turni di sabato alla Fiat Powertrain Technologies di Torino.
(6) Fonte dei dati: Il Sole 24 ore – Economia e imprese, giovedì 1 maggio 2008, p. 20.
(7) Maserati è di proprietà Ferrari dal 1997.
(8) Ferrari è articolata in due gestioni separate: una cosiddetta “industriale”, in cui vengono prodotte, assemblate e testate le vetture da strada e alcune parti di motore delle vetture di Formula 1; e una “sportiva”, che opera esclusivamente per la Formula 1. Fonderia e verniciatura sono due aree tecnologiche della gestione industriale. La fonderia, in particolare, è un’area chiave che gestisce l’intero processo di produzione delle varie parti di motore.
(9) Si tratta di un turno il cui orario (22.00-5.00) è appunto “sfalsato” di due ore rispetto al normale turno notturno (20.00-3.00), cui va a sovrapporsi consentendo una copertura oraria tale da mantenere gli impianti costantemente in funzione.
(10) Cfr. Pessa, P. (2007), Orari e lavori. La contrattazione degli orari nell’industria e nei servizi affini, Roma: Ediesse.
(11) Cfr. Casadei, C. (2008b), Ferrari, intesa senza Fiom, in Il Sole 24 ore – Economia e imprese, martedì 22 aprile, p. 20.
(12) Cfr. Di Nicola, E. (2008), Ferrari: le ragioni dell’accordo separato, in Il diario del lavoro – Nota, www.ildiariodellavoro.it, venerdì 13 giugno.
(13) Cfr., ancora, Casadei, C. (2008a), cit.
(14) Della Rocca, G. (1998), Il sindacato, in G.P.Cella, T. Treu (a cura di), Le nuove relazioni industriali. L’esperienza italiana nella prospettiva europea, Bologna: Il Mulino, pp. 95-146.
(15) Cfr. nuovamente, Trigilia, C. (2008), cit.


























