Quella del lavoro “non è una questione tra le tante, ma è la grande questione oggi sul tappeto”. Lo ha sottolineato il leader della Cgil, Maurizio Landini, nel corso della due giorni del sindacato confederale a Matera sui temi della cultura del lavoro e dell’Europa. “Non siamo di fronte alla fine del lavoro come qualcuno ha detto e ha scritto – ha detto – ciò che è accaduto è altro: da un lato si è voluto svalorizzare il lavoro credendo di essere per questa via più competitivi; dall’altro gran parte della politica non ha sentito più come propria la centralità della questione lavoro”.
Secondo Landini è invece “da questa centralità che bisogna ripartire”, ricostruendo “una cultura del lavoro”, che “non può essere considerato una merce qualunque che si usa quando c’è e si getta via quando non serve più. Per troppe persone oggi il lavoro non è tale da garantire un’esistenza dignitosa. Anche per questa ragione ci battiamo per uno sviluppo diverso dall’attuale. Perché non basta offrire, in particolare alle giovani generazioni, un lavoro. Occorre un lavoro decente capace di valorizzare le capacità, le competenze di ognuno e in grado di offrire condizioni di vita dignitose”.
Il numero uno della Cgil ha parlato di “una grande sfida: quella di ricostruire il senso e il valore del lavoro nella sua dimensione individuale e collettiva perché il lavoro è per noi diritto, costruzione politica e sociale, fondamento di cittadinanza e di libertà”. A maggior ragione nel pieno di una nuova rivoluzione tecnologica, “quella dell’intelligenza artificiale e della cosiddetta società della conoscenza. Le cui potenzialità sono grandi, ma si scontrano con poteri economici, scelte politiche, modelli culturali che premono per affermare la conoscenza quale bene privato piuttosto che pubblico”.
Landini ha anche affermato la centralità della contrattazione collettiva, , che “per noi significa la difesa e la valorizzazione erga omnes dei contratti nazionali e l’estensione del secondo livello di contrattazione”. Il leader della Cgil, Maurizio Landini, ribadisce la sua contrarietà all’ipotesi di salario minimo.
“Questo governo che parla di crescita e occupazione sui giornali non si cura affatto di preparare gli strumenti con i quali la crescita e l’occupazione possono essere messe in atto”. La critica è del leader della Cgil, Maurizio Landini, che aprendo la due giorni del sindacato confederale a Matera ha sottolineato che “contemporaneamente continua a ridursi la presenza nel nostro Paese dei grandi gruppi industriali”.
Landini ha ricordato la vendita di Magneti Marelli, che “anziché favorire risorse per gli investimenti serve per distribuire utili (2 miliardi) agli azionisti di Fca. Il nostro Paese continua così a isolarsi e non avendo nessuna politica industriale anche un settore finora trainante e avanzato come quello della componentistica rischia di pagare un alto prezzo”.
Secondo il segretario generale della Cgil “bisogna allora impedire, proprio a nome dell’equità e della sostenibilità sociale, che l’espropriazione della conoscenza attraverso il mercato, concepito come unico regolatore, produca e legittimi il consolidarsi di società sempre più divaricata tra una élite di alta professionalità e una grande area di lavoratori generici, precari, esclusi dal sapere e dalla conoscenza. Questo chiama in causa la nostra iniziativa, la nostra capacità di contrattazione che faccia valere i diritti per la tutela del lavoratore e per la sua dignità e affermi un nuovo campo di diritti, come il diritto alla formazione permanente, alla socializzazione delle conoscenze, al governo del tempo, all’informazione preventiva sulle trasformazioni dell’impresa”.
Uno spazio per un’Europa sociale e democratica “riteniamo ci sia” e “dobbiamo perseguirlo con l’iniziativa, la battaglia politica e culturale, non sottovalutando l’importanza del voto di fine maggio”. Il segretario generale della Cgil ha ricordato che “la scelta inedita di realizzare un appello unitario con Confindustria nasce da questa consapevolezza: c’è bisogno di Europa, con altrettanta chiarezza diciamo che per difendere il grande progetto di un’Europa unita c’è bisogno di cambiarla profondamente. Di cambiarla a partire dai diritti del lavoro e della sua qualità, dalla piena e buona occupazione alternativa alla dilagante precarietà, dall’aumento dei salari, dalla tutela di sicurezza sociale”.
Secondo Landini “far vivere l’Europa vuole dire battersi per una sua riforma. E ci deve essere uno scatto di tutto il mondo del lavoro perché se dovessero prevalere i diversi nazionalismi ciò significherebbe per lungo tempo compromettere la possibilità di dare vita a un’Europa dei diritti, a un’Europa sociale. L’Europa che vogliamo è quella del multilateralismo, della solidarietà, dell’inclusione. C’è bisogno di un processo politico che rafforzi il controllo democratico e il potere del Parlamento europeo a partire dall’iniziativa legislativa e non il diritto di veto dei governi nazionali. C’è bisogno di superare la logica dell’austerità che ha prodotto il fiscal compact. C’è bisogno di riformare le istituzioni economiche a partire dalla Bce, affinché acquisiscano anche l’obiettivo della piena e buona occupazione fino a completare l’unione bancaria. Cambiare l’Europa per farla vivere e dargli una prospettiva. Questo è il nostro impegno”.
“C’è bisogno di una svolta che affermi la necessità di costruire un modello sociale ed economico fondato sulla giustizia sociale, la democrazia, il lavoro, l’inclusione, la solidarietà. Questa è la battaglia da fare e che noi unitariamente intendiamo fare perché è l’unico modo per impedire che crescano divisioni, xenofobia, rifiuto del diverso, perché su di loro si scaricano le paure, le insicurezze, l’incertezza del futuro. “E tutto ciò – ha detto – lo ripetiamo non si può fare con le piccole patrie che riscoprono identità chiuse, ma con un’Europa sociale, capace di cambiare e rinnovarsi”.
“Abbiamo deciso di dedicare queste due giornate a una discussione pubblica sull’Europa, il lavoro, la cultura. E la facciamo qui a Matera, capitale europea della cultura per il 2019, perché qui in modo emblematico si evidenziano tuttti i problemi che penalizzano il Mezzogiorno e che ne fanno una grande questione nazionale. Senza il rilancio del Mezzogiorno, a partire da una infrastrutturazione sociale e materiale, non c’è sviluppo né per l’Italia né per l’Europa”. Ha spiegato il leader della Cgil
“Il patrimonio culturale di cui il Mezzogiorno è particolarmente ricco, ma non adeguatamente valorizzato – ha detto – è proprio una di quelle grandi infrastrutturazioni sociali che possono determinare un nuovo sviluppo di qualità, sia economico che di civiltà. Anche per questo ci chiediamo se c’è ancora spazio per una Europa sociale e democratica”.
L’Italia ha un “potenziale straordinario”: si contano ben 54 siti Unesco, “un potenziale non solo per l’economia, ma per la tenuta sociale e civile del Paese.
Eppure, dietro questo potenziale, c’è una realtà fatta di lavori precari, di imprese che operano solo sulla riduzione del costo del lavoro e delle ore di lavoro pur di aggiudicarsi appalti o concessioni, di costante disimpegno sul piano delle risorse”. “Ci sarebbe bisogno di politiche pubbliche adeguate, che richiedono l’abbandono di visioni parziali, di corporativismi istituzionali – ha proseguito – occorrerebbe un piano nazionale della cultura, della ricerca, dell’innovazione. Da decenni questo paese ne è privo”.
TN