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Home - Approfondimenti - Interviste - Landini, la politica non rappresenta il lavoro, serve una nuova unità sindacale

Landini, la politica non rappresenta il lavoro, serve una nuova unità sindacale

di Nunzia Penelope
27 Ottobre 2017
in Interviste
Landini, la politica non rappresenta il lavoro, serve una nuova unità sindacale

Il 2  novembre i sindacati andranno a Palazzo Chigi, finalmente ricevuti dal premier Gentiloni. Sul tavolo ci sarà la manovra, ma anche e soprattutto le pensioni, e in particolare l’innalzamento dell’età legata alle aspettative di vita. I sindacati hanno definito ‘’folle’’ l’ipotesi di alzare il tempo della pensione a 67 anni, e su questo sono tutti concordi. Il governo, da parte sua, ha gia’ detto che se ne puo’ parlare. Ma basterà per scongiurare uno sciopero generale che la Cgil sembra ansiosa di proclamare? E Cisl e Uil, nel caso, che faranno?

Maurizio Landini, intervistato dal Diario del Lavoro, e’ prudente. Non nega che ci siano differenze di vedute, tra le confederazioni: la Cisl, in particolare, sulla manovra da’ una valutazione diversa e meno drasticamente negativa. Quanto allo sciopero generale, sembra prendere tempo: “Intanto –dice- faremo le assemblee unitarie nei luoghi di lavoro, che saranno finalizzate anche a una possibile mobilitazione”.

Landini,  l’eventuale decisione sullo sciopero da cosa dipenderà?

Dalle risposte che riceveremo dal governo e dalla discussione nei luoghi di lavoro. C’e’ una legge di stabilità che va giudicata,  c’e’ una piattaforma, unitaria, sulle pensioni, sanità, ammortizzatori e lavoro e c’e’ un accordo col governo che prevedeva una serie di interventi. Se da un lato il governo ha rispettato gli accordi per quanto riguarda i contratti pubblici, non altrettanto ha fatto sulle pensioni. Punto sul quale Cgil, Cisl e Uil sono compatte.

Quindi?

Quindi, se le risposte del governo resteranno quelle attuali, e cioè che di pensioni non si parla, dovremo pensare a cosa fare. Certo, sempre meglio sul piano unitario. Ma vedremo, appunto, quali cose ci dirà la gente nelle assemblee.

E se il governo aprisse invece sulle pensioni?

Servono modifiche vere della Fornero, e non mosse elettorali. In ogni caso resterebbero comunque altre partite aperte. Per esempio, sulla sanità e quella sugli ammortizzatori sociali. Oggi i licenziamenti costano meno che la Cig, e dalla primavera 2018 verranno a scadenza i periodi di durata degli ammortizzatori sociali come sono stati ridisegnati dal Jobs act. Il rischio concreto e’ che numero enorme di imprese si troverà a dover fare licenziamenti collettivi.

La ripresa in corso non basta a scongiurare questo rischio?

No, perche’ la ripresa non e’ uguale dappertutto, ci sono zone, settori, dove i problemi non sono risolti. I dati generali dicono che cresciamo meno della media europea, e se e’ vero che come occupati siamo tornati ai livelli pre – crisi, c‘è più precarietà, salari più bassi, meno ore procapite lavorate e meno investimenti. La legge di stabilità non risponde a nessuno di questi problemi, mentre insiste con la decontribuzione. Su cui non siamo mai stati d’accordo. Alle imprese sono andati 40 miliardi in varie forme, ma le imprese non hanno fatto 40 miliardi di investimenti. Al massimo, 10 o 15. E’ sull’insieme di queste cose che vogliamo fare una discussione approfondita con i lavoratori. Inoltre, occorre una visione che non finisca con questa finanziaria. La questione delle pensioni va affrontata da oggi, ma riguarda anche e soprattutto il governo che verrà. Idem per Jobs act e scuola.

A proposito di scuola, c’e’ stata una protesta degli studenti contro l’alternanza scuola lavoro, che ne pensa?

Credo sia un’ occasione per riaprire la discussione sul rapporto tra studio e lavoro. Non si può trascurare che questa alternanza significa soprattutto lo sfruttamento degli studenti in attività manuali.

Ma serve a imparare a lavorare, ad avere un primo contatto col mondo del lavoro, non crede?

Giusto, ma allora lo si fa diversamente. Nelle fabbriche di Lamborghini e Ducati di Bologna vengono accolti 60 studenti dell’istituto tecnico, che svolgono in quelle sedi 7/800 ore di studio, imparano la teoria su come si costruiscono motociclette e automobili e vengono pure pagati per questo: 5/600 euro al mese. Io penso che la formazione questo debba essere: un diritto soggettivo, con quote pagate dalle imprese.

Quindi hanno ragione i ragazzi che protestano?

Vedo con favore che ci sia un senso critico dei ragazzi verso quello che sta succedendo. Quando dicono che non vogliono essere sfruttati. Se fai apprendistato, devi essere pagato.

Poi, resta che gli studenti devono poter  realizzare quello per cui hanno studiato, e questo può essere un elemento di nuova discussione: sul lavoro che verrà, sulle nuove tecnologie, su come orientarle, perché nulla e’ scritto nel destino e immutabile, e non riguarda solo i giovani, ma anche i 50 enni, che vanno formati nuovamente.

E allora come mai tanti ragazzi poi accettano poi per anni stage gratuiti o lavoretti sottopagati?

Sono le leggi varate negli anni che riaprono la possibilità di prestazioni ‘’schiavistiche’’ nel lavoro. Il paradosso e’ che ormai per far rispettare i diritti dei lavoratori dobbiamo chiedere non l’applicazione delle leggi, ma al contrario la loro non applicazione. Quindi, mettere in discussione l’alternanza scuola lavoro per come oggi viene realizzata significa rimettere in discussione il modo di lavorare e porre un problema di senso e qualità del lavoro.

Su alcune leggi che oggi si contestano il sindacato però non fece sentire granché la sua voce. Penso, soprattutto, alla Legge Fornero, che oggi, appunto, contestate. Nel 2011 l’avete accettata senza tanti problemi.

Vero. Sulla Fornero si fecero  solo tre ore di sciopero, di lunedi. Anche per questo oggi la dobbiamo cambiare. All’epoca la riforma pensioni fu fatta sull’onda della crisi speculativa e sul rischio del fallimento del paese. Inoltre, gli effetti della riforma si videro nella loro intensità solo alcni mesi dopo, vedi esodati. Poi, che le organizzazioni sindacali non abbiano fatto quello che dovevano, e’ un errore che riconosciamo. E proprio perché questa e’ una ferita ancora aperta tra la nostra gente, stavolta questa battaglia sulle pensioni la vogliamo fare sul serio e fino in fondo.

Che cosa pensa del ministro Carlo Calenda? Spesso si schiera a favore dei lavoratori almeno quanto voi.  Vi piace?

Vedra’ che non è esclusa la possibilità di litigare presto anche con Calenda: su questa storia dell’Ilva non basta richiedere la garanzia degli stipendi, c’e‘ il piano ambientale, il piano industriale, la presenza pubblica nell’assetto societario e il grande il problema degli esuberi da togliere dal tavolo. Altrimenti significa che l’acquirente non ha alcuna intenzione di fare quello che sostiene nel piano industriale: quei valori di produzione non si realizzano con così pochi dipendenti. Il problema resta sempre quello: non c’e’ alcuna rappresentanza politica del lavoro.

Eppure tutti parlano di lavoro, continuamente.

Ne parlano, appunto. Ma ricostruire una rappresentanza del lavoro significa che la politica deve mettere al centro il lavoro, pensare a un modello sociale e di sviluppo – cosa produco, come, perché, con chi – che incrocia la politica industriale, ma anche il fisco: non solo far pagare meno tasse, ma farle pagare a tutti. Un progetto di società diverso.

Se la politica incapace di dare risposte al mondo del lavoro, come se ne esce?

Paradossalmente, l’unica rappresentanza del lavoro, l’unica indicazione sociale, oggi e’ nella chiesa di papa Francesco. Il punto di vista più radicale che ho letto è nella sua enciclica e nelle parole d’ordine della settimana sociale svolta a Cagliari. E il fatto che sia il Papa, e non il mondo del lavoro, a proporre questo pensiero, significa che la finanza ha imposto il suo punto di vista davvero a tutti.

Che ruolo e che colpe ha il sindacato in tutto questo?

Il sindacato deve a sua volta cambiare. Alcuni punti fermi: la rappresentanza, che coinvolga tutto il mondo del lavoro, anche quello autonomo; la democrazia, basata sulla partecipazione, sul far decidere le persone. E questo ci porta all’unita’ sindacale:  noi oggi abbiamo tre confederazioni per ragioni squisitamente politiche, ciascuna riferiva a raggruppamenti politico precisi, che tuttavia, come ho detto, oggi non esistono più. Eppure continuiamo ad avere tre organizzazioni sindacali, anzi, molte di più, e con meno iscritti. Per questo non ha senso la divisione sindacale su base politica, perché non ci sono più i partiti. Occorre una nuova democrazia e autonomia sindacale che non risponda più alla politica. Occorrono strumenti legislativi, una legge sulla rappresentanza, che valga per noi e per le imprese. Questo può aprire la strada a una nuova unità sindacale. Io penso che il sindacato confederale debba discutere di questo se vuole avere un futuro.

La vostra carta dei diritti e’ una base su cui costruire tutto questo?

Si, e la novità e’ infatti che si rivolge a tutto il mondo del lavoro, anche autonomo non solo dipendente. 

Ma l’avete fatta da soli, senza Cisl e Uil. Che base può essere per una nuova unità sindacale?

Ci siamo assunti la responsabilità di discuterne con i nostri iscritti, attraverso una consultazione che e’ stata straordinaria per ampiezza. E la offriamo alla discussione anche delle altre organizzazioni sindacali. Non e’ una proposta che punti ad escludere le altre confederazioni, assolutamente.

Tra i tanti problemi del mondo del lavoro c’e’ anche quello dei salari troppo bassi, ma il sindacato tende a non affrontare questo tema. Secondo alcuni, vi siete accomodati sul welfare contrattuale, proprio per evitare di dover battagliare con le imprese sulle buste paga. E’ cosi?

Il welfare contrattuale ha preso piede per il semplice motivo che esiste una legge che lo incentiva, detassandolo. E’ un elemento decisivo: se a un lavoratore chiedi se preferisce un aumento in busta paga, massacrato dalle tasse, o uno in welfare, detassato, cosa pensa che risponda? Penso che noi dobbiamo evitare che questi elementi siano messi in competizione tra di loro. Nella contrattazione nazionale dovranno esservi aumenti sui minimi contrattuali, elementi di welfare ed aspetti normativi. A cui si deve aggiungere la contrattazione aziendale e/o territoriale.
In questa fase di scarsa presenza d’inflazione ed in assenza di un modello contrattuale condiviso tra le parti è stato per tutti difficile portare a casa salario fresco. Inoltre il contratto nazionale per essere valido è stato sottoposto al voto referendario dei metalmeccanici non solo per accordo tra le organizzazioni sindacali ma anche con la firma di Federmeccanica. Il diritto alla formazione, l’incremento del contributo per la previdenza integrativa ed il rimborso di spese sanitarie che abbiamo ottenuto per tutti i metalmeccanici sono in ogni caso diritti e soldi che restano in tasca al lavoratore. Il rimborso di alcune spese sanitarie che abbiamo ottenuto nel contratto dei metalmeccanici, invece, sono soldi che restano in tasca al lavoratore. Inoltre, prima queste erogazioni le decideva l’azienda unilateralmente, oggi le contratta il sindacato sulla base dei bisogni reali. Inoltre si è affermato il mantenimento di 2 livelli contrattuali. Ora sindacalmente va qualificata la nostra azione in azienda sull’organizzazione del lavoro. A me sembra un notevole passo avanti.

Nunzia Penelope

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