E niente: il sindacato, pur con tutti i suoi difetti, ha una predilezione per la concretezza che la politica non ha, o che forse ha perso. Una prova in più arriva dal dibattito organizzato al congresso Cgil con i capi dell’opposizione parlamentare: Elly Schlein, Carlo Calenda, Giuseppe Conte e Nicola Fratoianni, più ovviamente il padrone di casa, Maurizio Landini, moderati da Lucia Annunziata, che libera dalle regole della par condicio televisiva esordisce affermando: “con la Cgil mi sento a casa mia”. Ma non c’è dubbio che li, sul palco del Palacongressi di Rimini, si sentano un po’ tutti “a casa loro”. La formula, del resto, l’hanno già sperimentata otto mesi fa, all’Acquario di Roma, quando Landini li convocò per chiedere ai rappresentanti dell’area progressista se e come intendessero tornare a rappresentare il mondo del lavoro. Oggi il clima è differente, gli stessi leader che a luglio stavano nel governo con Draghi oggi sono all’opposizione di Meloni. E il tema è, appunto, come fare l’opposizione, come ritrovarsi uniti e compatti almeno su questo fronte, considerando che le divisioni precedenti hanno portato come risultato la vittoria della destra, e, data la sede e l’interlocutore, cioè il sindacato, anche come ricongiungersi con un mondo del lavoro sempre più lontano dalla politica dei partiti.
I quattro leader iniziano dunque illustrando, ciascuno, il proprio programma. Schlein (la più applaudita dalla platea cigiellina) apre proponendo innanzi tutto una piattaforma comune su sanità pubblica e scuola, a cui aggiunge: legge sulla rappresentanza, salario minimo, modello spagnolo contro la precarietà del lavoro. Condivisione immediata da parte di Fratoianni, che di suo aggiunge anche: riduzione dell’orario di lavoro e tassa patrimoniale. E ribadisce la necessità di una alleanza tra le forze di opposizione, per evitare altri “suicidi come per le politiche, come per il Lazio”. Poi tocca a Conte, che esordisce spiegando che i “suoi” Cinque stelle possono essere definiti “forza politica”, scansando le vecchie formule di “movimento” e “partito”. La sua proposta: partire dalla difesa della Costituzione, che deve diventare “l’humus primario”, per poi realizzare una serie di “patti”: su istruzione, sanità, mercato del lavoro, produttività, lotta alle diseguaglianze. E naturalmente il tutto “con una visione ecologica”.
Ci tiene anche, l’ex premier di due governi con due colori diversi e opposti, a ricordare che “il salario minimo è una nostra vecchia battaglia” (giusto per non farsi scippare il primato da Schlein, che già ne sta facendo una propria bandiera) ma ovviamente “senza togliere forza alla contrattazione”. E ancora, la riduzione d’orario, certo, ricordando che “in Italia vige ancora la legge del 1923 sulle otto ore”, (anche se non sono più esattamente quelle da un pezzo). Aggiunge, per accarezzare la platea: “il Jobs Act è un fallimento”. Suona un po’ come il fantozziano “la corazzata Potemkin è una boiata pazzesca” e il risultato è uguale: ovazione dal pubblico in sala.
La parola passa a Calenda, che come la fata cattiva delle fiabe rovina subito la festa: “Mi chiedo: potrei mai governare con le persone su questo palco? No”. Spiega: “non condivido innanzi tutto la linea in politica estera, cioè sull’Ucraina”, e agli immediati fischi dalla platea replica: “volete che vi canti All you need is love, o che vi dica come la penso?”. Dicci come la pensi, Carlo, certo, siamo democratici. Ok, allora ve lo dico: ‘’il Jobs act non è affatto un fallimento, ha creato un milione duecentomila posti di lavoro”. Altri fischi. Calenda non si fa intimidire, prosegue imperterrito a mettere le dita negli occhi ai compagni di palco e di platea: “quella idea di ambiente che avete voi, cioè Pd e 5 stelle, non garantisce la sopravvivenza della manifattura in questo paese”. Servono termovalorizzatori, servono rigassificatori, servono insomma tutte quelle cose per cui, anzi, per molto meno, sono caduti governi e si sono perse elezioni.
Poi certo, per fortuna, ci sono le cose sulle quali ci si può unire: la sanità, innanzi tutto, sulla quale Calenda propone una mobilitazione nazionale – e tutti concordano – e la scuola, a partire dalla stabilizzazione dei precari. Ma, ricorda Calenda, bisogna sapere che per potenziare scuola e sanità a qualcosa bisogna rinunciare: per esempio a diminuire l’età pensionabile, visto che la spesa previdenziale è il doppio di quella per sanità e scuola. Dalla platea gridano: “ci vuole la patrimoniale!”. Proprio no, replica il leader di Azione: “in Francia la patrimoniale ha portato in cassa meno di 400 milioni di euro: e che ci finanzi, con 400 milioni? Ma volete leggerveli due numeri, prima di parlare a vanvera?”. E ancora, rivolto ai compagni di palco: “io faccio il mio mestiere, cercando di fregare voti alla destra, voi invece cercate di fregarveli tra voi”. Conte chiosa: “Lo sappiamo, in parlamento votate con la destra”. Calenda si inalbera: “e quando mai lo avrei fatto? Ho votato con la destra sull’Ucraina, ma allora è di destra anche il Pd, che ha votato come me”. E poi: “so benissimo di non essere popolare, qui”. Conte stempera: “dai, hai preso anche qualche applauso”.
A questo punto Landini si spazientisce. “Vi ho invitato per avere un confronto vero, ma devo ricordarvi che voi avete perso le elezioni: chi non è andato a votare evidentemente ha pensato che nemmeno voi meritavate il suo voto. Siamo in mezzo a una crisi democratica senza precedenti, 18 milioni di persone non hanno votato, per recuperare la fiducia degli elettori servono proposte concrete. Questo va capito: altrimenti, questa discussione possiamo andare a farla al bar”. La concretezza, per Landini, è innanzi tutto il tema fisco, in verità poco citato dai quattro politici sul palco: “mi sono rotto le scatole di pagare anche per gli evasori – scandisce – Non è possibile che il 90% dell’Irpef sia a carico di lavoratori e pensionati, non è possibile che si siano ogni anno 100 miliardi di evasione. Il fisco è il terreno per un nuovo patto di cittadinanza, è la madre di tutte le battaglie”.
Il sindacato non ha ricette in tasca, aggiunge il segretario della Cgil, ma qui, al congresso, “abbiamo cercato di proporre un progetto per il paese. Su questo vorremmo confrontarci con voi, perché se non si recupera la fiducia dei cittadini il modello autoritario finirà per prevalere. Dunque, vi prego, fate uno sforzo per andare oltre il “sono d’accordo, non sono d’accordo” su un tema o l’altro. Questo incontro è solo un inizio, cerchiamo di andare avanti insieme, con concretezza”. Elly Schlein raccoglie l’invito con entusiasmo: “Carlo, Nicola, Giuseppe, vediamoci anche fuori da qui, lontano dalle telecamere, chiudiamoci in una stanza e non usciamo finché non troviamo qualcosa da fare insieme, una alternativa, per non far vincere di nuovo quegli altri”.
Buona volontà, insomma, ce n’è quanta se ne vuole, ma che i quattro leader dell’opposizione riescano davvero a trovare una solida strada comune, a oggi, dopo aver seguito questo dibattito, sembra abbastanza complicato. Intanto, domani, “quegli altri” saranno a loro volta su questo palco, nella persona della premier Giorgia Meloni. Molta curiosità per quello che avrà da dire.
Nunzia Penelope