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Home - Approfondimenti - Analisi - L’asse deve restare il contratto nazionale

L’asse deve restare il contratto nazionale

17 Febbraio 2005
in Analisi

di Carla Cantone – Segretario Confederale della Cgil

Veniamo da una stagione significativa di importanti rinnovi contrattuali conquistati con tutte le difficoltà conosciute e, contemporaneamente, nel mezzo di trattative difficili e complicate per il rinnovo di altri contratti.
Molte difficoltà sono state determinate dall’attuale Governo, che dal suo insediamento ha riproposto uno scenario economico basato sulla indicazione di un tasso d’inflazione assolutamente falso e sulla previsione di risorse economiche per il rinnovo dei contratti in piena violazione del protocollo del luglio ’93.
Siamo in un periodo in cui è esplosa la questione salariale, sia in termini quantitativi che qualitativi, si è determinata una crescita salariale sensibilmente inferiore alla dinamica inflazionistica e alla produttività, con una diminuzione della quota della distribuzione di reddito verso il lavoro dipendente.
Abbiamo una situazione salariale contrattualmente molto diversa da quella di 10/15 anni fa. Il grado di copertura del Ccnl è sceso dal 90% al 70%, di fatto un terzo della dinamica retributiva è determinato da fattori esterni al Ccnl e almeno la metà di quella fuori dal Ccnl è rappresentata dalla contrattazione di secondo livello, l’altra metà sfugge alla contrattazione e spesso è gestita unilateralmente dalle aziende.
A chi vuole ripristinare le gabbie salariali e la necessità di una forte articolazione per settori è bene ricordare che esiste già una differenza tra Nord, Centro e Sud del Paese: i differenziali retributivi tra Centro-Nord e Sud sono passati da –4,4% a sfavore del Sud nel 1993 al –13% nel 2000. Inoltre, esiste un notevole differenziale salariale tra i diversi settori ed anche all’interno dell’industria manifatturiera. Un esempio per tutti: se consideriamo la contrattazione complessiva, nazionale e di secondo livello, la retribuzione del chimico-farmaceutico è di circa il 35% superiore al settore tessile, e chiaramente questo dipende dalla diversa profittabilità dei due settori.
La crescita delle retribuzioni di fatto, cioè quelle reali, è stata nettamente inferiore alla crescita della produttività, che è aumentata a un tasso medio annuo superiore a quello delle retribuzioni dello 0,3% nel commercio, dello 0,7% nell’industria e di oltre 1% per l’intera economia. Il peso relativo del monte-retribuzioni sul Pil è sceso dal 36% del periodo 1980-’82 al 29,5% del 1996/2001. Essendo il valore di 1 punto % del Pil di circa 20.000 miliardi di vecchie lire, abbiamo avuto un trasferimento massiccio di ricchezza dalle retribuzioni ai profitti e vendite. La contrattazione articolata nell’industria riguarda il 38,5% di lavoratori nell’insieme delle imprese con un numero di dipendenti superiore a 10 ed il 53,3% in tutte quelle con almeno 50 dipendenti. Questi dati riportati sono valori medi, nelle imprese più piccole il tasso di copertura della contrattazione articolata è inferiore. Ad esempio, in quelle industriali tra i 10 e i 15 dipendenti è solo del 5,5%.
I giovani entrati nel processo produttivo negli ultimi anni hanno un diverso regime retributivo, essendo in grande parte assunti con rapporti di lavoro precario, e sono prevalentemente esclusi dalla contrattazione storica di secondo livello malgrado l’impegno delle categorie.
Rimane aperta, quindi, più in generale la questione della precarietà e dei diritti, per cui non possiamo che ribadire che continueremo la nostra azione di contrasto a tutti i livelli. Le politiche attive del lavoro e le sue regole non sono ininfluenti rispetto ai compiti della contrattazione e al valore che diamo sia al Ccnl che alle funzioni della contrattazione decentrata. E dunque, agire per rendere competitivo il sistema produttivo, favorire crescita e occupazione, pretendere interventi per aggredire la crisi e il declino, e assunzioni di responsabilità del sistema delle imprese e del Governo per bloccare il declino ed invertire la tendenza, tutto questo è fondamentale per sviluppare una contrattazione acquisitiva anziché difensiva.
In questo quadro si è sviluppata la discussione in Cgil sulle politiche contrattuali, il modello, le regole ed i contenuti rivendicativi per i rinnovi contrattuali di categoria.
La Cgil ritiene che non si può rinunciare ai due livelli di negoziazione, estendendo la praticabilità effettiva del 2° livello nelle sue articolazioni, così come la funzione universalistica del Ccnl, non può essere una parola vuota. Il Ccnl è per noi uno strumento indispensabile di equità redistributiva per l’aumento dei salari. Senza di esso, una parte rilevante dei lavoratori e delle lavoratrici non potrebbe modificare in meglio la loro condizione di vita, e diventa complicato recuperare autorità salariale e normativa per tutti se si altera il ruolo del contratto nazionale stesso.
Ciò non significa, per la Cgil, considerare meno importante la contrattazione articolata. Anzi, ritiene che debba essere valorizzata e qualificata, sia per riappropriarci di un ruolo incisivo sull’organizzazione del lavoro, sulle condizioni di lavoro, sulla qualità del lavoro e determinarne le condizioni per l’incremento della produttività aziendale da redistribuire.
La valorizzazione, il ruolo e le funzioni del Ccnl passano per la riqualificazione del suo impianto complessivo. Per definire la richiesta salariale riferita all’inflazione del periodo di vigenza contrattuale, occorre partire dalla inflazione prevedibile, superando quella programmata del Dpef, e garantire gli eventuali scostamenti dentro la durata del contratto, evitando qualsiasi forma od obiettivo che porti al federalismo contrattuale, e va inoltre recuperata una quota di produttività del settore di riferimento.
Si ritiene opportuno, in rapporto alla scarsa realizzazione della contrattazione di 2° livello nella realtà produttiva con pochi dipendenti, prevedere uno strumento, nel contratto nazionale, affinché la parte di produttività da destinare alla contrattazione aziendale possa essere usufruita anche in posti di lavoro in cui la contrattazione decentrata non venga realizzata, per assicurare comunque a tutti i lavoratori di recuperare quote di produttività. Non si tratta di una novità, esperienze in tal senso sono già presenti sia nel pubblico che nel privato, seppur con criteri e finalità diversi, perché diverse sono le controparti, la struttura produttiva e la storia contrattuale. Rimane una possibilità in più, che può favorire l’erogazione di quote di produttività ad una platea più ampia dell’attuale.

redazione

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