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Home - Approfondimenti - Analisi - L’attività delle Università e dei consulenti del lavoro

L’attività delle Università e dei consulenti del lavoro

1 Ottobre 2007
in Analisi

di Germana Di Domenico e Manuel Marocco – ricercatori ISFOL*

1. L’universo dei nuovi soggetti legittimati, previa autorizzazione, ad operare sul mercato del lavoro è particolarmente ampio ed articolato, contemplando, oltre alle Agenzie per il lavoro (autorizzate a svolgere attività di somministrazione, di ricerca e selezione, di outplacement e/o di intermediazione), anche i soggetti autorizzati “in regime speciale” (Università, Scuole, Camere di Commercio, Consulenti del lavoro, Parti sociali e loro Enti bilaterali). Le considerazioni che seguono nascono dalla lettura dei dati dell’ultimo dei monitoraggi condotti dall’Isfol relativamente proprio a quest’ultima platea di soggetti, che abbiamo definito “Intermediari speciali” 1. , ed in particolare alle Università ed alla Fondazione appositamente istituita dall’Ordine nazionale dei Consulenti del lavoro.
Su un totale di 77 Atenei (tra cui 1 Fondazione universitaria) oggetto di apposita rilevazione C.A.T.I. finalizzata a rilevare i servizi di intermediazione e, in senso stretto, di job placement da essi attivati a fine 2006, 56 dichiarano di espletare tali attività, in particolare l’88% a livello centrale ed il restante 12% per singole Facoltà 2. La platea di riferimento è per il 90% costituita dai propri iscritti che pertanto beneficiano dei percorsi di inserimento professionale attivati dalle Università, ove la componente residuale (decisamente marginale) contempla anche utenti esterni.
Per quanto concerne il periodo di attivazione dei servizi di intermediazione, oltre la metà delle strutture dichiara di aver promosso servizi di intermediazione da più di 3 anni, nel 16% dei casi avvalendosi di uno spazio fisico ad hoc (sportello) e per lo più (46% circa) di team con un numero medio di 3 addetti a ciò appositamente dedicati. Va tuttavia sottolineato che oltre il 60% delle Università intervistate ritiene che il personale dedicato a questo servizio non sia ancora sufficientemente  adeguato alle specificità della funzione di intermediazione, sotto il profilo quali-quantitativo; analogamente, nel 41% dei casi si dichiarano criticità in ordine alle risorse strumentali. Ciononostante si rileva come circa il 30% delle Università abbia attivato una connessione telematica con la Borsa continua nazionale del lavoro (Bcnl), in particolare motivandone l’utilità a fini di consultazione delle vacancies e dei candidati, come pure alla possibilità di interagire con altri operatori. Le criticità del sistema riscontrate dai soggetti che si sono connessi alla Bcnl riguardano aspetti legati a componenti di ordine tecnico.

Se la quasi totalità degli Atenei dichiara di promuovere l’incontro tra domanda e offerta di lavoro, attraverso “eventi dedicati” e il mezzo comunicativo, circa l’84% di essi ha affettivamente attivato un servizio di gestione dell’incontro tra domanda e offerta (predisposizione di banche dati, organizzazione di fiere del lavoro, realizzazione di strumenti informativi, monitoraggio dei flussi di utenza). Azioni di orientamento professionale (colloqui formativi, assistenza alla redazione del curriculum, seminari o workshop tematici) sono svolte in circa il 76% dei casi; per quanto concerne le attività formative finalizzate all’inserimento lavorativo (realizzate dal  67% del gruppo di osservazione), le Università dedicano particolare attenzione alla ricognizione dei fabbisogni professionali aziendali e territoriali, con la finalità di potenziare le attività tese a favorire il processo di transizione tra sistema educativo-formativo al mondo del lavoro e quindi l’inserimento lavorativo.
Sul versante delle relazioni attivate con altri operatori del mercato dell’intermediazione,  emerge una maggiore intensità di rapporti con Scuole e Comuni e si osserva come la modalità di interazione prevalente sia rappresentata dallo strumento della “convenzione” in via generalizzata con tutti i soggetti interessati.
Rispetto alla direzione verso cui tali relazioni tendono a svilupparsi, la pressoché totalità della Università intende muoversi nel senso della complementarietà delle rispettive azioni, promuovendo azioni volte alla condivisione delle informazioni e dei dati e alle integrazione delle rispettive attività. Con riferimento specifico ai Servizi pubblici per l’impiego (Spi), circa il 50% delle Università dichiara di avere relazioni con il sistema Spi, di queste la metà ne indica la natura formalizzata, sebbene nel 67% dei casi si tratti comunque di rapporti sporadici.


2. Anche nel 2006 la “Fondazione dei consulenti del lavoro”, costituita dal Consiglio Nazionale dell’Ordine ed autorizzata dal Ministero del lavoro all’inizio del 2005, è stata coinvolta nel monitoraggio Isfol dei nuovi operatori privati del collocamento. Si tratta di un operatore autorizzato all’esercizio dell’attività di intermediazione, secondo uno dei “regimi particolari” disciplinati dalla Legge. Nel caso specifico, e sintetizzando, la specialità del regime autorizzatorio attiene, non tanto alla procedura amministrativa diretta al controllo di legittimità dei requisiti necessari per l’esercizio di detta attività – insomma la Fondazione non beneficia, diversamente dalle Università, di una autorizzazione ex lege – quanto, appunto, alla deroga rispetto a taluni dei vincoli imposti in capo alle ordinarie Agenzie per il lavoro  3.
Si noti che è stata attribuita alla Fondazione la facoltà di instaurare un rapporto di mandato con i singoli professionisti iscritti all’Ordine, incaricati “a svolgere, in nome e per conto della Fondazione stessa, tutte le azioni necessarie alla attività di intermediazione, nonché tutte le azioni a essa collegabili”. Sicché, di fatto, i singoli consulenti del lavoro delegati agiscono quasi in veste di “filiali” dell’organismo nazionale.
A differenza ancora delle Università, la Fondazione è abilitata esercitare, oltre alla intermediazione, anche attività di consulenza aziendale e vale a dire “ricerca e selezione di personale” e “supporto alla ricollocazione professionale”. Si tratta cioè di soggetto potenzialmente polifunzionale, sebbene solo nel campo della mediazione tra domanda ed offerta di lavoro, essendo esclusa la possibilità di intervenire in via diretta nella relazione lavorativa e vale a dire di svolgere attività di somministrazione di lavoro.
Peraltro – passiamo così ad analizzare le informazioni relative al 2006 – risulta che, in effetti la Fondazione, almeno per il momento, si sia orientata verso una polifunzionalità, per così dire, parziale. Infatti, oltre, chiaramente, all’attività per la quale ha ottenuto l’autorizzazione, ha dichiarato lo svolgimento della sola attività di ricerca e selezione di personale.
 
Nel corso del 2006 si è rafforzato tra i professionisti di riferimento l’interesse allo svolgimento delle attività di “mediazione”: se dall’ultimo monitoraggio risultava il conferimento di oltre 850 deleghe, al momento in cui si scrive, detto numero si è incrementato circa del 31%, per un complesso di 1116 “filiali” della Fondazione 4. Per avere un metro di paragone, seppure in parte improprio 5, si pensi che, in numeri assoluti, in Italia attualmente esistono circa 560 Centri per l’impiego provinciali e che, dagli ultimi dati ricavabili dall’indagine Isfol relative alle agenzie per il lavoro in corso di pubblicazione, una agenzia di somministrazione generalista di grandi dimensioni ha dichiarato di avere 143 filiali. Rimane da vedere se a tale capillarizzazione territoriale della Fondazione, in termini assoluti la più significativa fra tutti i nuovi attori del mercato del lavoro – in quanto, di fatto, supportata da una rete di professionisti preesistente – corrisponda poi una capacità di intervento sul mercato del lavoro altrettanto “potente”. Insomma se la maggiore dimensione equivalga ad una maggiore capacità di penetrazione del mercato della intermediazione.
Quanto alla distribuzione territoriale dei professionisti affiliati al momento dell’intervista, pari a 1017 soggetti, si conferma in primo luogo la presenza della Fondazione, attraverso i suoi “rappresentanti”, in tutto il paese; in particolare se nel Nord del paese, considerato nel suo complesso, è presente il maggior numero di “filiali” (il 45%), comunque il Mezzogiorno con il 29% garantisce una “rete” di intermediari cospicua, così come del resto il Centro (26%)  .
Sulla base dei dati disponibili si è tentato di analizzare se, a detta emersione, per così dire, “istituzionale”, corrisponda in effetti anche una adeguata penetrazione nel mercato.


In primo luogo, si è chiesto il “fatturato” della Fondazione per l’esercizio della attività di intermediazione realizzato nel primo semestre 2006. Sulla base del particolare meccanismo di ripartizione dei corrispettivi ricevuti dalle aziende committenti – il 90% a favore del consulente a titolo di compenso e il restante 10% alla Fondazione stessa, a ristoro delle spese sostenute (lucro oggettivo) – risulta un importo pari a 18 mila euro, che, appunto, costituisce il 10% dei compensi nel complesso ricevuti dai consulenti delegati (180 mila).
Se ci si muove dalla considerazione che i singoli professionisti costituiscono altrettanti “sportelli” della organismo costituito dall’Ordine nazionale dei consulenti, ne deriva che tale ultimo complessivo fatturato colloca, di fatto, la Fondazione tra le Agenzie per il lavoro appartenenti alla classe intermedia di fatturato, ma, in verità, molto prossima a quella più bassa, pari a 170.000 €. Infatti utilizzando i dati dell’ultimo monitoraggio Isfol, la Fondazione fa parte di quel 30% delle agenzie raggiunte dall’indagine che ha dichiarato un fatturato tra i 170.001 e 1.100.000 euro. Tale capacità di penetrazione del mercato è confermato dall’incrocio del dato relativo alla numerosità degli operatori affiliati con quello relativo alla raccolta di curricula dei potenziali lavoratori, attività propedeutica allo svolgimento dell’attività di matching tra domanda ed offerta di lavoro.
Se ne ricava, di fatto, quasi un rapporto di uno ad uno tra “sportelli” e “curricula”. Tale dato può essere diversamente interpretato. In effetti potrebbe ritenersi, paradossalmente, una perfetta corrispondenza tra offerta di lavoro e operatori per l’incontro con la domanda di lavoro. Tuttavia, appare più verosimile l’ipotesi che canali informali di ricerca continuino a prevalere, anche in questo caso, preferendo la domanda ancora rivolgersi ai primi, piuttosto che ai secondi, per sopperire alle proprie esigenze di ricerca di personale.
Quanto, comunque alle caratteristiche dei curricula raccolti, si conferma in larga misura quanto già si era rilevato con riguardo ai dati del 2005. A fronte di un numero complessivo pari a 1008 CV raccolti (nel 2005 erano 1076), in primo luogo non si evidenzia più alcuna prevalenza di genere ..Sebbene vada rilevato che, disaggregando territorialmente lo stesso dato, tale omogeneità non risulta sempre confermata. Così in Lombardia i curricula raccolti appartengono in misura prevalente a donne (129 contro 74), come anche in Abruzzo, Lazio e in Emilia Romagna, seppure in misura minore; al contrario Calabria e Campania si distinguono per un rapporto di genere invertito, con una prevalenza, più o meno marcata, di quello maschile.
Dal questionario, risulta inoltre confermato che la netta maggioranza dei CV trattati appartengono a soggetti con titoli di studio elevati: il 45% con diploma di scuola secondaria superiore o qualifica professionale e ben il 32% con titolo universitario. I dati pertanto raffigurano una “clientela” di alto profilo, considerando che secondo l’Istat  soltanto l’11, 3% dei disoccupati è in possesso di un titolo universitario e che, soprattutto, ben il 39,5% è in possesso della sola licenzia media.
 
Tornando nuovamente alla “capacità collocativa” dei Consulenti del lavoro ed ad ulteriore dimostrazione che la nuova funzione ad essi attribuita dal Legislatore – perlomeno al momento dell’intervista – stentava ancora ad affermarsi, può essere utile sottolineare che, nel primo semestre 2006, la Fondazione ha dichiarato l’affidamento di 123 incarichi da parte di aziende committenti, per attività sia di intermediazione, che di ricerca e selezione di personale. In effetti, a tali incarichi è corrisposto l’avviamento, nello stesso periodo, di 104 lavoratori, prevalentemente appartenenti alla classe di età tra i 30-49 anni, in genere mediante contratti di lavoro dipendente, sia a tempo indeterminato che determinato.
Si può arguire, in definitiva che, se il regime speciale di favore previsto dal Legislatore in favore dei singoli professionisti – non più tenuti, come si poteva inizialmente arguire, alla creazione di una agenzia per l’esercizio dell’intermediazione – abbia in effetti conferito maggiore trasparenza al mercato, realizzando così una emersione “soggettiva”, non può però dirsi ancora sufficientemente sostenuta una emersione “oggettiva” e cioè relativa alle attività di promozione del matching tra domanda ed offerta esercitata dai consulenti del lavoro.


3. Il monitoraggio Isfol sui nuovi attori del mercato del lavoro, siano essi pubblici e privati, comincia a consolidarsi, come dimostrato da questo lavoro che, seppure relativo a due specifiche categorie di intermediari, le Università e la Fondazione dei consulenti del lavoro, è in grado di mostrare un quadro che, nel breve arco di un semestre, si modifica, adeguandosi al nuovo regime legale, nonché, con probabilità, alle esigenze della domanda ed offerta di lavoro.
Certo che il nostro monitoraggio, anche per la metodologia di indagine adottata, riesce a cogliere soprattutto le evoluzione organizzative-funzionali del settore, piuttosto che il volume di attività prodotto da ciascun attore, ma del resto a tale scopo esistono altre fonti; la dimensione qui indagata, d’altro canto, ci pare, stante anche la relativa novità della riforma, ancora necessaria per rispondere al quesito fondamentale posto dalla stessa ratio legis: il mercato della intermediazione è più trasparente di quanto non fosse in precedenza?
In proposito ci si deve innanzi tutto interrogare su quanto e in che modo il nuovo regime legale abbia inciso sui processi di emersione dei due attori qui indagati in qualità di “intermediari”.
Da questo punto di vista sembrerebbe che più che il regime legale, è il posizionamento pregresso degli operatori sul mercato a “pesare”; infatti, provando a comparare i “costi” e i “benefici” che derivano dall’applicazione della normativa (e in questo senso dal processo di istituzionalizzazione), sembra potersi ricavare una sostanziale “compensazione” tra gli stessi. Sicché le scelte degli operatori non verrebbero tanto influenzate dai requisiti legali, bensì dal loro precedente posizionamento sul mercato, nonché dalla capacità di affermarsi nello stesso. In estrema sintesi, si può osservare come, a fronte di oneri legati all’assolvimento dei requisiti legali imposti per l’esercizio dell’attività di intermediazione, più contenuti per le Università (data la possibilità di operare ope legis) e significativamente più importanti per la Fondazione, si riscontri per entrambi gli operatori oggetto d’indagine una sostanziale “compensazione” dei costi, complessivamente considerati, con i vantaggi derivanti dall’istituzionalizzazione del ruolo di intermediari; vantaggi di carattere soprattutto materiale per la Fondazione (beneficio di ordine economico per gli affiliati che esercitano a fini di lucro l’intermediazione, nonché la ricerca e selezione e l’outplacement) e sostanzialmente “immateriale” per le Università (economie organizzative).


Diversamente, se analogo tentativo di analisi fosse applicato ai singoli professionisti, ne risulterebbe un posizionamento netto più vantaggioso: alla possibilità di svolgere a fini di lucro una nuova funzione (l’intermediazione), non corrisponde, in sostanza, il costo degli oneri relativi ai requisiti legali, “esternalizzati” presso la Fondazione su tali requisiti cui invece ricadono. Peraltro, i limitati volumi di attività dei consulenti, testimonia come la loro attività prevalente continui ad essere quella tradizionale (la consulenza giuslavoristica) e che, con tutta probabilità, l’alto numero di affiliati sia maggiormente associabili ad un, per così dire, “effetto condono”, combinata con l’opportunità di vedersi affidato una nuova funzione nell’ambito del mercato del lavoro, in sostanza, senza particolari costi.
Confrontando poi le informazioni relative ai due attori oggetto di analisi, sono rilevabili alcune interessanti convergenze ed anche diversità. La “istituzionalizzazione”, colta dal lato delle Università e dei professionisti delegati dalla Fondazione su citata, si è verificata: 1108 consulenti si sono “affiliati” e 56 Università (tra le 77 rispondenti) hanno dichiarato di svolgere, nella forma prescritta dalla Legge, mediazione tra domanda ed offerta di lavoro.
Come anticipato, però, le posizioni di partenza, per così dire, erano diverse.
Le Università avviavano il servizio di mediazione, avvalendosi di un forte consolidato di attività eserciate in questa direzione; se non altro anche perché è innegabile che alcune di esse si sono da tempo “attrezzate” al fatto che la scelta della sede accademica risulta orientata, soprattutto per le professioni caratterizzate da una domanda limitata, anche in base alla capacità “collocativa” che le stesse strutture possono vantare.
Minore grado di istituzionalizzazione aveva l’attività di mediazione svolta dai consulenti del lavoro, caratterizzandosi la categoria nel suo complesso probabilmente più come canale informale di incontro tra domanda ed offerta di lavoro, in virtù delle attività di consulenza tradizionalmente esercitate in favore dei datori di lavoro.


Da quanto appena detto si evidenzia che un’altra differenza di posizionamento dei due attori concerne l’“utenza naturale” di riferimento. Mentre questi ultimi tendono ad orientare la propria attività verso i datori – e per questo del resto da essi ricevono incarichi remunerati – le Università possono fruire del bacino costituito dai propri studenti, in tal senso orientandosi prioritariamente all’offerta di lavoro.
Ne deriva un diverso core business che vede la Fondazione concentrarsi sulle attività di ricerca e selezione di personale di specifici profili sulla base di incarico specifico dell’organizzazione committente; le Università investono invece maggiormente sulle attività tese a favorire il processo di transizione tra sistema educativo-formativo al mondo del lavoro e quindi una serie di attività tese a promuovere l’inserimento lavorativo.
In ogni caso, per entrambi gli operatori si osserva, rispetto alla precedente rilevazione, un incremento significativo dei soggetti intermediari: ciò per le Università è legato anche all’ampliamento del gruppo di osservazione. Sempre rispetto a queste ultime, è interessante notare l’accresciuta quota di interconnessioni con la Bcnl, ove invece resta “critico” (perché non sempre quantitativamente adeguato) il numero di risorse specificatamente dedicate alla promozione e alla gestione dell’incontro tra domanda e offerta.
Rivolgendo l’attenzione alla Fondazione dei consulenti del lavoro, all’aumento rispetto al 2005 del 31% degli affiliati, non corrisponde una forte presenza sul mercato; ciò può essere giustificato in primo luogo con la novità del ruolo attribuito dalla riforma ai consulenti, da cui discende un tempo indispensabile anche per “commercializzare” presso la clientela il nuovo servizio. Si aggiunga poi che il nuovo attore si confronta con un mercato, quello della intermediazione tecnicamente intesa, in cui continuano ad essere forti i canali informali di incontro tra domanda ed offerta, ovviamente più convenienti rispetto ai servizi che vengono erogati comunque dietro il pagamento di un corrispettivo . Infine, va rilevato come la stessa Fondazione, per fatturato, struttura e volumi di attività si colloca tra le agenzie per il lavoro di piccole e medie dimensioni.

1.  Per maggiori approfondimenti si rinvia a Di Domenico G., Marocco M., L’istituzionalizzazione del ruolo di Intermediari  delle Università e dei Consulenti del lavoro. Evidenze dal monitoraggio 2007 Isfol, Monografie sul Mercato del lavoro e le politiche per l’impiego, n. 4/2007.
2.  Si ricorda che le Università, in virtù dello speciale sistema di autorizzazione, sono “abilitate” ope legis all’esercizio dell’attività di intermediazione.
3 In particolare la Fondazione condivide, seppur con alcuni adattamenti, gli stessi requisiti imposti alle organizzazioni rappresentative delle parti sociali, ove queste intendano esercitare, direttamente, la mediazione tra domanda ed offerta di lavoro.
4. I dati qui citati sono ricavati dal sito www.fondazionelavoro.it.
5.  Peraltro, a sostegno di tale “comparazione”, si può ricordare non solo che la ratio legis della riforma nel suo complesso era diretta ad aumentare i “punti di incontro” tra domanda ed offerta di lavoro, legittimando così una considerazione unitaria di tutti gli sportelli sorti a seguito della riforma stessa; ma anche che, nello specifico, l’attività di somministrazione, ed in particolare quella svolta a tempo determinato, di fatto, spesso si risolve in un attività “collocativa” – esistono evidenze in proposito si veda, da ultimo Ichino A., Mealli F., Nannicini T. (2005) Temporary Work Agencies in Italy: a Springboard toward Permanent Employment?, Giornale degli Economisti e Annali di Economia, 64, 1, 1-27.

* Le seguenti considerazioni sono frutto esclusivo del pensiero degli autori e non hanno carattere in alcun modo impegnativo per l’Amministrazione di appartenenza

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