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Home - Approfondimenti - Analisi - Le basi di un compromesso possibile

Le basi di un compromesso possibile

8 Novembre 2002
in Analisi

Domenico Paparella – Direttore Cesos

Una discesa nel maelstrom? Tra i racconti del terrore di Edgard Allan Poe “La discesa nel maelstrom” colpisce l’immaginazione dei lettori per l’angoscia che riesce a trasmettere. Un veliero viene precipitato in un gorgo senza fine….  Devo il riaffiorare di questo ricordo di letture adolescenziali ad una battuta di Maurizio Castro che così definiva, in una recente conversazione, la prospettiva del contratto dei metalmeccanici.

Ha ragione Savino Pezzotta ad invocare un supplemento di  riflessione ai gruppi dirigenti dei metalmeccanici sui pericoli che un rinnovo contrattuale con piattaforme separate presenta. Le piattaforme separate esprimono un dissenso strategico tra le federazioni che mette in discussione tutti gli “acquis” della comune esperienza degli anni novanta.

Il punto di maggior criticità sta nel dissenso rispetto alla politica dei redditi. Il meccanismo della predeterminazione del tasso di inflazione programmata ha dato buona prova di sé: ha rappresentato uno strumento di efficace riduzione delle aspettative inflazionistiche ed ha consentito di difendere il potere di acquisto dei lavoratori. A questa valutazione giungono, oltre che le analisi di qualificati istituti indipendenti, anche l’Ires in un suo recente lavoro e il rapporto 2000-2001 “Contrattazione, retribuzioni e costo del lavoro” che il Cesos ha predisposto per il Cnel e che sarà discusso il prossimo 12 dicembre.

Il dissenso sta altrove. Ci sono settori della Cgil convinti di quello che scrive Salvo Leonardi sul numero 3/2002 di Quaderni di Rassegna, “la politica dei redditi concertata centralmente (è) il più serio impedimento che può venire al libero dispiegamento dell’azione autonoma del sindacato nelle categorie e nelle aziende”. Se non siamo alla teoria del salario variabile indipendente poco ci manca.


La Cgil di Guglielmo Epifani deve dire se l’accordo del 1993 è ancora valido e se costituisce un punto di riferimento strategico per l’insieme della sua organizzazione. Risolto questo punto, è possibile una soluzione di compromesso tra le organizzazioni che resti nell’ambito dell’accordo del 23 luglio e nel mantenimento dei due livelli di contrattazione? Una soluzione non è impossibile. Esiste una comune consapevolezza che esista in Italia una questione salariale che l’euro ha fatto esplodere. I differenziali di costo della vita si sono accentuati tra il Nord ed il Sud, tra grandi centri e piccoli centri. Le tensioni sul mercato del lavoro del Nord si traducono in una accentuazione degli slittamenti salariali, in iniziative unilaterali che fanno perdere di significato ai salari contrattuali ed agli inquadramenti professionali. La scarsa diffusione della contrattazione decentrata ha impedito la distribuzione dei benefici della produttività, l’efficacia delle politiche salariali del sindacato è drasticamente ridotta.

Da qui occorre partire per ricostruire una politica salariale efficace, di alti salari, ma non inflazionistica. La proposta della Fiom di distribuire nel contratto nazionale almeno il 50% della produttività media di settore, comunque formulata, è sbagliata. Al di là della crescita delle aspettative inflazionistiche che una tale politica alimenterebbe, questa richiesta si tradurrebbe in una perdita di competitività per tutte le imprese che hanno livelli di produttività sotto la media e comunque in un recupero di salario parziale per i lavoratori delle imprese che hanno una produttività più alta della media. Questa politica accentuerebbe le disuguaglianze interne al settore, alimentando ulteriormente il ricorso al lavoro nero e alle politiche salariali unilaterali.


Una alternativa credibile, che potenzi il ruolo del sindacato, sta nel trasferire e nell’esercitare l’autorità salariale a livello decentrato. Le organizzazioni sindacali possono realizzare autonomamente una autoregolazione delle politiche salariali, limitando a livello nazionale la richiesta al ripristino delle differenze tra inflazione programmata e quella reale e affidando alla contrattazione aziendale e a quella territoriale il recupero della produttività.



Non sembrano esservi dissensi sul rilancio della contrattazione aziendale, mentre i contrasti nascono sulla contrattazione territoriale.
Anche i dati Istat mostrano come la contrattazione aziendale in imprese sotto i cinquanta dipendenti sia praticamente inesistente: cosa impedisce alle organizzazioni sindacali di avviare sperimentazioni diffuse di contrattazione territoriale che può riguardare distretti industriali, province o intere regioni?


Gli accordi territoriali potrebbero riguardare, almeno nella fase sperimentale, le imprese sotto i 50 dipendenti. Da questa sperimentazione potrebbe emergere una più chiara consapevolezza delle opportunità e dei rischi che una tale pratica può determinare per il sindacato. Tutto si potrebbe realizzare ad assetti contrattuali del 23 luglio invariati.



La piattaforma dovrebbe affrontare altre due questioni, tra esse fortemente collegate.
La prima riguarda l’insieme della normativa sui temi del diritto all’apprendimento.


Il contratto dei metalmeccanici, anche per l’epoca nel quale venne rinnovato, è tra quelli meno aggiornati rispetto all’evoluzione del dibattito europeo e nazionale in tema di formazione continua. La piattaforma potrebbe riassumere le indicazioni che l’Unione Europea ha dato con il documento “Realizzare uno spazio europeo dell’apprendimento permanente” e che vede tra l’altro, l’invito alle parti sociali a garantire almeno 35 ore di formazione l’anno a ciascun lavoratore.



L’altro tema è quello dell’inquadramento professionale.
L’inquadramento dei metalmeccanici è obsoleto, riflette un’organizzazione ed una concezione del lavoro fordista. Il paradigma di valutazione del lavoro è sostanzialmente quello della posizione di lavoro. Si tratta di stabilire che cosa si vuole far  pagare. Le imprese esaltano le capacità dei lavoratori a responsabilizzarsi verso i risultati quantitativi e qualitativi del lavoro ed a mantenere standard elevati di qualità. Chiedono ai lavoratori di mettersi pienamente in gioco e li valutano in base a questi parametri. Anche il sistema di classificazione deve perciò passare dalla valutazione delle posizioni a quella delle competenze che ogni singolo lavoratore mette in gioco nel suo agire. Il miglioramento delle competenze dei lavoratori deve divenire un obiettivo delle parti da perseguire utilizzando la leva formativa.


Nuova politica salariale, diritto all’apprendimento e nuovo  inquadramento potrebbero costituire le basi per ricostruire, a partire da meccanici, una significativa convergenza strategica tra le organizzazioni sindacali che avrebbe un positivo impatto sull’insieme del movimento sindacale italiano.

redazione

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