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Home - Approfondimenti - Analisi - Le nuove Agenzie per il lavoro nel d.lgs. 276/2003

Le nuove Agenzie per il lavoro nel d.lgs. 276/2003

10 Novembre 2003
in Analisi

Manuel Marocco – Ricercatore Isfol

1. Nel breve scritto che segue si focalizzerà l’attenzione sulla più recente disciplina in materia di organizzazione del mercato del lavoro ed in particolare sul sistema di barriere artificiali predisposte dall’ordinamento all’ingresso degli operatori privati in tale ambito, con ciò intendendosi l’insieme di condizioni che la legge predispone al fine di evitare l’accesso a soggetti che, privi delle idonee garanzie di affidabilità, svolgano un’attività meramente parassitaria ai danni dei lavoratori, ma a ben vedere anche della trasparenza dell’intero mercato.

Da questo punto di vista, la “liberalizzazione regolata” italiana, interpreta in maniera piuttosto vincolistica il modello della c.d. coesistenza attiva tra operatori pubblici e privati suggerito dalla Oil[1], adottando per tutti i soggetti considerati la medesima tecnica normativa, fondata su controllo preventivo statale sull’accesso e realizzata attraverso una selezione degli stessi organismi, chiamati al rispetto di requisiti oggettivi e soggettivi, quali condizioni per la concessione di una autorizzazione amministrativa e la contestuale inscrizione in un apposito albo.


L’Italia condivide tale sistema di controllo preventivo con altri paesi europei, sebbene il modello nazionale si segnalava per una certa rigidità, in quanto, prima della riforma, cumulava vincoli che in genere negli altri paesi sono alternativi[2]. In particolare ai requisiti di ordine strutturale-organizzativo ed a quelli relativi alla prestazione di idonee garanzie finanziarie, si aggiungeva la limitazione dell’attività consentita (c.d. clausola di esclusività dell’oggetto sociale).


Ebbene, la XIVa Legislatura si è aperta con l’annuncio di un’azione deregolativa con riguardo proprio a tale ultima tipologia di vincolo. Difatti, nel cd. Libro Bianco[3] era affermato che: “Appare urgente (…) innanzitutto superare il vincolo dell’oggetto esclusivo e consentire l’attività di operatori privati polifunzionali” (p. 49). Peraltro, poiché la disciplina previgente in tema di abilitazione si fondava proprio su di un regime di separazione delle attività – a ciascuna di esse corrispondeva una diversa gradazione dei requisiti richiesti – si annunciava la sua sostituzione con un “unico regime autorizzatorio per tutte le organizzazioni private impegnate (…) nel mercato del lavoro”.


Come è noto, lo stesso Libro Bianco è stato riversato in un provvedimento legislativo, la legge 14 febbraio, n. 30 (d’ora in poi Legge), cui è seguita l’approvazione di un unico decreto legislativo (d’ora in poi Decreto), appena pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale (D.Lgs. 276/03). Tali provvedimenti rivoluzionano la disciplina precedente, sebbene non nei termini di una completa liberalizzazione così come paventato da una parte della dottrina, la quale peraltro non poteva che formare il proprio giudizio su di un testo legislativo – la Legge – che in materia si presenta, come si vedrà, piuttosto generico, così da dare adito alle ipotesi più disparate circa la loro implementazione successiva.  


2. Come annunciato nel più volte ricordato Libro Bianco, la Legge in primo luogo elimina il requisito dell’esclusività dell’oggetto sociale. È così riconosciuta, sotto il profilo legislativo, la prassi commerciale già consolidata dei gruppi polifunzionali[4], attraverso la piena legittimazione anche delle “agenzie polifunzionali”. La genericità della prescrizione della mera abolizione della clausola di esclusività, paradossalmente, poteva sollecitare il legittimo dubbio se si fosse così inteso consentire ai nuovi operatori polifunzionali il cumulo con qualsiasi altra attività imprenditoriale, anche non attinente al mercato del lavoro[5]. Inoltre, non era possibile evincere se tale “principio e criterio direttivo” si risolvesse nel semplice superamento dell’obbligo di separazione delle attività, in cui di fatto si risolveva l’esclusività sociale, non accompagnato però da alcuna controindicazione in grado di assicurare l’effettiva ratio legis del precedente divieto normativo, vale a dire “garantire una maggiore trasparenza della attività economica”[6].


Anche in materia di natura giuridica dell’operatore il testo legislativo, ancora una volta piuttosto ermetico, apriva numerose questioni. In primo luogo, la Legge prospetta l’ampliamento del campo di applicazione della procedura autorizzatoria anche taluni “intermediari pubblici”. Di conseguenza, era possibile prospettare una sorta di formalizzazione, tramite la sottoposizione ad apposito titolo abilitativo statale, della attività di intermediazione svolte, ora informalmente, da numerosi enti pubblici, provvedendo altresì lo stesso provvedimento ad una loro prima individuazione: “enti locali”, “università” ed “istituti di scuola secondaria di secondo grado”.


Ulteriore profilo oggetto di discussione era l’inclusione tra i soggetti suscettibili di ottenere l’autorizzazione anche degli “enti o organismi bilaterali costituiti da associazioni dei datori di lavoro e dei prestatori di lavoro”.


In proposito, la dottrina ha sottolineato due specifici aspetti critici. In primo luogo, è stata segnalata in senso negativo la concentrazione presso lo stesso ente della funzione appena ricordata assieme a quella in materia di certificazione dei rapporti di lavoro: ciò potrebbe dar luogo infatti ad un “conflitto di attribuzione” tra le due attività, a danno in particolare della genuinità della stessa attività certificatoria[7]. Strettamente correlato a questo rilievo critico, è poi quello, più generale ed ulteriore, circa la posizione di favore di tali enti rispetto agli altri operatori, che potrebbe derivare, non solo dalla appena segnalata concentrazione funzionale, ma anche dalla circostanza che la prevista “modulazione” dei requisiti di accesso possa risolversi con un alleggerimento degli stessi “con particolare riferimento (…) a enti o organismi bilaterali”[8].


3. Come accennato, i “principi e criteri direttivi” contenuti nella Legge hanno trovato attuazione, per il momento, in un unico decreto legislativo[9]. Ad una prima lettura, esso si presenta meno rivoluzionario di quanto non fosse lecito aspettarsi in virtù della indeterminatezza del Legislatore delegante, potendosi forse affermare che quello delegato abbia voluto/dovuto intervenire per sopperire ad alcuni dei più vistosi difetti della Legge: valga sottolineare in primo luogo che è stato, inaspettatamente, il Decreto a ritagliare un ruolo alle amministrazioni regionali, non desumibile expressis verbis dalla delega.


Difatti, fin dall’incipit, contenente un glossario normativo (art. 2), è chiarito il ruolo delle Regioni, grazie ad una più chiara distinzione, in senso tecnico, delle procedure di autorizzazione e accreditamento degli operatori. Mentre, a legislazione previgente, entrambe in sostanza sembravano riconducibili all’istituto della autorizzazione di competenza esclusiva dell’amministrazione centrale, ora è prevista un regime autorizzatorio unico di carattere nazionale e di competenza del Ministero del lavoro, finalizzato alla abilitazione di tutte le tipologie di operatori pubblici e privati – denominati “agenzie per il lavoro” – cui si affianca, eventualmente sovrapponendosi, una nuova ed ulteriore procedura, l’accreditamento, appunto. Agli enti territoriali è così riconosciuta la potestà a rilasciare una “abilitazione”, vale a dire un atto “il cui rilascio è subordinato accertamento dell’idoneità tecnica di soggetti a svolgere una certa attività”[10].


A ciò si aggiunga che, contrariamente a quanto previsto nello schema di decreto del 6 giugno, nel testo in Gazzetta – in senso ancor più federalista – risulta ritagliato un ruolo delle Regioni anche con riguardo alla procedura di autorizzazione. Difatti, è previsto il rilascio del titolo abilitativo per l’esercizio di talune attività (staff leasing specialistico, intermediazione e ricerca e selezione di personale, di cui si dirà più oltre) pure da parte di queste ultime, sebbene “con esclusivo riferimento al proprio territorio” e pur sempre nel rispetto dei requisiti fissati a livello nazionale (art. 6, 6° comma).


5. Altri profili paiono, invece, mostrare una linea continuista del Legislatore delegato, anche in apparente contraddizione con la delega ricevuta. Si esamini in proposito quanto previsto in materia di “unico regime autorizzatorio” e, soprattutto, in tema di superamento del regime di limitazione dell’attività consentita.


Sotto il primo profilo, il sistema continua ad essere caratterizzato dalla vigenza dei due vincoli di carattere generale in tema di ingresso degli operatori che già qualificano il nostro ordinamento, vale a dire – utilizzando la terminologia della Corte Costituzionale (Sent. 125/2003) – dalla sottoposizione a “requisiti di tipo imprenditoriale ed economico”; questi, a loro volta, permangono modulati secondo la maggiore o minore intensità del rapporto fra il lavoratore e l’agenzia stessa. Perdura, pertanto, la maggiore onerosità dei “requisiti giuridici e finanziari” relativi all’esercizio della fornitura di manodopera, trattandosi di tutelare il lavoratore assunto direttamente dal “somministratore”.


A tale modulazione non corrisponde però più l’iscrizione in quattro diversi albi, ma in un unico registro[11], il quale tuttavia risulta suddiviso in cinque sezioni (art. 4): confermate quelle relative a “agenzie di intermediazione”, “agenzie di ricerca e selezione del personale”, “agenzie di supporto alla ricollocazione professionale”, è invece sdoppiata quella relativa alla “somministrazione di lavoro”. Difatti, un’apposita sezione è dedicata alle agenzie generaliste, abilitate cioè all’esercizio della stessa somministrazione e della intermediazione in tutte le forme – insomma i veri operatori polifunzionali – distinte da quelle specializzate nella sola fornitura di manodopera a tempo indeterminato (cd. staff leasing), in relazione a specifiche attività, indicate dalla legge o dalla contrattazione collettiva.


Pertanto, confermata la previgente suddivisone tipologica delle attività, le modifiche introdotte appaiono indirizzate ad accogliere le vere novità in materia: l’introduzione dello staff leasing e della c.d. polifunzionalità. 


La modulazione dei requisiti è realizzata mediante la previsione di vincoli di carattere generale, ai quali sono sottoposti indistintamente tutti gli operatori, cui si affiancano taluni, invece, specifici alle singole agenzie (art. 5). Requisiti del primo tipo sono quelli che riguardano la sede, la comunicazione e la diffusione dei dati sul mercato del lavoro ed, infine, l’onorabilità e la professionalità del personale; sono invece specifici, e modulati – in chiara continuità con il passato – quelli relativi al capitale versato, alla garanzia dei crediti dei lavoratori, alla regolare contribuzione al fondo per la formazione, alla natura giuridica dell’ente ed, infine, alla presenza sul territorio.


L’abolizione del divieto di cumulo delle attività, affermata dalla Legge, ha trovato nel suo provvedimento di attuazione parziale temperamento. Innanzi tutto, appare salvaguardato il principio di trasparenza dell’attività economica, giacché è stabilito, tra i requisiti generali, che: “Nel caso di soggetti polifunzionali, non caratterizzati da un oggetto sociale esclusivo” deve essere garantita la “presenza di distinte divisioni operative, gestite con strumenti di contabilità analitica, tali da consentire di conoscere tutti i dati economico-gestionali specifici”. In secondo luogo, seppur inserita tra i requisiti specifici a ciascun operatore, ma in definitiva ribadita per ciascuno di essi – ad esclusione delle agenzie di staff leasing specializzate – è la necessità di indicare l’attività per la quale si è richiesta l’autorizzazione quale “oggetto sociale prevalente, anche se non esclusivo”. Sebbene rimanga incerta la definizione del concetto di oggetto sociale prevalente, non vi è dubbio che la facoltà di cumulare liberamente le attività – tutte comunque attinenti al mercato del lavoro – risulta così limitata.


In ogni caso, tale temperata polifunzionalità si realizza mediante il meccanismo dell’iscrizione automatica alle diverse sezioni dell’albo. E così l’accesso – e quindi il rispetto dei relativi requisiti – alla sezione relativa alle agenzie generaliste, comporta l’iscrizione ex lege a quelle dedicate a intermediazione, ricerca e selezione e ricollocazione professionale, e quindi la possibilità di esercitare legittimamente l’intera la gamma delle funzioni di gestione del mercato del lavoro. Allo stesso modo, il titolo abilitativo di “intermediatore”, legittima l’esercizio anche delle ultime due attività elencate. Mentre questa ipotesi di iscrizione automatica, di fatto, non rappresenta una novità – l’attività di “mediazione tra domanda ed offerta di lavoro” già includeva la ricerca e selezione e l’outplacement – la vera innovazione è la possibilità per i “somministratori” di esercitare l’intermediazione in tutte le sue forme[12].


4. Il Decreto dedica, inoltre, un apposito articolo ai “regimi particolari di autorizzazione” (art. 6): si intende riferirsi a quella particolare forma di modulazione delle barriere di accesso, non riconducibile alla tipologia di attività esercitata, ma alla natura dell’operatore. Vengono così disciplinate una serie di autorizzazioni ope legis all’esercizio della attività di intermediazione – e solo di essa. Beneficiano di tale regime, innanzi tutto, “le università pubbliche e private, comprese le fondazioni universitarie”, a condizione che “svolgano la predetta attività senza finalità di lucro e fermo restando l’obbligo della interconnessione alla borsa continua nazionale del lavoro, nonché l’invio di ogni informazione relativa al funzionamento del mercato del lavoro”.


Sono autorizzati anche i “comuni, le camere di commercio e gli istituti di scuola secondaria di secondo grado”. In tale caso, però, oltre ai due requisiti appena menzionati, è richiesto il rispetto di taluni dei vincoli generali relativi alla disponibilità di uffici e competenze professionali adeguate ed al rispetto dei diritti dei lavoratori in tema di tutela della privacy. Tuttavia, diversamente dalle università, dalla lettera della norma – in questo caso vengono richiamate “le procedure di cui all’articolo 4 o di cui al comma 5 del presente articolo” – sembra ricavarsi che, tali ultimi operatori debbano ottenere l’iscrizione all’albo nazionale o regionale.


Un’ulteriore ipotesi di autorizzazione ope legis riguarda invece “le associazioni dei datori di lavoro e dei prestatori di lavoro (…), le associazioni (…) di rilevanza nazionale e aventi come oggetto sociale la tutela e l’assistenza delle attività imprenditoriali, del lavoro o delle disabilità e gli enti bilaterali”. In questo caso, non essendo richiamati gli albi, si deve ritenere che non sia richiesta l’iscrizione agli stessi, sebbene siano sottoposti ad una griglia di requisiti più rigorosa. Difatti, oltre ad essere tenuti al rispetto degli obblighi in materia di interconnessione, di comunicazione e tutela della riservatezza, i requisiti relativi alla idoneità organizzativa e professionale vengono completati con la sottoposizione anche ai vincoli di onorabilità del personale dirigente. Inoltre, trattandosi di soggetti associativi caratterizzati da un oggetto sociale ben definito e preesistente, l’esercizio della attività di intermediazione dovrà comunque dar luogo alla “presenza di distinte divisioni operative”, in maniera cioè da assicurare la trasparenza della attività economica, anche a scopo di lucro, svolta da tali operatori[13].


L’ultimo dei “regimi particolari” riguarda i consulenti del lavoro, espressamente considerati dalla Legge. Tuttavia, anche su questo punto, si è verificato un ripensamento del Legislatore delegato. Il Decreto esclude, infatti, che questi possano svolgere attività di intermediazione in virtù di un regime derogatorio, imponendo loro di accedere al sistema comune agli altri operatori. Insomma, la previsione della delega è stata svuotata di contenuto, essendo piuttosto previsto un esplicito divieto in capo ai singoli professionisti di “esercitare individualmente” o in altra forma diversa da quella ordinaria, “anche attraverso ramificazioni a livello territoriale”, l’attività di intermediazione. Il provvedimento si limita invece a riconoscere al loro ordine professionale, ma solo a livello nazionale, la facoltà di costituire nel proprio ambito “una apposita fondazione o di altro soggetto giuridico dotato di personalità”, nel rispetto peraltro degli stessi requisiti cui sono sottoposte altre associazioni rappresentative di interessi professionali.


7. Come detto, il Decreto, accanto alla procedura autorizzativa nazionale e regionale, prevede anche quella di “accreditamento”, affidata a tale ultimo livello istituzionale (art. 7). Questa riguarderà tutti gli operatori pubblici e privati che insistono sul mercato del lavoro locale e sarà indirizzata a valutare la loro “l’idoneità a erogare i servizi al lavoro negli ambiti regionali di riferimento”, ai fini dell’ingresso degli stessi soggetti nella “rete dei servizi per il mercato del lavoro”.


Pertanto, si provvede a fissare una serie di “principi e criteri” al Legislatore regionale, tuttavia, non solo in materia di istituzione dell’albo, ma anche relativamente al modello dei servizi di cui è richiesta l’implementazione a livello territoriale, lasciando così intendere che lo Stato non intende cedere tali materie alla potestà esclusiva regionale.


A tale proposito, in maniera piuttosto ermetica, è richiesto alle Regioni di procedere alla “costituzione negoziale di reti di servizio ai fini dell’ottimizzazione delle risorse”. Ciò sembra da intendersi nel senso che le stesse, nel provvedere a costituire una “rete di operatori qualificati, adeguata per dimensione e distribuzione alla domanda espressa dal territorio a tutela della libera scelta dei cittadini”, dovranno adottare procedure convenzionali per la esternalizzazione di taluni servizi.


Il Decreto poi individua le tipologie di servizi in cui andrà assicurata tale “cooperazione tra i servizi pubblici e operatori privati”: le “funzioni di incontro tra domanda e offerta di lavoro, di prevenzione della disoccupazione di lunga durata, di promozione dell’inserimento lavorativo dei lavoratori svantaggiati, di sostegno alla mobilità geografica del lavoro”. A ciò si aggiunga che, pur nell’ambito di “standard omogenei a livello nazionale”, è anche previsto “l’affidamento di funzioni relative all’accertamento dello stato di disoccupazione e al monitoraggio dei flussi del mercato del lavoro”. Si tratta, pertanto, di un’ampia gamma di attività, pressoché esaustiva di quelle riconducibili al concetto di “servizi all’impiego”, a conferma, d’altro canto, del modello di interazione pubblico-privato in materia di gestione del mercato del lavoro prima annunciato dall’Esecutivo e poi già, di fatto, realizzato dal D.lgs. 297/2002[14].


Nel predeterminare tale modello operativo, peraltro, il Legislatore nazionale – in coerenza con le indicazioni internazionali, vale a dire la Convezione Oil n. 181/97 – si premura di salvaguardare il potere di vigilanza e controllo dell’autorità pubblica. A tal fine non solo le Regioni dovranno imporre “l’obbligo della interconnessione con la borsa continua nazionale del lavoro, nonché l’invio alla autorità concedente di ogni informazione strategica per un efficace funzionamento del mercato del lavoro”, ma provvederanno anche fissare “le modalità di misurazione dell’efficienza e della efficacia dei servizi erogati”[15].


 






[1] ILO (1994), The role of private employment agencies in the functioning of labour markets, Rapporto presentato dal Bureau International du Travail alla 81ª Conferenza internazionale del lavoro.



[2] Carabelli U. (1999), Flessibilizzazione o destrutturizzazione del mercato del lavoro? Il lavoro interinale in Italia ed in Europa, in Liso F., Carabelli U. (1999), (a cura di), Il lavoro temporaneo, Franco Angeli.



[3] Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali (2001), Libro Bianco sul mercato del lavoro in Italia. Proposte per una società attiva e per un lavoro di qualità.



[4] Infatti, anche nella vigenza del regime della esclusività dell’oggetto sociale, la portata pratica dello stesso obbligo risultava fortemente sminuita dalla possibilità che le attività di interposizione e mediazione, pur dovendo conservare autonoma evidenza, fossero comunque esercitate, attraverso le più svariate forme – giuridicamente sofisticate o basate sul mero scambio di informazioni – all’interno di un’unica strategia imprenditoriale.



[5] Tebano L., Le agenzie private di collocamento e il lavoro interinale, scritto presentato alle giornate di studio “Sviluppo e occupazione tra europeismo e localismo”, Napoli 3-4 maggio 2002.



[6] Leccese V. (1999), Soggetti abilitati all’attività di fornitura, in Liso F., Carbelli U., op.cit.



[7] Zilio Grandi G. (2003), Enti bilaterali e problemi di rappresentanza sindacale nella legge delega 30/2003, relazione tenuta al “Seminario Lavoro e Diritto”, Venezia, 11/4/2003, sul tema “Gli enti bilaterali: mercato del lavoro e rappresentanza sindacale”.



[8] Martinengo G. (2003), relazione tenuta al “Seminario Lavoro e Diritto” citato.



[9] Tuttavia il Decreto prevede una “disciplina transitoria di raccordo” a favore degli operatori già presenti sul mercato. Questa però non è fissata nello stesso provvedimento, ma è affidata ad un apposito Dm, da emanarsi entro 30 giorni dalla data di entrata in vigore del Decreto, cosicché nel frattempo “restano in vigore le norme di legge e regolamento vigenti”. 



[10] Casetta E. (2000), Manuale di diritto amministrativo, Giuffrè, Milano.



[11] La procedura di accesso al registro è affine rispetto alla disciplina passata, essendo estesa, in sostanza, a tutti gli operatori la norma prima prevista in materia di agenzie di fornitura: il Ministero del lavoro rilascerà un titolo abilitativo provvisorio di durata biennale, destinato, ma solo “subordinatamente alla verifica del corretto andamento della attività svolta”, a divenire a tempo indeterminato.



[12] Vi è il rischio di favorire così le attuali società di fornitura a discapito di quelle di mediazione, dovendo queste ultime, a differenza delle prime, aumentare significativamente il proprio capitale sociale per accedere al titolo abilitativo di “somministratore a tutto campo”.



[13] Poiché, come si evince pure da tale ultimo vincolo, non vige nei confronti di tali operatori l’obbligo di svolgere l’intermediazione a titolo gratuito, meglio sarebbe stato imporre requisiti di carattere economico, anche a tutela della concorrenza.



[14] Ci si riferisce, in primo luogo, al Libro Bianco, il quale affermava: “Vanno individuate e sistematizzate le attività riconducibili ad una residua funzione pubblica (anagrafe, scheda professionale, controllo dello stato di disoccupazione involontaria e della sua durata, azioni di sistema) da assicurare mediante i servizi pubblici all’impiego e strutture convenzionate (pubbliche e private); mentre vanno affidate al libero mercato le attività di servizio, in un regime di competizione e concorrenza  tra i servizi pubblici  e gli operatori privati autorizzati.”(pag. 47). In secondo luogo, si fa riferimento alla nuova definizione di “servizi competenti”, contenuta nell’ art. 2, 2° co, lett. g), del D.Lgs. 181/2000, il quale parifica, di fatto, gli “altri organismi autorizzati o accreditati” ai centri per l’impiego pubblici.



[15] Tale ultimo richiamo, appare un implicito invito all’adozione, da parte delle autorità di controllo, di nuove tecniche di management per obiettivi, assai diffuse nella pratica di altri paesi in materia

redazione

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