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Home - Blog - L’Ilva, l’Italia, e i Quattro Cavalieri dell’Apocalisse

L’Ilva, l’Italia, e i Quattro Cavalieri dell’Apocalisse

di Giuliano Cazzola
14 Novembre 2019
in Blog
L’Ilva, l’Italia, e i Quattro Cavalieri dell’Apocalisse

Il caso ex Ilva è un’immagine dell’Italia. In quella vicenda, dove il paradosso rischia di oscurarne persino  la drammaticità , sembrano essere in azione, congiuntamente, i Quattro Cavalieri dell’Apocalisse che stanno infierendo sul ‘’Bel Paese dove il sì suona’’, senza lasciargli  scampo: l’insipienza della politica; l’inefficienza della pubblica amministrazione; l’interventismo anomalo della magistratura; il disorientamento dell’opinione pubblica. Purtroppo, non si tratta di capitoli separati, ma tra questi ‘’vizi’’ vi è un intreccio  di azioni e disvalori che spesso si erge ad ostacolo insuperabile e frustrante, perché non lascia intravedere vie d’uscita se non ‘’a babbo morto’’ ovvero quando una smentita categorica delle accuse  arriva soltanto in tempo per spegnere le luci. Cominciamo, tuttavia, ad analizzare separatamente pur senza smarrire il filo rosso della sinergia reciproca, il ruolo nefasto di ciascuno di questi funebri e funesti  Cavalieri.

La politica

In Italia la politica non è stata assassinata; si è suicidata da sola. Come hanno fatto in tanti, durante la vergognosa pagina di Tangentopoli, per sottrarsi all’umiliazione di una carcerazione selettiva, usata – alla stregua delle torture dell’Inquisizione – per estorcere confessioni.  Non è stata in grado, la politica, di resistere ad una violenta offensiva mediatico-giudiziaria e passo dopo passo ha cercato di salvarsi cucendosi addosso la caricatura raffigurata dalle forze dell’antipolitica, fino ad avvalersi dei guai giudiziari degli avversari per vincere nella competizione politica. Accusato di vivere di privilegi il sistema politico ha cominciato a privarsi delle risorse necessarie ad operare, alla stregua del signore che indossa la tunica da frate per convertirsi ad una vita di povertà, sottomettendosi  alla narrazione che ha trasformato una condizione dignitosa in una colpa. I partiti storici (anche nelle loro discendenze) hanno chiuso bottega (il partito più vecchio oggi è la Lega); al loro posto ne sono nati o ne stanno nascendo degli altri – spesso intorno ad una singola personalità  che ne diventa il padre-padrone – destinati a scomparire e a ricomporsi sotto una diversa ditta, come se fossero imprese edili che scompaiono, magari attraverso il fallimento,  dopo avere costruito e venduto l’ultimo palazzo. La politica vive alla giornata, se  riesce, capta, in anticipo rispetto agli avversari, gli umori che serpeggiano nell’opinione pubblica, li assume e li legittima, a prescindere dal loro contenuto. In questa assillante caccia al consenso non si guarda in faccia a nessuno; si è pronti al più grave dei misfatti per un voto in più oggi. Domani è un altro giorno. In tale contesto, la comunicazione ha svolto un ruolo nefasto. Per motivi di audience (la regola dell’uomo che morde il cane) hanno assecondato le gogne, i presunti scandali, sbattendo i mostri in prima pagina, in quanto ‘’velinari’’ delle procure. Sono passato da quelle parti centinaia di volte, anche perché il Palazzo di Giustizia di Milano si trova di fronte alla sede della Camera del Lavoro.  Ma quella scritta a caratteri cubitali l’ho notata solo l’ultima volta (o forse me ne ero dimenticato).’’ FIAT  IUSTIZIA ET PEREAT MUNDUS’’: un broccardo di incerta origine che significa più prosaicamente: ‘’Vada pure in malora il mondo purché sia fatta giustizia’’. Ovviamente si tratta di un paradosso  dal momento che non serve a nulla ‘’il fare giustizia’’ in un mondo di morti. Non facciamoci ingannare dal latino: i romani  erano cultori di un diritto che è arrivato fino a noi, proprio perché potevano vantare una concezione molto pratica delle cose della vita.  Solo i fondamentalisti (ce ne sono anche in toga) possono sentirsi autorizzati a giudicare sulla base di quel principio catastrofico. E l’ex Ilva ne è un esempio concreto.

L’inefficienza della pubblica amministrazione

Si tratta di una sorta di ombra di Banquo, a cui attribuiscono anche responsabilità non sue. La PA negli ultimi decenni è stata subissata di riforme. Si cominciò nei primi anni ’90 con la c.d. privatizzazione ovvero la sottoposizione del rapporto di lavoro al diritto comune. Quella misura fu salutata come una svolta epocale: usciva la legge (con le leggine clientelari), entrava la contrattazione collettiva. Salvo accorgersi, nel giro di pochi anni, che il settore aveva assemblato il meglio dei due regimi: la sicurezza e la stabilità garantita dal pubblico e la flessibilità del privato. Un plotone di ministri della Funzione pubblica ha promosso delle iniziative di riforma: da Franco Bassanini, a Renato Brunetta, a Marianna Madia. In generale si è trattato di leggi delega che hanno occupato intere legislature per entrare in vigore, per finire accantonate da un nuovo ministro che intendeva fare a suo modo. Ma non nascondiamoci dietro un dito: l’inefficienza della pubblica amministrazione è provocata anche dalle scorribande del terzo Cavaliere: la magistratura inquirente.

La magistratura

Chi – sia esso amministratore o dirigente – si assume la responsabilità di un progetto che impieghi risorse pubbliche (ma non solo) sa benissimo di rischiare un avviso di garanzia e uno sputtanamento sui media. Deve mettere in conto di essere intercettato e di ritrovare quindi mozziconi di  frasi  (basta vedere le ordinanze) a conferma di  ricostruzioni dei fatti che sono veri e propri  teoremi. La procura racconta l’esistenza di un’organizzazione criminale o un caso di corruzione insito in un appalto e come prova, apre ogni tanto delle ‘’virgolette’’ riportando una decina di parole dell’indagato che dovrebbero confermare il suo coinvolgimento nel malaffare. Le registrazioni sono diventate pubbliche e valgono come una confessione ed una condanna. Non ci sarebbe neppure la necessità di fare un processo, anche perché – sono parole di un autorevole magistrato – una persona assolta in giudizio è un colpevole che l’ha fatta franca. Il caso ex Ilva è paradigmatico. La procura di Taranto è in guerra con lo stabilimento dal 2012, quando arrivò persino a sequestrare più di un miliardo di euro di prodotti finiti definendoli ‘’corpi del reato’’. Uno dei motivi per cui ArcelorMittal ha deciso di andarsene non è dato soltanto dal venire meno dello scudo penale (il governo pensa, forse, di trovare dei commissari disposti a rinunciare all’immunità?), ma dal dover misurarsi con adempimenti disposti dalla magistratura che non consentirebbero l’avvio del piano di risanamento concordato. Poi c’è il caso della giustizia civile, le cui lungaggini scoraggiano ad investire in un Paese incapace di risolvere le controversie in tempi compatibili con il business.

Il disorientamento dell’opinione pubblica

La gente non sa più a che santo votarsi. Il quarto Cavaliere segue da vicino gli altri tre. È subornato dai media, sobillato dai partiti che promettono soluzioni facili a problemi complessi. A loro non interessano i dati e il giudizio della scienza. Un’opinione vale l’altra. Le strade, le gallerie, le strade ferrate per l’Alta velocità, i termovalorizzatori, gli inceneritori, le trivellazioni  sono il frutto di congiure dei poteri forti, in nome dei loro interessi. Le vaccinazioni  sono opera della propaganda delle multinazionali farmaceutiche. Le scelte decisive per il futuro di una nazione vengono giocate a dadi, nel contesto di democrazie radicalizzate. Come soleva dire un maestro diabolico della propaganda, Josef Goebbels: ‘’Ripetete una bugia cento, mille, un milione di volte e diventerà una verità’’.

Giuliano Cazzola

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Giuliano Cazzola

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