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Home - Approfondimenti - Analisi - L’Italia dell’emergenza che non è post ma è continua (soprattutto per le PMI)

L’Italia dell’emergenza che non è post ma è continua (soprattutto per le PMI)

di Alessandra Servidori
2 Novembre 2020
in Analisi

Domani, 3 novembre, Cerved e Confindustria pubblicheranno il Rapporto 2020, ma dalle anticipazioni degli studi dell’Istituto emerge chiaramente che il Covid-19  ha già avuto, e continuerà ad avere,  un impatto senza precedenti sui conti delle PMI, con ricadute molto pesanti sugli indici di redditività  dell’economia italiana.

Il Covid-19 rappresenta uno shock senza precedenti per le PMI italiane, che potrebbe trasformarsi in una recessione lunga e con conseguenze sociali difficilmente sostenibili nel caso di fallimenti in massa e di perdita di capacità produttiva. Questo dipende sia dall’efficacia delle misure di breve termine, con cui il governo è intervenuto nella fase di emergenza per fornire liquidità al sistema, sia da quelle con un orizzonte più lungo, mirate ad agganciare una ripresa solida. Sarebbero necessari tra i 25 e i 37 miliardi di euro per superare questa seconda fase pandemica, evitando costi sociali molto importanti, con 1,8 milioni di lavoratori impiegati nelle PMI con  problemi di liquidità. E anche lo scenario più pessimistico, del  nuovo lockdown in  questo autunno, le dotazioni dichiarate dal Governo prima nell’ambito del Decreto Cura Italia (80 miliardi presso il Fondo Centrale di Garanzia più 30 miliardi di dotazione per le PMI presso Sace) sarebbero state  sufficienti per coprire i fabbisogni delle PMI ma secondo  un numero molto consistente di PMI ha  registrato problemi di liquidità già a ridosso del primo lockdown (55 mila PMI in crisi ad aprile): i ritardi nell’erogazione dei crediti garantiti hanno  già costretto molte aziende fuori dal mercato o a non onorare gli impegni con i propri fornitori o con i dipendenti.

I finanziamenti  iniettati nelle PMI per evitare le crisi,  tuttavia, per molte non hanno reso  sostenibile la struttura finanziaria di un’ampia platea di imprese. Gli indicatori che sintetizzano la probabilità di default delle imprese evidenziano un netto aumento della rischiosità delle PMI per effetto del Covid-19. In uno scenario  di lockdown reiterato  sarebbero classificate come rischiose il 26% delle PMI meridionali (il 64,4% considerando vulnerabili e rischiose) e il 22,9% di quelle del Centro (58,7%), contro percentuali pari al 14,2% (42,6%) nel Nord-Est e al 14,8% nel Nord-Ovest (43,8%). La diffusione del virus COVID-19 ha prodotto un devastante shock sull’economia globale e continuerà nei prossimi mesi a condizionarne pesantemente le aspettative di ripresa, visti l’attuale stato di diffusione e i  nuovi focolai di infezione  nel continente europeo, le cui Istituzioni comuni hanno faticosamente concordato le basi per un’efficace strategia di rilancio ora però messe in grande difficoltà.

Nel nostro Paese, già segnato prima del Covid-19 da un’evidente stagnazione, è in atto una pesante recessione, dovuta agli impatti generati dal blocco amministrativo di numerose attività produttive e dal  rallentamento subito da tutte le altre attività dovuto, nello specifico, alle misure di prevenzione, sanificazione e distanziamento fisico imposte a tutte le fasi delle catene produttive e logistiche e, in generale, all’inevitabile caduta della domanda internazionale e domestica, in particolare di beni di investimento e di consumo, conseguente al crollo dei fatturati e dei redditi. Per le imprese, e in particolare per le PMI, c’è l’esigenza, di sopravvivere al blocco e, per molte, di affrontare una forte riduzione dei ricavi. Le misure adottate dal Governo, grazie anche ad un temporaneo allentamento da parte della Commissione europea della disciplina sugli aiuti di Stato su numerose e significative categorie di intervento, non sono prive di incoerenze temporali rispetto ai fabbisogni delle imprese: costi del lavoro coperti (in modo “quasi universale”) da ammortizzatori sociali erogati con lentezza e difficoltà (a fronte del blocco dei licenziamenti); costi fissi parzialmente e selettivamente compensati da contributi pubblici prevalentemente erogati con crediti d’imposta; oneri fiscali e contributivi e pagamenti di varia natura sospesi e rinviati; indennizzi e esenzioni fiscali limitati e applicati in modo più o meno restrittivo. Tutte misure per cercare di salvaguardare la liquidità delle imprese, supportate soprattutto da massicci interventi di prestiti e garanzie erogati tramite banche e intermediari finanziari, anche in questo caso con non poche difficoltà di avvio e di concreto e tempestivo sollievo per le imprese. 

Poco rilevanti sono state le misure di sostegno degli investimenti, soprattutto quelle del cd. DL “Rilancio”, preferendo un’azione limitata e indiretta sul lato della domanda privata (ristrutturazioni edilizie, veicoli a basso impatto ecologico) e limitatamente di quella pubblica. E’evidente l’esigenza di un’azione più incisiva sulla domanda pubblica, per i suoi effetti diretti e indiretti sulla ripresa.  Il  DL “Semplificazione” 76/2020,  avrebbe potuto offrire, in  una spinta significativa agli investimenti pubblici, per ora circoscritta alle previsioni del Bilancio 2020 e ai suoi sviluppi tendenziali, ma in prospettiva alle rilevanti risorse che l’UE si accinge, si spera presto, a  stanziare  definitivamente già dal 2020 e per il ciclo 2021-2027. Ma ancor più evidente risulta la necessità di sostenere i processi di investimento delle imprese, soprattutto delle PMI, le più esposte al rischio di chiusura e alle conseguenti perdite occupazionali indotte dagli effetti del Covid-19, in particolare nel Mezzogiorno. Le misure straordinarie adottate per sostenere la liquidità dovrebbero progressivamente chiudersi entro il 2020, in particolare quelle consentite dal QT (Tecnologie Quantistiche) della Commissione europea. E’ fondamentale sfruttare tutte le opportunità finanziarie attuali e previste, già disponibili nei Fondi europei e nazionali e ancor più in previsione delle rilevanti risorse aggiuntive provenienti dal Bilancio dell’UE 2021-2027, in particolare quelle destinate al Piano nazionale di Rilancio che utilizzerà le risorse del New Generation Europe nel periodo 2021-2024.

Nel predisporre una programmazione degli investimenti coerente con le profonde riforme strutturali, a cui va strettamente collegata un’efficace azione capace di integrare le grandi finalità dettate dall’UE – sostenibilità, resilienza e digitalizzazione – con obiettivi di superamento delle criticità strutturali delle PMI, variamente diversificati tra Mezzogiorno e Centro-Nord e tra regioni, declinati anche in una prospettiva di sviluppo regionale e di coesione territoriale, conduce necessariamente a promuovere l’impostazione di una politica nazionale per le PMI, che sappia impiegare efficacemente e tempestivamente le cospicue risorse disponibili e programmabili. Ci si riferisce alle politiche di coesione e sviluppo regionale, a seguito della riprogrammazione dei Fondi SIE – con un utilizzo previsto di circa 10 miliardi di euro a rendicontazione di spese sostenute per l’emergenza sanitaria, ma da riallocare sui Programmi operativi complementari (POC) nazionali e regionali – dovranno anche essere impegnate e poi impiegate le risorse residue del ciclo 2014-2020, a cui si aggiungeranno risorse, sempre provenienti dall’UE, per sostenere la transizione verso il ciclo 2021-2027, per complessivi 52,5 miliardi di euro, di cui circa 15 miliardi destinabili all’Italia, da impegnare negli anni 2020-2022, di cui 47,5 miliardi resi disponibili dal New Generation Europe.

Quest’ultimo strumento, con una dotazione (in attesa di conferma) di 312 miliardi di sovvenzioni e 360 miliardi di prestiti, potrebbe destinare all’Italia, per il Piano nazionale di Rilancio, circa 185 miliardi di euro (58 miliardi di sovvenzioni e 127 miliardi di prestiti). Sempre dall’Europa, il Bilancio 2021-2027 prevede risorse per investimenti per l’occupazione e la crescita delle politiche di coesione per 322 miliardi euro, di cui circa 38 miliardi dovrebbero essere riservati all’Italia. Da segnalare, grazie ad una combinazione tra risorse per la coesione e del New Generation Europe (per complessivi 17,5 miliardi di euro, di cui, per ora, sono ipotizzabili risorse per circa 1 miliardo all’Italia), l’attenzione particolare dedicata ai problemi regionali di riconversione industriale per la de-carbonizzazione e la transizione verde, che necessiterà di alcuni adeguamenti necessari ai reali fabbisogni di intervento nel nostro Paese, che emergono dalle analisi basate sui cd. “settori transitional”.

Inoltre e non secondaria, c’è da considerare tutta la riprogrammazione nazionale del Fondo Sviluppo e Coesione (FSC), che dovrà condurre ad una ripartizione delle risorse provenienti da ben tre cicli di programmazione (2000-2006, 2007-2013 e 2014-2020) tra interventi effettivamente realizzabili e da realizzare (risorse già impegnate e impegnabili) e interventi da riprogrammare con Piani di Sviluppo e Coesione (PSC), a cui si prevede di aggiungere, secondo il Piano Sud 2020-2030, ulteriori e rilevanti risorse per quasi 60 miliardi di euro per il ciclo 2021-2027. Siamo di fronte ad una straordinaria opportunità non solo di rilanciare l’economia del Paese, ma anche di avviare quei profondi cambiamenti strutturali di cui l’Italia ha ormai bisogno da un ventennio, in cui le PMI del Mezzogiorno e del Centro-Nord possono svolgere un ruolo determinante, se sapranno affrontare con decisione le loro rilevanti criticità e potranno contare su un’efficace politica di interventi da attivare già nell’immediato e da completare con impegno e responsabilità nel medio e nel lungo termine.

Alessandra Servidori

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