Il congresso della Cgil ha davvero segnato una svolta nei rapporti unitari del sindacato? Comincia adesso una nuova era? La domanda aleggia nell’aria dopo la riconciliazione tra Epifani, Bonanni e Angeletti, dopo che si sono parlati con grande sincerità. Una risposta però è difficile, perché i segnali, pure espliciti, non aiutano a formulare una previsione sicura.
I congressi confederali, per lo più rivestiti di belle parole, ma di scarsa affidabilità, sono spesso l’occasione per pronunciare promesse che pure si sa non verranno mai realizzate. Tanti più in materia di unità sindacale. Dire che l’unità è importante, che soli si è più deboli, che uniti si vince, in fin dei conti non costa nulla. Ma questa volta tutta la partita era partita nel peggiore dei modi. Quei fischi a Bonanni e Angeletti erano stati così forti, così sentiti, provenivano dall’insieme dei delegati, non certo solo da qualche ospite occasionale, come pure la burocrazia della Cgil ha tentato di accreditare. Al più, c’è da dire che, se i delegati erano stati avvertiti di non fischiare, mentre gli altri cgiellini presenti no, per cui si è scatenata lo stesso la contestazione, questo non annulla l’errore commesso, semmai lo aumenta, perché vuol dire che senza avvertimenti i fischi sarebbero stati ancora più marcati.
Insomma, si era partiti nel modo peggiore. Poi però Epifani ha cancellato con le sue scuse plateali quello schiaffo e il congresso ha ripreso il suo iter. E gli afflati unitari ci sono stati, marcati e sentiti. A Epifani che aveva chiesto un accordo sulla rappresentanza e la democrazia sindacale hanno risposto positivamente i due leader di Cisl e Uil, che si sono detti pronti a questo negoziato, sia pure non rinunciando a fissare qualche paletto ben preciso. Come pure hanno risposto, ma molto più freddamente, alla richiesta del segretario generale della Cgil di rimettere in discussione il modello di contrattazione uscito dall’accordo del gennaio 2009 non firmato dalla Cgil.
Adesso che succederà? Partiranno questi negoziati? E si arriverà a un accordo? Bisogna distinguere. Per rappresentanza e democrazia sindacale non dovrebbero esserci moltissimi problemi. Perché le confederazioni avevano già raggiunto un accordo due anni fa su questi temi, per cui procedere non dovrebbe essere difficile. Alla Cgil un accordo del genere serve molto, perché è il sindacato più forte, e perché le due altre confederazioni in presenza di un accordo del genere, specie per la democrazia sindacale, avrebbero maggiori difficoltà a procedere separatamente.
Però Bonanni è stato chiaro in merito quando ha affermato che va evitata qualsiasi deriva assemblearistica. Devono essere le organizzazioni a presentare le soluzioni ai lavoratori, ha detto, non le assemblee di questi a dettare le regole e il comportamento ai tavoli di trattativa. E sia lui che Angeletti hanno detto anche che il peso degli iscritti deve essere superiore a quello dei lavoratori non iscritti. Indicazioni che potrebbero creare qualche problema alla Cgil, che la pensa in maniera alquanto diversa.
Ma nell’insieme i presupposti per andare avanti e raggiungere un accordo potrebbero anche essere dati per esistenti. Certo, un accordo in tal senso non ha valore se resta confinato all’ambito sindacale, nel senso che serve anche la firma della controparte, delle organizzazioni datoriali. Ma anche questo potrebbe non essere un problema grave, specie considerando che tutto il mondo imprenditoriale tirerebbe un sospiro di sollievo se la diaspora sindacale finisse.
Più difficile invece che parta un negoziato sul modello contrattuale. Perché Cisl e Uil non possono rimettere in discussione l’intesa del 2009 senza perdere la faccia. Tanto più che anche la Confindustria ha detto di vedere la possibilità di ritoccare quell’intesa, non certo stravolgerla. E poi perché c’è già una scadenza prefissata, quella del 2013, quando terminerà la sperimentazione dei primi quattro anni. A quel momento sarà possibile cambiare, magari anche sostanzialmente, il modello, prima sembra molto difficile. Non è un caso se Angeletti è stato chiaro nel dire che il modello ha funzionato, se sono stati rinnovati spesso prima del tempo e senza scioperi ben 40 contratti, con la firma anche delle federazioni della Cgil, esclusa la Fiom. Resta da vedere cosa farà la Cgil quando, tra qualche mese, appunto la Fiom presenterà alla Federmeccanica la sua piattaforma per il rinnovo del contratto quadriennale in scadenza. Avallerà il comportamento dei suoi metalmeccanici, rompendo di nuovo con Cisl e Uil? O più pragmaticamente cercherà di evitare questa prova di forza? Difficile dirlo, tanto più considerando che a quel momento saranno cambiati i vertici sia della Fiom che della Cgil e la storia sarà allora tutta diversa.
Massimo Mascini



























