di Luigi Copiello – Segretario Generale Fim Veneto
Un po’ tutti, e da tanti anni, discutono di post-fordismo, post-industriale e post-quant’altro. Speranze e paure si aprono di fronte a questi scenari del dopo. La Fiom – nel documento congressuale della maggioranza, firmato dal segretario generale – toglie ogni “post” e ci ributta in pieno fordismo.
Denuncia “la finzione delle imprese autonome” (p.6). Esemplifica: “l’automobile e il navigatore satellitare: senza la prima il secondo è inutile”. Insiste: “E’ industria…”, “E’ industria….”, “E’ industria”. La catena del valore è “la catena del valore del prodotto industriale” (p.8).
Il ritorno al passato teorico è completato dal ritorno al passato programmatico. Si rivendica “un programma di re-industrializzazione del paese” (p. 15), che va dalla “diretta partecipazione pubblica al capitale proprietario della FIAT” (p. 13) a “interventi pubblici per la mobilità sostenibile” per “favorire un riposizionamento della FIAT” stessa. “Così come la sostituzione del materiale rotabile darebbe spazio alle aziende italiane di produzione e riparazione” (p. 15).
Senza scomodare gli storici, bastano i cronisti per ricordare che questo fu il “piano Fanfani”, ancor prima del centrosinistra. Con l’Alfa Romeo pubblica, a tenere a bada la Fiat. Come noto, anche Fanfani fu un eversore: dell’Italia preindustriale. Ma sono passati 50 anni e qui ci troviamo in pieno revanscismo industrialista, con la grande fabbrica e lo Stato che si occupano di tutto. E con lo Stato che occupa tutto, essendo anche padrone della grande fabbrica. Anche Fanfani fu di sinistra, anche se era il solo, a dire il vero, a dirlo. Qui, l’andare a sinistra è una modalità di marcia: andare contromano.
Osservo solo che se l’Italia si fosse fermata al “piano Fanfani” avrebbe tutta intera fatto la fine del Sud. Per fortuna l’autonomia delle piccole e medie imprese ha salvato tutto il Nord e sviluppato il Centro e una parte del Sud stesso. Assicurare poi la diretta rispondenza tra “interventi pubblici” e “riposizionamento della FIAT” e “spazio alle aziende italiane di produzione” pone una domanda: con o senza tangenti?
Passando oltre, non è neppure citato, in 27 pagine, un problemino da quasi 2 miliardi di euro, ossia il debito pubblico. Evidentemente colmato dalla politica fiscale della Fiom (p. 19), in grado inoltre di assicurare che “la spesa pensionistica non deve essere ridotta, mentre la restante spesa sociale va portata a livelli europei” (p. 19). Se è così, è un programma di Governo. E che Governo! Il Governo del paese dei ….
Che dire? Che dire, a voler essere seri? La Fiom, per il terzo congresso consecutivo, rivendica la sua “indipendenza”. Messe così le cose, sembra più una rivendicazione di indipendenza dai fatti. Come diceva Lenin: “Tanto peggio per i fatti”. Il fordismo non è certo finito, e neppure la manifattura e l’industria. Ma manifattura e industria hanno da tempo abbandonato i luoghi di nascita (Inghilterra e Usa), stanno ormai declinando in Centro Europa (nell’industriosa Germania pesa assai meno che nella laboriosa Italia) e vanno a invadere l’Est, fino alla Cina. La ricchezza invece, non solo dei capitalisti (che stanno dappertutto e pare soprattutto in Russia) ma soprattutto dei popoli (per questo si dice Pil) ha smesso di inseguire manifattura e industria e fa anzi un movimento contrario.
Ma se questo è troppo complicato e lascia giustamente aperti molti discorsi, su altri fatti la Fiom farebbe bene a interrogarsi. Fatti più interni, ma anche più chiari, da cui è difficile essere “indipendenti”. Si va dalla “battuta d’arresto con l’esito negativo del referendum sull’art. 18” (p. 4) ad un “riscontro molto articolato e insufficiente per la cassa di resistenza (p.25), ai “limiti nell’estensione della nostra iniziativa contrattuale con i pre-contratti” (p.4).
Non si parla di 1.300 iscritti persi nel 2003. Dei 70.000 persi negli ultimi dieci anni, quando l’occupazione industriale nel metalmeccanico è cresciuta di 120.000 unità. Parrebbe che siano i lavoratori metalmeccanici a rendersi sempre più “indipendenti” dalla Fiom. Specialmente, poi, quando questa dichiara propri scioperi. Essi stanno altrove, in un mondo che non ha mai conosciuto né fordismo né grande impresa e non hanno rimpianti, avendo spesso trovato di meglio. Il voler poi “assegnare ai lavoratori la titolarità decisionale” anche per “misurare l’effettiva rappresentanza delle organizzazioni” dà immediatamente un risultato: la Fiom è minoranza tra i lavoratori metalmeccanici, e sempre più minoranza.
A questo punto “indipendenza” è altra cosa, è cecità e presunzione. Presunzione quando la Fiom si arroga di essere l’unico sindacato degno di un nome, neppure citando Fim e Uilm, relegate nell’anonimato di “tutte le altre organizzazioni sindacali”. Presunzione che fa della Fiom la candidata naturale al ruolo di minoranza in Cgil. Presunzione che toglie ogni “pericolo” a quanto è “minacciato” sul contratto. “Non si può accettare l’inflazione programmata. Non è possibile utilizzare per i contratti nazionali il puro indicatore della produttività di settore, che infatti non corrisponde all’andamento della distribuzione della ricchezza …verso finanza e rendita”. Si rivendica invece “il vero andamento dell’inflazione e della ricchezza complessiva del paese”. Quale sia il vero, ognun lo sa. Come ognuno sa che la Fiom, da sola, sa fare solo una cosa: non rinnovare alcun contratto.
Non è finita. Non è finita la fatica per i lavoratori metalmeccanici. Rischia anzi di aumentare. Se è vero che sono i lavoratori organizzati e sindacalizzati a contare, i metalmeccanici sono senza uno dei sindacati. Minoritario, ma sempre un gran sindacato. Senza la Fiom. Finora Fim e Uilm hanno fatto di necessità virtù, firmando i contratti nazionali e quant’altro. Ma le supplenze sono, per definizione, a termine. Prodi ha detto che l’Europa si fa sull’orlo del burrone. Non solo l’Europa. E comunque nei metalmeccanici siamo già oltre. Oltre il burrone. Con la Fiom.