Non si tratta solo di numeri e tabelle, in ballo ci sono le vite e il futuro degli italiani. Con queste parole il presidente del Consiglio, Mario Draghi, definisce il senso di quello che dovranno rappresentare le risorse del Piano nazionale di ripresa e resilienza. Dunque non si tratta solo di un testo scritto da tecnici per i tecnici, ma delle pagine vive, percentuali e cifre assolute nei quali possiamo dire che scorre il sangue delle generazioni avvenire. Una scommessa che non possiamo perdere, prosegue il premier, un’occasione irrepetibile.
Ma per spendere questi soldi servono le riforme, giustizia, pensioni e fisco solo per citare le più spinose, bisogna snellire l’apparato burocratico. Cose note, che da tempo si invocano, ma con scarsi risultati. Le riforme assumono sempre una valenza divisiva, quando invece dovrebbero essere mattoni sui quali si costruisce l’edificio della democrazia. Il governo di turno spende gran parte delle sue energie a smantellare il lascito legislativo di quello precedente e, a sua volta, come un novello Mafarka, riversa tutta la sua volontà per generare un’eredità politica a imperitura memoria dei futuri elettori. Oltre alla furia iconoclasta e alla damnatio memorie che ogni esecutivo riserva all’altro, in un infinito gioco dell’oca che ci riporta al punto di partenza, non meno trascurabile le contro indicazioni, gli effetti collaterali, che ogni riforma scarica sul tessuto sociale ed economico.
Altro elemento di impaccio e di arretratezza, nella narrazione corrente, sono le lentezze e le aporie della burocrazia, – un katechon dei tempi odierni, avulso e staccato dal contesto biblico e teologico – , che nell’immaginario collettivo sembra aver preso le sembianze di un oscuro marionettista, capace di manovrare i destini del popolo italico. Ogni politico che abbia posto al centro della sua agenda lo smembramento di questo meccanismo dai tratti mefistofelici ne è poi rimasto vittima, come una mosca caduta nella tela del ragno. Eppure, proprio la macchina pubblica, con le sue indubbie deficienze, dovrà essere posta al centro della ripresa del paese.
Insomma il tempo degli alibi è giunto al termine, e difficilmente sarà nuovamente disponibile una cifra così considerevole. Eppure non sembra esserci cura per la miopia e lo strabismo della nostra classe politica. La logica che si persegue è quella della faziosità e della divisione. Ignari del pericolo, si soffia sul fuoco del disagio sociale, visto come fonte di consenso elettorale. Agli angoli delle strade c’è chi urla che ogni giorno è sempre Natale. La credibilità del paese è sempre sul punto di vacillare, e si ha l’impressione che la fiducia che ancora possiamo riscuotere sul panorama internazionale risieda solo in pochi “assi”.
C’è un pensiero che da un po’ di tempo mi assilla. Senza la pandemia, con tutto il suo carico di dolore e morte, saremmo stati ugualmente consapevoli delle carenze del nostro paese? Avremmo avuto la forza di agire per evitare che la nostra società e la nostra economia occupassero in modo irrimediabilmente stabile gli ultimi posti? Certo ancora non siamo al riparo da questo pericolo. La possibilità di fallire non è svanita. Ma almeno ora ne siamo consapevoli (spero).
Tommaso Nutarelli