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Home - Approfondimenti - Interviste - Miseria e povertà

Miseria e povertà

di Marco Cianca
15 Gennaio 2021
in Interviste

Adriano Urso, pianista jazz, 40 anni. È stato stroncato da un infarto mentre, con dolente affanno, consegnava pizze. La sua vecchia macchina si era fermata, stava spingendola, nell’ansia di ripartire senza perdere tempo, ma il cuore ha detto basta. La musica tace, nel triste silenzio della pandemia. Niente concerti, niente esibizioni, nessun ingaggio, e così per tirare a campare si era messo a fare il rider. Cene pronte al posto degli spartiti.

Giovanni, guida turistica e cameriere, 52 anni. Chiusi i ristoranti, chiusi i musei, finite le visite guidate. Non guadagnava più nulla, impossibile pagare le bollette e gli affitti. Non poteva nemmeno fare la spesa. È finito in un condominio sociale, finanziato dal Comune, con una decina di disperati come lui che hanno perso tutto e si sono aggrappati alla pubblica pietà.

Storie di vita e di morte. Storie della pandemia. Storie di nuovi accattoni. “Non possiamo stare solo a guardare le file che si allungano davanti alla Caritas”, ha affermato Roberto Benaglia, segretario generale della Fim-Cisl. Ma che possono fare le grandi confederazioni? È ipotizzabile un sindacato dei poveri? Lo chiediamo ad Andrea Ranieri, una lunga militanza nella Cgil e poi senatore, cresciuto alla scuola di Vittorio Foa e Bruno Trentin.

“Sì, il sindacato, per la sua stessa natura, ha l’obbligo di tutelare i poveri. Condizioni di sotto salario, donne in part time imposto, contratti a termine, precari. Non deve rappresentare solo i lavoratori regolari, a tempo indeterminato, che ormai in molte aziende, soprattutto quelle che ricorrono massicciamente agli appalti, sono la minoranza. Deve avere la capacità di parlare a nome di tutti, altrimenti abdica alla propria funzione fondamentale. Partire dai più deboli, non il contrario. Sono loro la centralità. Questa deve essere la strategia, e in quest’ottica va organizzata la presenza sul territorio. È quella che chiamiamo la contrattazione inclusiva. Concetti, per la verità, sui quali Maurizio Landini insiste con forza”.

Ma, da solo, l’allargamento della contrattazione non basta.

“E infatti il secondo obiettivo è la costruzione di ammortizzatori sociali universali. Portare tutti allo stesso livello di copertura.  Oggi gli interventi sono molto frammentati e dipendono più da dove stai che dalle obiettive condizioni di bisogno. Assistenza non è una brutta parola ma un dovere dello Stato nei confronti di chi non gliela fa. Con questo governo alcune cose sono state realizzate. L’estensione della cassa integrazione in deroga ha costituito una misura importante”.

Proprio Landini ha parlato della necessità di un sindacato di strada.

“Sì. L’altro punto fondamentale della contrattazione inclusiva è il ruolo delle camere del lavoro. Un luogo dove ci siano tutti, chi ha un posto e il disoccupato, il sarto e il panettiere, la tuta bianca e la giacchetta nera, l’operaio e l’impiegato. Tornare al passato, alla funzione originale della camera del lavoro come punto di riferimento per tutti. Prevedendo anche processi di formazione e di inserimento nel mondo del lavoro”.

Luigi Di Maio, dal balcone di Palazzo Chigi, aveva annunciato la fine della povertà, abolita per decreto. A questo sarebbe dovuto servire il reddito di cittadinanza. Un flop?

“Il reddito di cittadinanza ha salvato dalla fame un bel po’ di gente. Ha dato a tante persone la possibilità di sopravvivere. La recessione dura da parecchi anni, ben prima della pandemia. Basti pensare agli effetti della crisi finanziaria del 2008. Il reddito di cittadinanza risponde alla necessità di non lasciare solo chi non alcuna fonte di reddito. È stato giusto averlo. Senza, molta più gente sarebbe finita nella disperazione. L’errore è concepirlo come una misura per il lavoro, collegarlo al fatto che devi accettare un’offerta qualunque. Mi sembra un modo di mettere in stato di soggezione e di colpevolizzare, quasi criminalizzare, il povero. Bisogna aiutarlo ed assisterlo nelle scelte. Una politica di sviluppo e di formazione che offra occasioni nuove e diverse. Una rete che consenta di scegliere il proprio percorso e di costruirsi un progetto di vita”.

Questo dovrebbero fare le camere del lavoro?

“Sì, bisogna mettere le mani concretamente dove la miseria si presenta. Affiancare la Caritas, lavorare con loro. Sta già succedendo in molte zone. Ci sono iniziative in corso da tempo per portare da mangiare o assistere gli anziani soli. Il sindacato deve aiutare le associazioni di volontariato nell’azione di contrasto ai fenomeni di marginalità. Deve essere parte attiva di questa azione, senza pensare di dirigerla. Offrire la propria esperienza e competenza ma imparando lui stesso”.

Torna con prepotenza il tema del sindacato soggetto politico.

“Assolutamente sì. Come ricorda Bruno Trentin nei suoi diari, il sindacato soggetto politico lo fonda Giuseppe Di Vittorio lanciando il Patto per il lavoro e rompendo così lo schema in base al quale le organizzazioni sindacali dovevano occuparsi solo di salari mentre tutto il resto spettava alla politica.  Un progetto che andava di pari passo con gli scioperi alla rovescia. È stato anche il tentativo, in parte non riuscito, di evitare che il miracolo economico avvenisse attraverso la desertificazione del sud e l’abbandono totale della terra. Era l’idea che le menti e le energie migliori dovessero restare nel Mezzogiorno”.

E oggi?

“Oggi bisogna legare l’occupazione alla riconversione verde dell’economia Un modello di sviluppo che recuperi la campagna e le tradizioni culturali. Mettere il territorio e la salvaguardia dei beni comuni, quelli che non si possono vendere e comparare, fuori dalla logica del mercato. Sanità, scuola, natura, cultura non debbono più essere considerate merci. Il consumismo non può essere il motore della crescita”.

In un articolo sull’Avvenire hai scritto che un altro sviluppo significa essere un po’ più poveri.

“Bisogna distinguere tra miseria e povertà, che può essere anche una scelta di vita. Paolo Nori, in uno dei suoi libri, scrive che la nonna raccontava tante storie di miseria e diceva, per paradosso: quando siamo diventati poveri abbiamo fatto una festa. Ecco la povertà può essere intesa come dignità. Comprare un vestito nuovo al figlio, mandarlo a scuola, stare sotto un tetto, avere da mangiare. Un’idea frugale della vita è l’unica che ci può salvare. Ricordo operai che rifiutavano di fare lo straordinario per non vendere il proprio tempo al padrone e al consumismo. Preferivano rinunciare all’acquisto del televisore a colore. Gli indigeni dell’Amazzonia difendono la loro povertà e le foreste dalle mire degli speculatori. E così aiutano a difendere il pianeta. Don Lorenzo Milani, Danilo Dolci, Simone Weil si sono fatti poveri. Il loro esempio è una speranza per il futuro”.

Una forma francescana di pauperismo.

“Io sono d’accordo con il Papa. Dobbiamo lottare contro tutte le forme di miseria ma l’uscita dallo stato di bisogno non avviene con il modello consumistico. Ecco perché il lavoro deve essere collegato ad un grande progetto di risanamento. Bisogna, ad esempio, ridare valore alle aree interne e fare in modo che la gente non abbandoni i piccoli paesi. Lo spopolamento è una tragedia.  Manlio Rossi Doria diceva che la dorsale appenninica era l’osso, le grandi città la polpa. Ma se abbandoni e scarnifichi l’osso, tagli gli alberi e sfondi le montagne, ogni volta che piove viene giù tutto”.

Teorizzi di fatto una fuoriuscita soft dal capitalismo.

“Anche tanti capitalisti cominciano a ragionare in maniera diversa. Capiscono che per la salvaguardia del pianeta non si può insistere su una crescita senza limiti. Bisogna puntare su un tipo di sviluppo che ricostruisca il rapporto tra la produzione e il rispetto della natura. Rendere abitabili le zone centrali del paese, pensare alla mobilità tra le varie zone e non solo all’alta velocità, un’edilizia che prima di costruire restauri l’esistente. L’economia circolare significa anche manutenzione e capacità di aggiustare”.

Eppure, le grandi multinazionali producono oggetti che non si possono aggiustare e se si rompono vanno cambiati. Sono in corso battaglie legali proprio per il diritto alla riparazione, “right to repair”.

“Sì. Televisori, computer, cellulari, persino le componenti elettroniche delle macchine fanno sì che spesso costi meno comprarli nuovi che aggiustarli. Prodotti più duratori forse penalizzerebbero i posti di lavoro nelle fabbriche ma quello che perdi nella produzione lo recuperi nella filiera della manutenzione”.

Sembra la decrescita felice teorizzata da Serge Latouche.

“No, perché qui si tratta di capire cosa deve crescere e cosa deve fermarsi. La realtà è che siamo dentro la decrescita infelice, il che è molto peggio. Tutto si basa sui soldi che incassi e su quanto spendi. Meglio pensare a ciò che è utile e necessario.  Che valore ha un paesaggio? E i boschi, gli animali, la compagnia degli altri?”.

La pandemia ha fatto esplodere tutte le contraddizioni non risolte

“Il mondo deve cambiare, non tornare come prima. Il vaccino ci salverà dal Coronavirus ma non dal riscaldamento globale”.

Problemi epocali, rispetto ai quali la voce del sindacato suona molto flebile.

“La politica ha come come idea fondamentale il consenso e la prospettiva a brevissimo tempo. Il sindacato è fuori da queste dinamiche, deve essere capace di progetti a lungo termine. E poi fa notizia solo quando protesta, non quando propone”.

Eppure, sul Recovery Plan è sembrato fuori dalla partita. Tutta l’attenzione l’ha catalizzata Matteo Renzi.

“L’errore fondamentale di Giuseppe Conte è stato quello di non aver impostato in modo prioritario il rapporto con le parti sociali. Quando si discute di contenuti si evitano le imboscate politiche”.

La colpa sarà pure di Conte, ma il sindacato non è riuscito ad imporsi.

“Non ha avuto la forza. Tutti i giorni chiedeva di aprire un tavolo di confronto ma Conte non è stato a sentire. Una bozza condivisa con le parti sociali gli avrebbe permesso di restare nel merito ed evitare i giochetti di Renzi”.

Ora però siamo nel pieno di una crisi che lo stesso Landini definisce incomprensibile. Che deve fare il sindacato?

“Speriamo che intanto vada avanti il confronto al ministero del Lavoro sugli ammortizzatori sociali e il fondo nazionale per le competenze. Bisogna continuare a parlare delle cose concrete. Non possiamo fermarci, la situazione è drammatica”.

Marco Cianca

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