di Renata Polverini, segretario generale Ugl
Confindustria ha lanciato l’idea di un patto per la produttività ponendolo come priorità per il Governo una volta chiusa la partita sulla Finanziaria. Parti sociali e Governo seduti intorno a un tavolo per stabilire come migliorare le produttività del Paese. Ma lo scontro è iniziato prima ancora che questa ipotesi cominciasse a tradursi in qualcosa di concreto. E la ragione è presto detta.
Il concetto di produttività racchiude in sé una molteplicità di variabili e di fattori, è un principio esteso ed estendibile. Cosa significa incrementare la produttività? Lavorare di più? Aumentare l’efficienza? Migliorare la professionalità? Adeguare i salari? I punti di vista inevitabilmente cambiano se si tiene conto dei diritti e dei bisogni da tutelare.
Il Paese ha bisogno di un rinnovato slancio verso la crescita e lo sviluppo: ma produttività e sviluppo non sono sinonimi e può accadere che ci sia maggiore sviluppo senza necessariamente un aumento della produttività, e non viceversa. Occorre dunque, in premessa, cercare di chiarire cosa si intende per produttività. E proprio in questa premessa emergono le differenze e inevitabilmente i dissensi. L’Ocse di recente ha sollecitato l’Italia ad avviare politiche di incremento della produttività contenendo i salari. Una presa di posizione per l’Ugl inaccettabile poiché non può sempre prevalere la logica che siano i lavoratori e pagare il prezzo di politiche necessarie e rimettere in corsa il Paese.
Quando parliamo di produttività, quindi, dobbiamo tenere a mente una serie di questioni tutte caratterizzate dalla medesima urgenza, che evidentemente non potranno essere avviate tutte nello stesso tempo, ma che devono in qualche modo fare da contenuto ad una strategia di ripresa economica che si rincorre da circa un decennio. Occorre prendere le mosse da tutti quei fattori di politica economica che una volta messi insieme possono contribuire a dare una nuova marcia al Paese: ammortizzatori sociali, previdenza, efficienza della pubblica amministrazione mercato del lavoro, liberalizzazioni e concorrenza, immigrazione, formazione, dimensione e governance delle aziende. Non si può pensare di privilegiare uno di questi temi a svantaggio di altri perché solo garantendo una visione e un’azione d’insieme si potranno gettare le basi per trovare una soluzione al problema della produttività. Non sarà un’impresa facile ma questo non deve esimere sindacati, imprese e Governo dall’affrontare una sfida ardua ma non impossibile. Con la stessa logica riteniamo però fondamentale che si proceda anche a riaffermare un concetto ed una pratica della concertazione realmente in grado di delineare i temi e le sedi istituzionali di confronto, rifiutando in modo deciso forme e luoghi che sembrano più consoni ad esigenze puramente mediatiche che ad una effettiva volontà di comune definizione delle politiche necessarie per lo sviluppo della Nazione.
Mercato del lavoro. Oggi si parla di produttività in un Paese che vede aumentare in modo considerevole l’età anagrafica media della popolazione: si invecchia sempre di più e le nascite, fatta eccezione per il contributo demografico positivo delle lavoratrici e dei lavoratori immigrati, stentano a tenere il passo di una crescita demografica almeno pari al tasso di sostituzione. La volontà del Governo di aumentare l’età pensionabile si scontra con la difficoltà dei giovani ad inserirsi stabilmente nel mercato del lavoro dove la flessibilità, in assenze di tutele ed efficaci ammortizzatori sociali, produce i propri effetti perversi aumentando e “confermando” uno stato di precarietà prolungata, senza assolvere alla sua funzione primaria di agevolare l’ingresso nel mondo del lavoro in vista di una stabilizzazione dell’occupazione. Ecco perché assumono ancora una volta rilevanza politiche di riforma del mercato del lavoro e di sostegno alla famiglia, in sintesi un vero nuovo e coraggioso patto generazionale.
Previdenza. La manutenzione annunciata dal Governo al sistema previdenziale si inserisce in questo ragionamento ponendo problemi urgenti per la rivalutazione delle pensioni, la questione dei lavori usuranti e delle donne, il dilemma delle nuove generazioni, il definitivo avvio della previdenza complementare.
Liberalizzazioni. L’approccio italiano alle liberalizzazioni, dagli anni Novanta in poi, non ha portato alcun beneficio al nostro sistema economico. Ha semplicemente favorito un mutamento di forma dei monopoli lasciando invariata la sostanza. E soprattutto non c’è stata una reale volontà di aprire i mercati nei settori strategici come quello energetico. Il pacchetto Bersani che ha colpito alcune libere professioni, i tassisti, i panificatori, i notai ha avuto il solo risultato di aumentare la tensione sociale con effetti liberalizzatori limitati se si guarda alla totalità della popolazione. Si è voluto colpire servizi che non incidono se non marginalmente sulla vita di un lavoratore medio.
Governance delle aziende. L’Ugl ha fatto della partecipazione dei lavoratori alla governance delle aziende un cavallo di battaglia importante in tutti questi anni,. Anche con la recente legge finanziaria, dopo il fallimento di un primo progetto in questa direzione avviato dal precedente Governo di centrodestra, ha riproposto il finanziamento di un Fondo a sostegno di iniziative volte a favorire un effettivo e strutturale coinvolgimento dei lavoratori alla gestione delle imprese. Anche questo è un aspetto che non può essere tralasciato quando si parla di produttività. Gli stessi imprenditori riconoscono che la principale risorsa delle loro aziende è costituita dai loro dipendenti ma sembrano poi spaventati da qualsiasi reale ipotesi di configurare un sistema di codecisione alle scelte strategiche inerenti lo sviluppo e l’organizzazione delle stesse.
Amministrazione pubblica. È un altro tassello del puzzle sulla produttività che sta riaccendendo polemiche all’interno della politica e del sindacato. La questione della presunta inefficienza dell’apparato statale non è nuova. Quel che serve è un intervento di riorganizzazione che punti sulla formazione e la riqualificazione professionale del personale puntando a politiche di efficienza e di qualità. In questo senso l’ipotesi ventilata di una mobilità degli statali diventa una delle eventualità di cui si potrebbe tener conto, purché sia concordata e incentivata, ma comunque all’interno di un quadro complessivo di interventi.
La sfida per la produttività, dunque, consisterà proprio nella capacità di giungere ad una sintesi di tutte queste esigenze complementari ad un disegno strategico di crescita e di sviluppo del Paese.