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Home - Blog - NEET: e noi stiamo a guardare

NEET: e noi stiamo a guardare

di Elettra Raffaela Melucci
6 Febbraio 2025
in Blog
ActionAid-Cgil, Italia maglia nera in Europa per numero di Neet, sono oltre 3 milioni

Le persone ridotte a numeri, i numeri tradotti in anglicismi, gli anglicismi ridotti ad acronimi. L’assottigliamento della tridimensionalità dell’essere è ancora più impressionante quando si parla di lavoro e lo è ancora di più se quando ci si approccia allo sciorinare di numeri e percentuali si resta indifferenti a tutto quanto sottendono. Morti, infortunati, disoccupati, inattivi: figurine impalpabili trovatesi nel posto sbagliato al momento sbagliato. Per causa di chi? Chissà, ma di certo non per propria.

Martedì sera al Nuovo Cinema Aquila di Roma – baluardo di resistenza del Pigneto, quartiere di studenti e lavoratori – si è parlato proprio di questo: dell’invisibilizzazione dei giovani e giovanissimi che non studiano, non lavorano, non sono impiegati in un percorso di formazione e che non sono nemmeno alla ricerca di un’occupazione lavorativa e/o formativa. Sono appunto conosciuti come NEET (Not in Education, Employment or Training), questo gruppo di 15-29enni che proprio non ha voglia di fare nulla. Qualcuno provò a chiamarli choosy, perché si arrogano il vizio di voler scegliere cosa fare della propria vita lavorativa, Michele Serra invece li ha ironicamente etichettati come Gli sdraiati, ragazzi imperscrutabili sdraiati (appunto) su quei divani di famiglia che assorbono ogni grammo dell’energia migliore in attesa che accada qualcosa.

Ma chi sono? Cosa vogliono? Cosa fanno delle loro giornate? Quale pensiero attraversa la loro testa? Il regista Andrea Biglione ha provato a dare una risposta con il suo film commedia N.E.E.T., assurgendo il punto di vista di questo gruppo statistico dando voce e corpo a un disagio finora rimasto inespresso. La cornice di trama entro la quale i personaggi si muovo ha del paradossale, ma con il susseguirsi della vicenda ci si accorge che tutto sommato lo scenario non è poi così inverosimile. In un’Italia del possibile, in cui i NEET sono sempre e comunque un problema, la Ministra della Difesa decide di reintrodurre la leva militare obbligatoria – una sorta di mini-naja (che però di volontario non ha nulla) il cui scopo è stimolare i ragazzi a cercare un lavoro entro l’anno di durata, pena il proseguimento della leva. Il film racconta una storia di rivalsa giovanile, la sfida di questo esercito di giovani alla ricerca di motivazioni per ritrovare la loro identità “post N.E.E.T.”.

In apertura della proiezione si è svolto un dibattito sul tema con Lorenzo Marinone, Consigliere Comunale di Roma Capitale e Delegato del Sindaco alle Politiche Giovanili, Filippo Sensi, senatore, Marta Bonafoni, consigliera regionale, Natale Di Cola,  segretario generale della Cgil di Roma e del Lazio, Ludovica Briotti, psicologa-psicoterapeuta, Bianca Piergentili, coordinatrice della Rete degli Studenti Medi del Lazio. La visione è comune e umanistica: si tratta di ragazzi e ragazze cresciuti nel mito della realizzazione personale e del possibilismo, che all’orizzonte della loro giovinezza vedevano già soddisfatte le risposte alle loro aspettative e ai loro bisogni. Il tutto, però, si è rivelato una chimera e per di più, disillusi e sconfitti dall’impatto con la realtà, si sono ritrovati a essere colpevolizzati dalle quelle stesse istituzioni che hanno creato i presupposti per questo schiaffo. Nei loro confronti sono mancate le risposte, la responsabilità di garantire un lavoro dignitoso che li potesse rendere felici, la miopia di una visione che non ha messo a fuoco la trasversalità delle politiche nel problema dei NEET. Il fenomeno, infatti, è anche attraversato da problematiche di genere, di istruzione, di estrazione sociale, di condizione economica. La pandemia, poi, è stato uno spartiacque formidabile che ha esacerbato una condizione latente di disagio psicologico che ha piombato i giovani in un immobilismo psicologico. Aspetto interessante del dibattito, infatti, è stato proprio quello riguardante la salute mentale dei giovani, grande (invisibile) protagonista del periodo post-covid – o meglio, come descritta da Filippo Sensi, “l’ombra psicologica dimenticata del Covid”. Quella in corso è una battaglia di liberazione del tempo da un lavoro alienante e controllato e piuttosto che accettare queste condizioni i giovani decidono di non scegliere anche per via di una precarietà diffusa. Eppure nel 2023, secondo le statistiche Istat, il numero di Neet è risultato in calo al 16,1% (-2,9 punti percentuali rispetto al 2022). Questo perché davvero i giovani sono confluiti nelle statistiche di aumento del tasso di occupazione o perché, magari, fuggono da un paese che non tiene al loro destino? Ma a prescindere dalle motivazioni, poi, c’è poco da rallegrasi visto che il valore italiano resta comunque inferiore soltanto a quello della Romania (19,3%) e più elevato di quello medio europeo (11,2%), senza contare, come rileva Di Cola, che la percentuale è destinata a risalire per via degli italiani di seconda generazione.

Dei NEET si parla solo alla diffusione dei bollettini statistici, per il resto del tempo tutto è silenzio; dei NEET si ignora l’identità e la percezione, spingendoli solo a massimizzare i profitti scolastici e lavorativi; dei NEET non si conosce la voce e il volto. Ma non doveva essere, questo o quest’altro, il governo che si occupa dei giovani? Non era importante avere cura del loro futuro che poi è quello del Paese intero? Non era importante dare loro garanzie anche per arginare la denatalità, per riappropriarci di un preziosissimo capitale umano, per curare gli interessi “degli italiani”? Per fortuna un film come quello di Biglione, con una certa dose di audacia, ha acceso una piccola lampadina sulla questione. Ma alla fine le domande restano sempre le stesse, a prescindere dal vento che tira e intanto la barca va alla deriva mentre noi restiamo sdraiati a guardare.

Elettra Raffaela Melucci

 

Elettra Raffaela Melucci

Elettra Raffaela Melucci

Redattrice de Il diario del lavoro

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