Ci sono cose malfatte che, per quanto malfatte, non si possono disfare. Bisognerebbe pensarci prima. È il caso di Quota 100 e del reddito di cittadinanza: misure scritte frettolosamente dall’ex governo giallo-verde, per rispondere all’esigenza primaria di conquistare voti, senza troppo badare agli effetti in una prospettiva temporale più ampia di una sessione elettorale. E tuttavia, una volta avviate, anche misure sbilenche e inutilmente costose non possono essere eliminate con un tratto di penna, avendo ormai creato un’aspettativa tra le persone incolpevoli che ne godono, o che si aspettano di goderne in futuro. Si pone però il problema di, quanto meno, correggerle. Ma in che modo? Su Quota 100 il governo ha avviato un confronto con i sindacati, per capire come andare avanti dopo la scadenza del 2021; sul reddito di cittadinanza, invece, siamo ancora alla nebbia fitta. Il Pd vorrebbe inserire nella verifica di governo – o quello che sia- anche una verifica del Rdc e dei possibili correttivi, ma l’altro pilastro della maggioranza parlamentare, i Cinque Stelle, non vogliono nemmeno sentirne parlare: ‘’non si tocca una virgola, indietro non si torna’’, hanno messo nero su bianco i membri 5Stelle della Commissione Lavoro del Senato (ancora senza presidente perché la maggioranza non riesce a mettersi d’accordo sul successore di Nunzia Catalfo, promossa alla guida del ministero del Lavoro).
Eppure, checché ne dicano i senatori grillini, il reddito, così com’è, non ha funzionato né potrà mai funzionare. I limiti del provvedimento sono emersi con chiarezza nel corso di un seminario di studi organizzato dall’Arel la scorsa settimana: un ambiente – va detto- assolutamente non contrario a uno strumento di supporto a milioni di cittadini rimasti ai margini, ma che anzi ne discuteva proprio al fine di aumentarne l’impatto e correggerne le lacune. Dal seminario è emerso, in sintesi, che il Rdc ha ottenuto fin qui un unico vero risultato, quello di abbassare di qualche tacca l’indice matematico di povertà, mentre tocca in maniera appena percettibile l’incidenza della povertà sulla popolazione, ottiene zero effetti macroeconomici (se si esclude una leggera spinta sui consumi, evidenziata dal Bollettino di Bankitalia) e, soprattutto, zero effetti sull’occupazione.
Colpiscono alcune gravi falle nella primaria funzione della misura, quella del sostegno ai più deboli: dai benefici del reddito restano sostanzialmente esclusi, infatti, sia gli immigrati, sia i nuclei famigliari più numerosi, sia i completamente emarginati, cioè i più deboli per definizione. Nel primo caso si tratta di un’esclusione diciamo così ‘’voluta’’, nel senso che la Lega di governo fece di tutto per rendere quasi impraticabile agli extracomunitari l’accesso al reddito. Una prova, secondo gli analisti, è nel fatto che la gran parte delle domande respinte arrivano dal nord Italia: immigrati stabilitisi da tempo nel nostro paese che tuttavia non sono riusciti mettere assieme l’assurda documentazione loro richiesta. E nel mezzo milione di domande complessivamente respinte pesa, infatti, anche una cattiva comprensione della norma: ulteriore riprova che i più deboli ed emarginati rischiano di restar tagliati fuori.
Altre falle nel sistema Rdc dipendono invece dalla difficoltà, da parte degli estensori del provvedimento, di ‘’identificare’’ esattamente i poveri, aggravata da qualche pasticcio tecnico -come la sovrapposizione fra i vari strumenti di misurazione della povertà e altri dati statistici, sommando, come si diceva a scuola, mele con pere – unito a errori di valutazione. Per esempio, nel sud la somma di reddito che spetta a un single è esattamente sovrapponibile allo stipendio medio di un lavoratore regolare nell’area; colpa degli stipendi troppo bassi del nostro paese, certo, ma altrettanto certo è che la conseguenza non desiderata sarà disincentivare i percettori di reddito dalla ricerca di un lavoro. Inoltre, le famiglie numerose ottengono, in proporzione, una somma più ridotta rispetto ai single; gli anziani rischiano di essere penalizzati dai requisiti, in quanto poveri di reddito ma ‘’ricchi’’ di patrimonio, magari perché proprietari di una abitazione che supera il tetto previsto dalla legge, o perché incappati in altre gabole burocratiche; gli emarginati assoluti, quelli che vivono per strada, per dire, non arriveranno mai nemmeno a compilare la domanda.
Dunque, riassumendo: da un lato il flop sul lavoro, visto che, malgrado l’assunzione di migliaia di navigator, trovare occupazione ai percettori di Rdc è quasi impossibile; e d’altra parte, l’età media di chi arriva i centri per l’impiego è di 48 anni, con titolo di studio molto basso, quindi praticamente inoccupabili, e infatti tali restano. Forse chiamare in partita le agenzie di lavoro interinale, specializzate professionalmente nell’incontro tra domanda e offerta, potrebbe essere una soluzione. Dall’altro lato, sul fronte della lotta alla povertà, la misura copre circa il 40% della platea potenziale, e se non è poco, non è nemmeno abbastanza, soprattutto considerando le storture sopra citate.
Interventi e correttivi sono quindi indispensabili, ma qui si torna al punto di partenza: una volta fatta una legge, non è facile tornare indietro, non si può andare dal single del sud e dire ‘’ti dimezzo l’assegno del reddito’’, per distribuirlo invece alla famiglia con 4 ragazzini; si sono create aspettative ormai intoccabili. L’unica soluzione sarebbe allargare ancora di più le maglie, lasciare al single del sud il suo assegno e aumentare nel contempo le risorse per le famiglie numerose, o gli anziani, o chi supera alcuni parametri, eccetera. Tradotta in cifre, una correzione del genere costerebbe circa 4 miliardi di euro l’anno in più, oltre agli 8 già stanziati per il Rdc, portando l’esborso complessivo a 12 miliardi annui. Ma è davvero difficile che si riescano a trovare simili somme aggiuntive, quindi va trovata una soluzione diversa, e va anche messo in conto un prossimo braccio di ferro nella maggioranza: tra chi, come il Pd, vuole cambiare per migliorare (ma anche la stessa Alleanza contro la povertà è molto critica sull’attuale sistema) e chi, come i 5 Stelle, non vorrebbe toccare nulla. Come si diceva all’inizio: forse era meglio pensarci prima.
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A mezzanotte la Gran Bretagna uscirà dall’Unione Europea. E’ un grande fallimento per tutti, questa Brexit, per l’Ue e per il Regno Unito; ed è un grande dolore per tantissimi, come ha dimostrato il commovente saluto del parlamento europeo, gli eurodeputati in piedi, lacrime agli occhi, intonare in coro la canzone dell’addio per eccellenza, il valzer delle candele. E’ un dolore, sì: per una generazione, la mia, che è cresciuta considerando Londra la più europea città del mondo, quella che ci ha insegnato a essere moderni, a rompere gli schemi. E’ un dolore per la generazione più giovane, i nostri figli, che da sempre hanno considerato l’Inghilterra il naturale prolungamento della loro patria dove passare un week end, studiare, trovare lavoro, amici, amore. E’ un dolore, infine, per la generazione più anziana, quella dei nostri genitori e nonni, che ricordano come la Gran Bretagna di Churchill sia stata a lungo l’unico argine al nazismo e al fascismo che dilagavano in Europa (e dovremmo ricordarcelo più spesso tutti). Come questa lunga storia d’amore tra Inghilterra ed Europa abbia potuto finire, essere annientata, per la volontà irresponsabile di qualche ridicolo pagliaccio nazionalista, ancora non è chiaro. Ma sarà meglio cercare di capirlo in fretta, per impedire che si ripetano cose del genere. Intanto, come canta Francesco De Gregori in Titanic, stanotte tutti noi ‘’saluteremo la Gran Bretagna col bicchiere tra le mani’’.
Good bye and good luck, UK. Ci mancherai tanto.
Nunzia Penelope
Per i nostri lettori pubblichiamo qui di seguito una scelta delle notizie e degli interventi più significativi apparsi nel corso della settimana su ildiariodellavoro.it (Vai al sito per leggere il giornale completo, aggiornato quotidianamente dalla nostra redazione).
Contrattazione
Questa settimana è stata avviata la trattativa per il rinnovo del contratto nazionale dell’artigianato alimentare e panificazione. I sindacati di categoria, Fai Cisl, Flai Cgil e Uila Uil, nazionali hanno illustrato alle controparti – CNA, Confartigianato, Casa e Claai – la piattaforma rivendicativa approvata dal coordinamento nazionale del settore. È stato inoltre sottoscritto il contratto nazionale dell’artigianato. Per i sindacati di categoria, Feneal-Uil, Filca-Cisl, Fillea-Cgil, le novità più importanti riguardano l’istituzione di un fondo nazionale per l’assistenza sanitaria integrativa. Inoltre viene disposto un fondo per incentivare l’occupazione giovanile. Grande attenzione anche al contrasto del dumping contrattuale.
Analisi
Maurizio Ricci analizza tutti gli scogli contro i quali la “nave” del Movimento 5 Stelle si è schiantata negli ultimi due anni.
Interviste video
Il direttore de Il diario del lavoro Massimo Mascini ha intervistato Gigi Bonfanti, segretario generale della Fnp-Cisl, che alla vigilia della pensione, traccia un bilancio dei suoi quarant’anni nel sindacato ricordando che “non esiste democrazia senza corpi intermedi”. E del futuro dice: “darò ancora il mio contributo sui temi sociali”. Sempre Mascini ha intervistato Gaetano Sateriale, presidente di Ri-Generazioni, l’associazione vicina alla Fillea-Cgil, impegnata nel rilancio di un’edilizia vicino ai bisogni dei territori, attraverso le tematiche dello sviluppo sostenibile e del green building.
I servizi sono a cura di Emanuele Ghiani.
La nota
Fernando Liuzzi riassume la situazione di stallo dell’ex Ilva, alla luce della scadenza odierna e dell’appuntamento del 7 febbraio prossimo con il Tribunale.
Il guardiano del faro
Marco Cianca, dopo il voto in Emilia-Romagna e Calabria, spiega come l’ondata leghista sia stata bloccata da Stefano Bonaccini e dalla mobilitazione delle sardine. Però la paura è stata tanta, la Nuova Destra miete comunque consensi e conquista la Calabria.
I blog del Diario
Alessandro Genovesi spiega come sia necessaria una spinta per aumentare i salari dei lavoratori. Genovesi dice no alla retribuzione minima legale e apprezza le dichiarazioni del governo che puntano ad un’accelerazione sugli investimenti pubblici così come su una più equa riforma previdenziale e fiscale, richieste non da oggi di Cgil, Cisl e Uil.
Roberto Polillo analizza il voto regionale di Emilia-Romagna e Calabria, sottolineando come questa tornata elettorale abbia sancito un pesante tracollo dei 5 Stelle, con il ritorno a una dialettica destra-sinistra.
Tommaso Nutarelli spiega come dopo la grande paura che ha investito soprattutto il voto in Emilia-Romagna, vivacchiare è un lusso che questo governo non può concedersi.
Giuliano Cazzola descrive quali potrebbero essere gli effetti della satira su Matteo Salvini con l’ausilio delle nuove tecnologie.
Diario della crisi
I sindacati dei metalmeccanici, Fim, Fiom e Uilm, dopo l’incontro con la Whirlpool che ha comunicato la decisione di lasciare lo stabilimento di Napoli, hanno proclamato scioperi e proteste a oltranza. La Fnp-Cgil ha sottolineato la difficile situazione del personale che si occupa dell’esecuzione penale esterna. Il sindacato denuncia la costante riduzione dell’organico a causa di Quota 100 e dell’età media molto elevata.
Documentazione
Questa settimana è possibile consultare i dati Istat relativi agli occupati e disoccupati, le stime sul Pil nel IV trimestre del 2019 e i dati relativi ai contratti collettivi e le retribuzioni contrattuali. Infine è presente il testo del verbale di accordo sul rinnovo del contratto collettivo dell’artigianato.