Non sappiamo come e quando finirà la triste vicenda dell’Ilva di Taranto, abbandonata la sera delle nozze dalla perfida ArcelorMittal. Le incognite sono tante e gli atteggiamenti spesso volutamente ambigui. Certo si mischiano in quell’arena diversi problemi, tutti antichi nel nostro paese, mai risolti, forse mai nemmeno oggetto di veri tentativi di soluzione. Sono anni che Taranto vive nel terribile dilemma tra lavoro e polluzione, nella scelta, disumana, se sia meglio morire di non lavoro o di cancro. Nessuno in questi lunghi anni ha mai messo sul serio mano a un piano di risanamento ambientale. Forse ArecelorMittal lo voleva fare, certo hanno concorso in tanti a mettere bastoni nelle ruote. Ed è puerile prendersela con la magistratura che bloccherà tra poco un altoforno, perché nessuno ha fatto nulla perché ciò non avvenisse.
Alla problematica ambientale si è poi sommata quella produttiva. Le cifre sono precise. Gli indiani avevano preso un’azienda che produceva 6 milioni di tonnellate di acciaio con l’obiettivo di arrivare a produrne 8 milioni. Adesso se ne producono appena 4,5 e l’Ilva perde 2 milioni di euro al giorno. Le responsabilità da additare al pubblico sdegno sono tante, la congiuntura, i dazi, la Brexit, il ritorno della recessione e così via. Tutto vero, ma è vero anche che nessuno ha pensato che la congiuntura è fatta così, va e viene, ed è bene non dimenticare che i periodi delle vacche magre possono sempre arrivare. Ma così è stato, nessuno ha pensato che ciò potesse avvenire, nessuno, evidentemente, ha pensato a come affrontare momenti difficili. Considerando che veniamo (o forse ci siamo ancora) da una grande crisi che ha squassato l’economia per dieci anni a qualcuno un’idea poteva anche venire.
Ma soprattutto sembra assurdo che nessuno in questi lunghi anni abbia pensato di costruire un piano B per l’Ilva e soprattutto per Taranto. Il 23 giugno di quest’anno Luigi Di Maio, che era ministro dello Sviluppo economico oltre che capo politica dei 5Stelle, convocò a Taranto una riunione con 5 ministri, tutti grillini, per pensare assieme, un impetuoso brain storm, e mettere in piedi un’alternativa alla siderurgia per la città pugliese. Non ne uscì nulla, nel modo più assoluto, tranne generici inviti a incrementare il turismo o a diffondere la cultura delle cozze, vero patrimonio tarantino. Un po’ poco in verità. Nessuno comunque si meravigliò, perché i 5Stelle sono profondamente intrisi di cultura antindustriale, dediti alla formulazione, se possibile alla realizzazione, di una decrescita felice. Quello cercano e quello trovano.
Ma i 5Stelle sono arrivati da poco, mentre il dramma di Taranto sta lì da decenni. Schiere di riformisti con autorità di governo non hanno fatto molto di più, uno straccio di piano B per togliere la città dalla morsa tra lavoro e inquinamento potevano anche pensarlo. Ma anche qui, chi sarebbe stato in grado di formulare questo piano? Quali erano e sono i centri di potere e i cervelli in grado di fermarsi e pensare? Verrebbe in mente che forse poteva (o doveva) fare qualcosa il ministero che si chiamava dell’Industria e che adesso è dello Sviluppo economico. Ma è stato proprio questo grande buco nero del riformismo italiano, l’assoluta assenza di ogni spinta che portasse ma una vera politica industriale, desaparecida dagli anni 70.
Per colmo dell’ironia adesso c’è chi comincia a mettere in dubbio la validità delle scelte che le partecipazioni statali fecero cinquant’anni fa a favore della costruzione di un grande polo siderurgico nel Mezzogiorno. Ma quello fu una grande spinta ideale, come tante altre ne fecero allora Iri ed Eni, quando contribuirono a fare grande l’Italia. Pensavano, alla grande, e agivano, costruivano, producevano. Adesso nessuno pensa più, nessuno ha un sussulto di responsabilità. Del resto, nemmeno il più piccolo aiuto viene dalla classe imprenditoriale, che ha abdicato alla vocazione produttiva per scegliere quella finanziaria. Tra profitto e rendita hanno scelto quest’ultima, senza un’esitazione o un ripensamento. Le eccezioni ci sono, per fortuna, e sono tante, ma la responsabilità degli imprenditori presi nel loro insieme è fuori dubbio. E l’Italia così si spegne, le imprese italiane non investono, quelle straniere sono disincentivate quando non mortificate.
Stretti in questa trappola restano i lavoratori dell’Ilva, che alla fine dovranno pagare, salatamente, le colpe degli altri, come sempre. Se va bene sono anni di cassa integrazione, quindi di impoverimento progressivo, se va un po’ peggio resteranno a casa almeno la metà dei 10mila occupati. Se le cose vanno davvero male non resterà occupazione all’Ilva e Taranto ne morra’.
Massimo Mascini
Per i nostri lettori pubblichiamo qui di seguito una scelta delle notizie e degli interventi più significativi apparsi nel corso della settimana su ildiariodellavoro.it (Vai al sito per leggere il giornale completo, aggiornato quotidianamente dalla nostra redazione).
La notizia principale di questa settimana è l’apertura della crisi dell’ex-Ilva, con l’invio, da parte di ArcelorMittal, di due lettere, una ai Commissari straordinari e una ai sindacati, dove comunica la risoluzione del contratto d’affitto e del successivo acquisto degli stabilimenti. In risposta, Fim, Fiom e Uilm hanno proclamato uno sciopero, tanto più a seguito dell’incontro a Palazzo Chigi tra il premier Conte e ArcelorMittal, durante il quale è emerso che l’azienda, anche con il ripristino dello scudo penale, non potrebbe rispettare il piano industriale, prospettando 5 mila esuberi. Sulla crisi dell’Ilva il Diario propone una serie di approfondimenti. Fernando Liuzzi spiega nel dettaglio i motivi della ritirata di ArcelorMittal, e ancora Liuzzi fa il punto sulla condizione contrattuale dei dipendenti dell’Ilva, mentre Nunzia Penelope analizza le molte incongruenze nelle mosse del governo, rilanciando un dubbio: e se dietro questa storia assurda ci fosse la realizzazione del contratto di governo del 2018, che prevedeva appunto la chiusura dell’Ilva? E ancora, sullo stesso tema, Emanuele Ghiani ha intervistato il segretario generale della Uil di Taranto, Giancarlo Turi, e Tommaso Nutarelli ha intervistato Emilio Miceli, segretario confederale della Cgil.
Contrattazione
Questa settimana è stata firmata l’ipotesi di accordo per il rinnovo del contratto gas e acqua. L’intesa, spiegano i sindacati firmatari, prevede un aumento salariale complessivo di 106 euro. Inoltre il documento prevede il rafforzamento della partecipazione dei lavoratori, formazione, sicurezza e ambiente. È previsto anche il contrasto ai contratti pirata e al dumping negli appalti. Cifa e Confsal hanno firmato un accordo confederale per un nuovo modello di relazioni industriali. Il documento punta a una contrattazione di qualità, attraverso una revisione dei sistemi di classificazione del personale, la formazione, la bilateralità, politiche salariali e la misurazione della rappresentanza sindacale. Si è aperta, presso il Cnel, la trattativa per il rinnovo del contratto dei metalmeccanici in scadenza il prossimo 31 dicembre. Nel settore del credito, si è tenuto l’incontro tra i sindacati di categoria e Abi per il rinnovo del contratto nazionale.
Analisi
Alessandra Servidori ci parla dell’indice di parità di genere nell’Unione europea, pubblicato dall’Istituto europeo per l’uguaglianza di genere, specificando come, in molti stati, questo obiettivo sia ancora una chimera.
Giuliano Cazzola analizza il dibattito politico intorno alla legge di bilancio. Un clima, spiega Cazzola, contraddistinto da un’elevata malafede. Certo, continua Cazzola, non si tratta della migliore legge di bilancio possibile, ma sicuramente molto meglio rispetto alle misure messe in campo dal governo Lega-5Stelle.
Maurizio Ricci riporta i dati di una ricerca di Eurofound sulle conseguenze della crisi sulla “classe media”, quella che un tempo era considerata la fetta della popolazione più “stabile”. La ricerca, spiega Ricci, evidenzia forti spaccature anche all’interno di questa classe.
Il guardiano del faro
Marca Cianca ricorda l’esperienza di Di Vittorio deputato e consigliere comunale di Roma, sottolineando il suo impegno in difesa della democrazia e la convinzione che i diritti dei lavoratori vanno di pari passo con l’iniziativa politica, che non è partitica, ma attiene ad un’imprescindibile visione d’assieme. Un’impostazione che per Cianca dovrebbe essere presa a modello se non si vuole consegnare Roma a un sindaco leghista.
Diario della crisi
È stato proclamato per il prossimo 15 novembre lo sciopero generale dei vigili del fuoco. I sindacati chiedono una maggiore tutela retributiva, previdenziale e contro gli infortuni sul lavoro.
Documentazione
Questa settimana è possibile consultare la nota di ArcelorMittal inviata ai Commissari straordinari e la comunicazione mandata ai sindacati. Inoltre è presente la relazione illustrativa del disegno di legge di Bilancio 2020, la sintesi del rapporto Svimez 2019, il testo dell’accordo confederale Cifa-Confsal e il testo dell’audizione di Cgil, Cisl e Uil sul fisco. Infine è presente la congiuntura flash di Confindustria, il rapporto della Banca d’Italia sull’economia delle regioni italiane e la nota mensile dell’Istat sull’andamento dell’economia italiana.



























