Quanti sono gli americani che si trovano effettivamente nella condizione di disoccupati e qual è il tasso di crescita effettivo dell’ economia statunitense, al di là delle iperboliche cifre comunicate di recente, che hanno indicato un incremento del prodotto nazionale lordo dell’ 8,2% nel terzo trimestre di quest’ anno? Sono entrambe domande legittime, alla luce fra l’ altro dei dati odierni diffusi dal Bureau of Labor Statistics, relativi al tasso di disoccupazione ed al saldo dei posti di lavoro a novembre.
Va ricordato, proprio con riferimento alla situazione del mercato del lavoro, che questi dati si basano su due diversi campioni, a seconda che si tratti di rilevare il tasso di disoccupazione od i posti di lavoro. Nel primo caso, il sondaggio interessa circa 60mila unità familiari, nel secondo – la dinamica dei posti – ci si basa invece su un campione costituito da circa 400mila imprese, che impiegano a loro volta circa il 40% dei lavoratori.
Proprio perchè i sondaggi poggiano su campioni differenti, spesso i risultati sono contraddittori. Può succedere infatti che il tasso di disoccupazione resti fermo od addirittura registri un calo, anche quando aumentano i posti di lavoro persi in un determinato mese. All’ opposto, un aumento dei posti di lavoro creati dal sistema economico può non riflettersi in una caduta del tasso di disoccupati.
Le statistiche Usa sul mercato del lavoro in ogni caso non si basano su liste di senza-lavoro, come del resto peraltro avviene – è un esempio – fra l’ altro in Italia, dove la rilevazione trimestrale Istat sul tasso di disoccupazione poggia su un questionario rivolto a circa 200mila persone in circa 1.400 Comuni. Va tenuto poi conto del fatto che ogni persona che presti un lavoro precario, anche di un’ ora soltanto al giorno, viene classificata negli Usa come occupata. La rilevazione ha inoltre lo scopo di accertare sopratutto se chi è privo di un lavoro ha fatto ricerche attive, con riferimento al mese precedente, per trovare un’ occupazione. In caso di risposta negativa, il disoccupato non viene classificato come tale, ma considerato fuori della forza-lavoro.
Ma le statistiche americane differiscono molto rispetto a quelle di altri Paesi anche per quanto riguarda, ad esempio, il calcolo del prodotto nazionale lordo. La prima stima sulla crescita economica Usa nel terzo trimestre indicava, ad esempio, uno straordinario +7,2%, in seguito rettificato addirittura al rialzo con la seconda stima (a +8,2%). Si tratta di un dato annualizzato, calcolato moltiplicando per quattro (i trimestri dell’ anno) il dato congiunturale, cioè la variazione intervenuta in questo caso nel terzo trimestre rispetto al precedente, +1,8%, sempre secondo la prima stima. Se l’ Istat avesse utilizzato la stessa metodologia per calcolare il pil italiano, si sarebbe ottenuto in questo caso un +2%, frutto della moltiplicazione per quattro della variazione congiunturale pari allo 0,5%. Al contrario, com’è noto il pil italiano anche su base tendenziale è cresciuto dello 0,5%, sempre nel terzo trimestre.
Lo stesso Istat, nel fornire il dato sul pil italiano nel terzo trimestre, ha osservato che il prodotto nazionale lordo statunitense, armonizzato in base alla metodologia europea, risulterebbe essere cresciuto ‘appena’ del 3,3% su base annua.
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