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Home - Approfondimenti - Interviste - Palombella, La situazione è grave, ma ce la faremo

Palombella, La situazione è grave, ma ce la faremo

di Emanuele Ghiani
6 Giugno 2014
in Interviste

Negli ultimi anni le difficoltà del settore siderurgico stanno aumentando senza sosta. Il segretario generale della Uilm, Rocco Palombella, ha parlato con Il Diario del Lavoro, spiegando quali sono i problemi  dei vari stabilimenti siderurgici e che valore detiene ancora la siderurgia italiana.

 

Palombella, qual è la situazione del settore della siderurgia in questo periodo di crisi?

Il settore siderurgico purtroppo attraversa uno dei periodi peggiori, dal punto di vista produttivo, economico e occupazionale. Non solo in Italia, anche in Europa. Sono concise una serie di cause non legate esclusivamente alla crisi, ma a problemi specifici italiani. Abbiamo diversi stabilimenti siderurgici che si trovano in una situazione di grave difficoltà.

Ad esempio?

Lo stabilimento di Terni, dove sono coinvolti 2.200 lavoratori più l’indotto. Era stata venduta il 31 gennaio 2012 alla OutoKumpu, una divisione di ThyssenKrupp. È stato presentato il 2 giugno il piano industriale, è stata presentata una richiesta per l’introduzione della cassa integrazione ma non si sa quali siano le prospettive.

Qualche mese fa c’era stata una cordata italiana, capeggiata dalla Marcegaglia, che voleva acquisire lo stabilimento, ma non se ne è più fatto niente.

A oggi com’è la situazione sulla vertenza di Alcoa?

Anche qui la situazione è difficile: la cassa integrazione scadrà a fine 2014. Sono coinvolti 500 lavoratori che sono in cassa integrazione da diversi anni. Se per giugno le celle non verranno riattivate, c’è il rischio che lo stabilimento non possa più essere messo in funzione, fermandosi definitivamente.

Quanto ha risentito della crisi l’Ilva di Taranto?

Taranto è un’anomalia nel contesto degli stabilimenti siderurgici. Se andiamo a vedere i bilanci lo stabilimento non aveva problemi dal punto di vista economico e finanziario. Ha avuto sì qualche piccola difficoltà nel 2009, però nel 2012 si era avviata un’azione della magistratura tarantina che ha anche sequestrato gli impianti. Dal quel momento in poi, con la nomina del commissario, nonostante ci siano state ben tre leggi per salvaguardare lo stabilimento da questo terremoto giudiziario, la situazione rimane difficile.

In questi giorni deve essere nominato il nuovo commissario straordinario dell’Ilva.

C’è una cosa che temo a proposito del nuovo commissario. Tutti i commissari, come anche Bondi, agiscono per conto e per nome del governo. E il nuovo commissario dovrà riprendere tutto il lavoro del suo predecessore, con i piani ambientali e industriali. Inoltre,  uno stabilimento di tale entità, dove lavorano circa 11 mila persone e atre 6 mila per l’indotto, se lo gestiscono i commissari, questi accumulano una serie di debiti molto elevati. È un qualcosa di delittuoso. Io mi sarei aspettato la proroga del commissario in essere ma solo per preparare la cessione  dello stabilimento sul mercato.

Cosa ne pensa del possibile ingresso nella cordata del Gruppo Marcegaglia?

Al momento sembra l’unica credibile, però non avendo questo gruppo l’urgenza di acquisire lo stabilimento,il rischio è che si allunghino parecchio i tempi della trattativa con il governo e nel frattempo si accumulino ulteriori perdite

L’ipotesi che circola ultimamente è nazionalizzare l’impianto, cosa ne pensa?

Non si può fare, è vietato dalle leggi comunitarie. La Cassa depositi e prestiti può fare un’operazione di acquisizione, ma il vincolo è che l’azienda non deve essere in perdita, deve guadagnare.

In passato però era successa una cosa simile…

Si, nel 1995 il governo, considerate tutte le perdite che avevano gli stabilimenti, decise di privatizzarle. Ma adesso, qual è la garanzia che il governo possa fare meglio di un privato? Non esiste. Nel ‘95 si fece un’operazione inversa: tante perdite e si regalava ai privati. Adesso invece non si perde, o meglio adesso perde perché c’è una situazione giudiziaria in corso, e si pensa ad una acquisizione da parte dello Stato. Ritengo che il governo debba fare una cosa sola: accelerare i tempi.

Mentre per i lavoratori della Lucchini, quali prospettive ci sono?

È uno scenario molto grave. La situazione purtroppo è appesa entro il 15 di giugno. Adesso l’altoforno è mantenuto in vita dal coke, ma se non ci sarà una soluzione come io temo, superato il 15 il rischio è che l’altoforno venga spento. Poi ci sarà l’affidamento all’accordo di programma, ma non ci sono state grandi manifestazioni di interesse.

Quali sono i nodi sui quali dovrete confrontarvi al prossimo  tavolo tecnico organizzato dal ministero?

Si dovrà fare un lavoro preparatorio, ma più che altro questo non è un vero e proprio tavolo negoziale, ma un tavolo osservatorio. Utile, ma noi abbiamo bisogno di risposte più urgenti per salvare la siderurgia in Italia.

Considerata la crisi del settore, quanto vale ancora la siderurgia italiana?

Continua a valere molto da un punto di vista dei numeri. È vero che abbiamo perso 5 milioni di tonnellate d’acciaio tra il 2011 e il 2013. Ma abbiamo ancora una produzione importante di 24 milioni di tonnellate. Se lo rapportiamo a livello europeo, rimaniamo comunque il secondo paese produttore d’acciaio nel continente.

I paesi emergenti come la Cina secondo lei satureranno il mercato?

La Cina da sola produce la metà della produzione mondiale. Nel 2011 sono stati prodotti un miliardo e 536 milioni di tonnellate d’acciaio e nel 2013 un miliardo e 606 milioni. Il dato importante è che la domanda non solo esiste, ma aumenta notevolmente.

Nell’ipotesi che il settore crolli definitivamente, quali sarebbero le conseguenze economiche e sociali per i lavoratori e per l’Italia?

Si creerebbe un problema occupazione per 70.000 lavoratori del settore. Il nostro paese diventerebbe importatore secco,  con tutti i problemi economici che ne deriverebbero. Dovremmo importare enormi quantità di acciaio e tutto il settore manifatturiero dovrebbe sopportare costi più elevati. Senza contare la dipendenza politica. Già dipendiamo a livello energetico, sarebbe un’ulteriore mazzata per la nostra economia.

Quante probabilità  ci sono che ciò accada?

Non solo ci auguriamo che non accada, ma  abbiamo trovato grande sensibilità in questo governo e nel  premier sui problemi del settore. Secondo me, ce la faremo anche questa volta.

Emanuele Ghiani

Emanuele Ghiani

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Redattore de Il diario del lavoro.

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