Nel caso sottoposto all’esame della Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 15549 dell’11 giugno 2025, il lavoratore subordinato Re.An., dipendente della società BASF Italia S.p.A., veniva colpito da un provvedimento disciplinare consistente in otto giorni di sospensione dal servizio e dalla retribuzione, per aver posto in essere, il 23 giugno 2021, sul luogo di lavoro, molestie verbali a sfondo sessuale nei confronti di una collega.
La condotta addebitata al lavoratore assumeva particolare gravità non solo per il contenuto allusivo e inopportuno delle frasi pronunciate, ma anche per il contesto aziendale in cui tali espressioni erano state proferite, idoneo a ledere la dignità della persona offesa e a minare il clima di lavoro.
La contestazione disciplinare, pur non recando l’indicazione dell’orario preciso in cui si sarebbe verificato l’episodio, né l’elenco nominativo dei colleghi eventualmente presenti, specificava tuttavia:
- la data certa dell’accadimento;
- la natura della condotta contestata (molestie verbali a sfondo sessuale);
- il contesto lavorativo in cui si era svolto il fatto;
- il riferimento implicito alla persona offesa, nota all’interno del procedimento.
Nel corso dell’istruttoria in tribunale, testimonianze plurime e coerenti hanno confermato il comportamento addebitato, descrivendo una scena in cui il lavoratore, in presenza di altri colleghi, si era rivolto alla donna con frasi ambigue e sessualmente allusive, generando disagio e imbarazzo.
La Corte d’Appello di Bologna, con sentenza n. 44/2024, aveva confermato la legittimità della sanzione irrogata. La Corte di Cassazione ha integralmente condiviso tale valutazione, rigettando il ricorso del lavoratore.
In particolare, la Cassazione ha ritenuto che:
- La contestazione disciplinare era sufficientemente determinata, pur in assenza di dettagli come l’orario o i nomi dei colleghi presenti, in quanto forniva gli elementi essenziali per consentire al lavoratore di difendersi efficacemente (data, natura del fatto, luogo). La Corte ha chiarito che l’esatta collocazione oraria non è decisiva ai fini dell’effettiva comprensione dell’addebito, purché la condotta sia chiaramente individuabile nel suo nucleo sostanziale.
- La valutazione di coerenza probatoria operata dalla Corte di Appello (che aveva collocato il fatto “attorno alle ore 9.35”) non ha integrato o modificato la contestazione originaria, ma si è limitata a un controllo logico di compatibilità tra l’addebito e quanto emerso dalle prove testimoniali.
- Quanto alla sanzione applicata, la Corte di Cassazione ha sottolineato come la condotta fosse di per sé sufficientemente grave da giustificare la massima sanzione conservativa prevista, anche isolatamente considerata. È stato dunque escluso l’obbligo di valorizzare precedenti condotte lavorative positive o un eventuale “ambiente ostile”, giacché irrilevanti rispetto alla gravità autonoma dell’episodio.
- È stato infine ribadito il principio secondo cui il giudizio sulla proporzionalità della sanzione disciplinare è riservato al giudice di merito e non è sindacabile in Cassazione, se motivato in modo logico e coerente, come nel caso di specie.
La sentenza in commento conferma l’orientamento giurisprudenziale che privilegia una lettura sostanziale e funzionale della contestazione disciplinare, incentrata sulla conoscibilità effettiva del fatto addebitato, e ribadisce che il giudice può, in via interpretativa e sulla base dell’istruttoria, verificare la coerenza logica tra contestazione e fatti accertati, senza con ciò violare il principio di immutabilità.
In materia di molestie sul lavoro, la Corte riafferma un approccio rigoroso e garantista per la vittima, legittimando sanzioni significative anche in presenza di una singola condotta grave, purché adeguatamente provata.
Biagio Cartillone