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Home - Primo Piano - Parola d’ordine: stringere la cinghia

Parola d’ordine: stringere la cinghia

di Tommaso Nutarelli
7 Settembre 2023
in Analisi
Senato approva Italicum con 184 sì, passa alla Camera

Parola d’ordine stringere la cinghia. E’ questo il diktat che la premier Meloni ha imposto ai ministri del suo governo in vista della prossima legge di bilancio. Tradotto non avanzate pretese impossibili. La presidente del Consiglio abbraccia, costretta, la via del rigore e della prudenza – qualche tempo fa si sarebbe detto dell’austerity, parola che rievoca la crisi dei debiti sovrani e la Troika – facendo torcere il naso agli alleati. Con l’attuale quadro di finanza pubblica, infatti, tutte le istanze avanzate dai partiti di maggioranza saranno irrealizzabili. La finanziaria richiederà, all’incirca, 30 miliardi. Ed è già scattata la caccia per drenare queste risorse. Ogni nichelino trovato in una tasca dei pantaloni o in un salvadanaio abbandonato è buono.

Le carte in tavola saranno più chiare il prossimo 27 settembre, quando il governo presenterà la Nadef, la Nota di aggiornamento al documento di economia e finanza. L’esecutivo Meloni è deciso a confermare, per il 2023, la stima del Pil all’1%. Il deficit dovrebbe salire dal 4,5% al 5%. Un incremento che, vista la sospensione del Patto di stabilità, non ha ancora ripercussioni. Per il prossimo anno si punta al 3,7%. Il messaggio, economico e politico, che Roma vuole dare ai mercati e a Bruxelles è di stabilità. E questo si riflette a cascata sulle misure.

Per il taglio del cuneo fiscale, che scade il prossimo 31 dicembre, e rappresenta il campione sul quale ha puntato Giorgia Meloni per aumentare il potere di acquisto delle famiglie e contrastare l’inflazione, l’ipotesi è quella di una proroga solo di un semestre. La misura raggiunge quasi 14 milioni di lavoratori, per un beneficio massimo di 100 euro. Allungarla per tutto il 2024 peserebbe sui conti dello stato 11 miliardi mentre, per sei mesi, 5,6. Si punta anche a detassare le tredicesime. Da tempo i sindacati chiedono di mettere mano alla questione salariale con interventi che però siano strutturali. Al di là di tutto il coro di voci sull’introduzione o meno di un salario minimo legale, una via indicata dalle parti sociali per contrastare la diffusione del lavoro povero è quella di detassare gli aumenti derivanti dai rinnovi contrattuali. Anche sul fronte pensioni e welfare gli spazi di azioni sembrano essere ridotti all’osso. Si va verso un’estensione di Quota 103, Ape sociale e pensioni minime a 600 euro per gli over 75. Su questo fronte i sindacati continuano a denunciare l’assoluta inconcludenza e latitanza del governo.

Mentre sono due i miliardi per sanità e famiglia. La metà dei quattro che dovrebbero essere destinati al solo Sistema sanitario nazionale per continuare a sopravvivere. La fondazione Gimbe lancia l’allarme sulla tenuta della nostra sanità. L’Italia spende meno rispetto ai principali paesi europei, e si colloca al 16esimo posto tra quelli Ocse per investimenti sulla salute. Insomma quella che si sta delineando non è di certo una manovra da lacrime e sangue, ma è ben lontana dalla roboanti promesse fatte in campagna elettorale.

Una partita dunque non facile, che si inserisce in quadro europeo ancora tutto in divenire vista la discussione aperta sul nuovo Patto di stabilità. Di questo ha parlato, sulla versione online dell’Economist, Mario Draghi. Per l’ex primo ministro e presidente della Bce tornare al vecchio Patto di stabilità sarebbe un errore colossale per l’Europa. La ricetta è quella di dotarsi di nuove regole e di una maggiore sovranità condivisa. Nel suo intervento, l’uomo del whatever it takes afferma che le regole fiscali dovrebbero essere allo stesso tempo sia rigide, per permettere che le finanze dei governi siano convincenti sul medio termine, sia flessibili, per consentire ai governi di reagire a shock inattesi. Quelle attuali non sono né l`una né l`altra, e questo porta a politiche troppo accomodanti nei periodi di crescita e troppo rigide in quelli di bassa congiuntura. Il benessere dei cittadini europei si può garantire solo attraverso un’unione più forte, senza delegare la nostra prosperità e sicurezza, anche energetica, ad altri paesi come fatto in passato. Il messaggio di Draghi è chiaro: i governi del Vecchio continente devono, sempre di più e più convintamente, indossare la casacca dell’Unione europea.

Infine, nel dibattito politico nostrano, spicca il comportamento dell’italico commissario europeo che, nella visione dei due vicepremier, Salvini e Tajani, ha cambiato maglia, ha fraternizzato con lo straniero, ed è pronto ad attraversare il Piave portando con sé l’austerità dei paesi del nord. Ma questa è la narrazione e la visione di un’Europa che non ci servono e che, alla fine, danneggiano gli interessi della Nazione.

Tommaso Nutarelli

Tommaso Nutarelli

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Giornalista de Il diario del lavoro.

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