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Per chi voteranno i pacifisti?

Riccardo Barenghi
Aprile07/ 2022

E se si votasse oggi? Quanto e come conterebbe la guerra nei consensi ai partiti italiani? Ovvero, le posizioni fin qui espresse dalle nostre forze politiche e dai loro leader avrebbero una ricaduta nel voto popolare oppure gli italiani voterebbero a prescindere da quel che sta succedendo in Ucraina?

Al momento i sondaggi ci possono aiutare fino a un certo punto: segnalano per esempio una decrescita non felice dalla Lega di Salvini che ormai è scesa sotto il 16 per cento (alle elezioni del 2018 aveva preso il 17,4 e alle europee dell’anno successivo il 34,3) e dei Cinquestelle, che viaggiano poco sopra il 13 per cento, pur essendo ancor il partito di maggioranza relativa in Parlamento grazie alla vittoria del 2018 (32,7 per cento), ma già sceso alle europee al 17,1. Più o meno stabili gli altri partiti, con Fratelli d’Italia e il Pd che si contendono il primo posto intorno al 21 per cento (in vantaggio di poco Giorgia Meloni), Forza Italia che si assesta sul 7 per cento e giù “pe’ li rami” tutti gli altri che vanno dal 2 al 3 per cento.

Questa oggi è la situazione (virtuale), e forse non è ancora possibile valutare i flussi dei consensi in base alle posizioni sulla guerra. Certo, una tendenza si intravvede, per esempio nel vistoso calo di Salvini che evidentemente sta pagando il suo putinismo esasperato, accompagnato da imbarazzanti magliette inneggianti al presidente russo e da affari pochi chiari tra il suo partito e quello di Putin. E non è bastato al leader leghista il suo improvviso e strumentale “pacifismo” per far dimenticare agli italiani il passato (passato?) russofilo. Anche considerato che finora il nome del leader russo non è mai uscito dalle sue labbra, quasi a voler esentare il capo del Cremlino da una guerra che lui stesso ha voluto: un tentativo evidentemente non credibile e patetico. Così come patetico è l’atteggiamento di Silvio Berlusconi, che parla di inaccettabile aggressione senza però mai nominare chi quell’aggressione ha messo in campo, ovvero il suo amico Vladimir che gli ha anche regalato il famoso lettone.

Il calo dei Cinquestelle invece non sembra provocato dalle recentissime uscite di Giuseppe Conte contro l’aumento delle spese militari, la deriva del suo Movimento arriva da più lontano e chissà se e quando si fermerà. Stesso discorso, al contrario, vale per il Pd di Enrico Letta e per Fratelli d’Italia, che ormai da mesi ottengono il 20 per cento del gradimento, un risultato che quindi non appare influenzato dalle loro posizioni a favore del riarmo e degli aiuti anche militari all’Ucraina.

Ma allora è possibile che quel che sta accadendo non influenzi per nulla gli italiani? Possibile che i nostri concittadini siano così impermeabili a quel che pensa e fa l’Italia rispetto alla guerra in corso? Possibile che la maggioranza assoluta di loro, che si dichiara contraria all’aumento delle spese militari, non traduca poi in intenzioni di voto questa posizione? Che può essere definita pacifista, o quantomeno sensibile alle proprie condizioni di vita, visto che se spendi di più nel riarmo poi sei obbligato a spendere di meno per i servizi sociali. Ma alle elezioni politiche manca ancora parecchio tempo, un anno, e quelle amministrative di giugno saranno influenzate solo marginalmente dalle questioni connesse alla guerra, di solito il voto locale si concentra appunto sui problemi locali, sul sindaco da scegliere, sui programmi per le città, i trasporti pubblici, il traffico e così via.

Tocca aspettare allora per trovare una risposta alla domanda iniziale. Tuttavia si può avanzare qualche ipotesi, per esempio che i partiti che hanno preso una posizione decisamente pro Ucraina saranno premiati dal voto popolare, o quantomeno non penalizzati. Dunque, non è azzardato prevedere che Letta e Meloni avranno un risultato soddisfacente, il popolo italiano non tollera i soprusi e di solito si schiera con i più deboli (almeno in teoria), in questo caso appunto gli ucraini. Anche se una fetta di elettori di sinistra non ha gradito l’invio delle armi a Kiev e tantomeno l’investimento per il riarmo: chissà se questi voteranno ancora per il Partito democratico oppure cambieranno cavallo, magari salendo su quello della sinistra radicale oppure su quello dei Cinquestelle.

Infatti il Movimento diretto da Conte si è fatto notare nelle ultime settimane per un’acrobazia politico-elettorale proprio sulle spese militare, minacciando di non votare il provvedimento del governo e quindi aprire una crisi di governo. Non è andata così, grazie alla mediazione del ministro della difesa Lorenzo Guerini, e adesso il leader pentastellato può tentare di rivendersi in campagna elettorale quel risultato: che si potrebbe sintetizzare con una famosa frase di Sandro Pertini quando era Capo dello Stato: “Si svuotino gli arsenali, si colmino i granai”. Tuttavia, gli italiani sanno benissimo che quando era premier, Conte non svuotò affatto gli arsenali ma approvò l’aumento delle spese militari, dunque il suo pentimento sulla via di Kiev appare poco sincero e più che strumentale. Così come ha fatto il leader della Lega, che più di una volta si è dichiarato contrario al riarmo: ma su di lui pesa come un macigno quella maglietta putiniana, che grazie anche a quel sindaco polacco che l’ha sventolata davanti ai suoi occhi e alle telecamere, non potrà essere dimenticata facilmente nel segreto dell’urna.

E allora, chi potrebbe votare un pacifista italiano, di sinistra o anche no, uno che pensa che la pace sia il bene supremo e che questo debba essere l’obiettivo della politica? O vota per il piccolo partito di Nicola Fratoianni, Sinistra italiana, oppure si astiene, non va a votare per protesta, ingrossando così quell’esercito di disillusi dalla politica che negli ultimi anni è cresciuto esponenzialmente (alle comunali di Roma ha votato un elettore su due). L’ipotesi del non voto è la più probabile, ma per sapere quanto sarà consistente e se la motivazione reale sarà veramente la questione delle armi, bisognerà aspettare l’anno prossimo: sperando che il nostro sistema dell’informazione indaghi in profondità le ragioni del non voto e i partiti non liquidino il problema come hanno fatto finora. Della serie: “Ci dobbiamo interrogare, dobbiamo capire, non possiamo sottovalutare il segnale che arriva forte e chiaro da una parte dei cittadini…”. Per poi dimenticarsi completamente di quel segnale. Ecco, converrebbe loro anticipare i tempi, cominciando a interrogarsi da subito quantomeno per tamponare un distacco della politica che in tempi di guerra sarebbe più grave del solito.

Riccardo Barenghi

Riccardo Barenghi

Giornalista