“Quello che stiamo vivendo non è più accettabile.” Parole che il 28 novembre, a Roma, sono state pronunciate non da un noto estremista, ma da uno di quei dirigenti sindacali che sono abituati a pesare anche i punti e le virgole di ciò che si apprestano a dire. Stiamo parlando di Rocco Palombella, Segretario generale della Uilm, il sindacato dei metalmeccanici Uil. Ovvero di uno dei tre maggiori sindacati di categoria che rappresentano, sia sul piano locale che su quello nazionale, i lavoratori della ex Ilva, oggi Acciaierie d’Italia. e che si battono per trovare una soluzione che riapra un futuro a quello che, da molti anni a questa parte, è stato uno dei maggiori gruppi siderurgici dell’intera Europa.
Perché, dunque, questo tono esasperato nelle parole di Palombella? Perché questa volta, crediamo di poter dire, il Governo ha veramente esagerato. Ha esagerato, innanzitutto, a metà settembre, con quello che Valerio D’Alò, Segretario nazionale e responsabile siderurgia della Fim-Cisl, ha definito come “uno strappo sulla Cassa Integrazione”. Strappo, ha poi precisato, “dovuto al ministero del Lavoro”. Riferendosi, con queste parole, alla messa in Cassa integrazione di oltre 4.000 lavoratori dello stabilimento di Taranto, senza un preventivo accordo con le Organizzazioni sindacali che definisse e limitasse i contorni causali e temporali di questa decisione.
Il Governo stesso è poi tornato a esagerare quando, alla vigilia di un incontro con i suddetti sindacati fissato a palazzo Chigi, ovvero presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, per martedì 28 ottobre, ha comunicato di aver rinviato tale appuntamento non di un paio di giorni, ma di ben due settimane, fissandolo a martedì 11 novembre.
Ora, in una situazione normale, due settimane di proroga di un appuntamento potrebbero forse apparire come un tempo non breve, ma comunque non drammatico. Ma per ciò che riguarda la ex Ilva nella sua situazione attuale, due settimane costituiscono un tempo percepito da tutti gli stakeholder, a partire dai lavoratori, come molto lungo. E comunque un tempo la cui lunghezza, per tornare a usare l’espressione di Palombella, deve essere parsa ai sindacati come “inaccettabile”.
Le Segreterie nazionali di Fim-Cis, Fiom-Cgil e Uilm-Uil hanno quindi deciso di autoconvocarsi a piazza Colonna, davanti all’ingresso di palazzo Chigi, per il pomeriggio del 28 ottobre. Ovvero nel luogo, alla data e all’orario in cui avrebbe dovuto iniziare l’incontro secondo l’appuntamento originariamente fissato dal Governo.
I sindacati della maggiore categoria dell’industria manifatturiera hanno quindi scelto di mettere in atto un comportamento per loro del tutto inusuale. Talmente inusuale che qualcuno, a palazzo Chigi, deve aver pensato che, con questo ennesimo rinvio, il Governo aveva forse fatto un passo più lungo della gamba. E così, in extremis, ovvero intorno alle ore 18:00, il portone di palazzo Chigi si è aperto per una delegazione sindacale. Ad attendere i sindacalisti, c’era una squadra ad hoc formata da Stefano Caldoro, consigliere della Presidenza del Consiglio per i rapporti con le parti sociali, Carlo Deodato, segretario generale della stessa Presidenza del Consiglio, e Gaetano Caputi, capo di Gabinetto di palazzo Chigi. Insomma, tre stretti collaboratori del Capo del Governo, Giorgia Meloni.
A questo punto, come era abbastanza ovvio, l’incontro ha potuto avere solo un carattere informativo. Nel senso che la delegazione sindacale, formata, oltre che dal citato D’Alò, da Guglielmo Gambardella e da Loris Scarpa, Segretari nazionali e responsabili siderurgia, rispettivamente, di Uilm-Uil e di Fiom-Cgil, hanno esposto ai rappresentanti di palazzo Chigi le posizioni che saranno poi più ampiamente argomentate nell’incontro fissato per martedì 11 novembre.
Posizioni che partono da un vivo senso d’allarme per una situazione aziendale che appare bloccata e per l’immobilismo cui sembrano ispirarsi i comportamenti del Governo. Tanto che, prima che iniziasse l’incontro, Ferdinando Uliano, segretario generale della Fim-Cisl, ha dichiarato che l’Esecutivo “non può fuggire dalla responsabilità” che “tutto il Paese” gli attribuisce.
“Il vero dramma – ha spiegato Uliano – è che il Governo oggi non ha un’offerta che sia in grado di rilanciare il progetto industriale che riguarda l’Ilva nella sua interezza”, ovvero un’impresa che, a sua volta, possa essere “in grado di garantire occupazione e sviluppo, compatibilità ambientale e sostenibilità sociale”.
Se da parte di altri gruppi non arrivano delle offerte di acquisto che vadano in tal senso – ha proseguito Uliano – il Governo “deve farsi carico di essere imprenditore lui stesso”, con “un’iniziativa chiara e importante che la Presidenza del Consiglio si deve assumere”.
Dal canto suo, al termine dell’incontro, Loris Scarpa, a nome della Fiom, ha detto che, attualmente, “la condizione degli stabilimenti e quella sociale sono di una gravità assoluta”. Infatti, “in questo momento abbiamo il rischio di fermata degli impianti per la carenza di risorse”. Inoltre, ha aggiunto Scarpa, “l’aumento massiccio della Cassa integrazione (…) non consente di intervenire e dare seguito al piano di manutenzione e di marcia” degli impianti. Per Scarpa, sono quindi “a rischio” il “presente” così come il “futuro” che è “legato alla transizione ecologica”.
“L’acciaio – ha infine ribadito Scarpa – è strategico per il nostro Paese. Lo Stato deve ascoltare le organizzazioni sindacali che stanno chiedendo con forza l’intervento pubblico per garantire la continuità industriale e la decarbonizzazione.”
@Fernando_Liuzzi




























