Come era facile prevedere le questioni poste dalle modifiche introdotte al Codice Appalti con il nuovo Allegato I.01 sulla verifica di equivalenza tra CCNL (o meglio tra il CCNL indicato dalla stazione appaltante e l’eventuale altro CCNL applicato dall’operatore economico, per cui va verificato che quest’ultimo garantisca le medesime tutele economiche e normative), sta alimentando confronti e discussioni tra giuislavoristi, forze sociali e partiti politici, che vanno ben oltre il Codice stesso.
Da ultimo un interessante intervento di Michele Faioli (apparso sulla rivista di diritto Federalismi.it) pone, anche se con passaggi non del tutto condivisibili, alcuni temi strategici.
Il primo (mi scuserà Faioli per la semplificazione) è il rapporto, in assenza di una legge di attuazione dell’articolo 39 della Costituzione, tra qualità complessiva della contrattazione collettiva e rapporto con la consistenza democratica dei firmatari (l’annosa questione dei comparativamente più rappresentativi), in relazione a CCNL firmati da sigle minori.
Il secondo è, nell’ambito di CCNL rappresentativi, la modalità di individuazione – anche ai sensi e per lo spirito dell’articolo 36 della Costituzione – del contratto migliore, a parità (sovrapposizione) di perimetri.
Il terzo tema posto è la validità o meno di una comparazione (questo del resto è il portato formale dell’Allegato I.01) a “partita doppia” enucleando “scale di valore”, quasi matematiche su possibili scostamenti economici/salariali (più facili da comparare) e scostamenti in termini di tutele normative (equivalenze più complesse, anche alla luce di un CCNL che è campo dinamico delle relazioni industriali e non statico, anche solo in riferimento all’unicum rappresentato dall’intreccio con la contrattazione di secondo livello oltre che con eventuali modifiche normative in vigenza del CCNL).
Tutti temi, insieme a come identificare già inizialmente il CCNL più attinente all’attività oggetto dell’appalto, attraverso il dubbioso rinvio ai codici Ateco (nati per classificare i settori delle imprese e non certo i campi di applicazione dei CCNL), che sono il cuore della traduzione pratica e concreta dei principi stabiliti dall’articolo 11 del D. lgs. 36/23.
Tra articolo 39 e 36 Costituzione: piccoli passi verso il CCNL di miglior favore
Al riguardo dichiaro subito il mio “partito”, cioè l’interpretazione che Giorgio Ghezzi dette del portato ermeneutico e auto vincolante dei CCNL, a cui aggiungo una banalità: in assenza fosse anche di una norma che recepisca – forzando lo stesso articolo 39 – almeno il testo unico sulla rappresentanza del 2014 e la relativa misurazione e processo di approvazione democratica dei CCNL, dobbiamo sostenere ogni intervento legislativo che comunque aiuti a separare “il grano da loglio”, anche dando una prima – la migliore possibile sia chiaro – risposta con la codificazione delle misurazioni di equivalenza di cui all’Allegato 1.01 al Codice Appalti.
Precondizione anche per esplorare la stessa proposta avanzata da diversi esperti (penso per primo al professor Treu, ripresa con termini diversi dallo stesso Faioli) di giungere poi, nello schema protettivo e se vogliamo incentivante dello stesso codice degli appalti (parliamo di soldi pubblici che dovrebbero promuovere il miglior modello di protezione possibile, anche rispetto alle dinamiche di mercato privato), al criterio dell’adozione (a parità di perimetri) del CCNL “migliore” ovvero sia più tutelante per i lavoratori (il criterio del “magis”).
Una sorta di verifica di equivalenza basata su una “selezione verso l’alto” (su questo condivido le riflessione di Faioli) come scritto anche su Federalismi.it.
Una posizione che – per dire il vero e prenderci come CGIL anche qualche merito – la Confederazione sindacale più grande di questo Paese, aveva ed ha già assunto (discorso diverso è se riusciamo sempre a farlo e se non ce la facciamo del perché, visto che ovviamente ai tavoli di rinnovo non siamo soli) nei proprio documenti congressuali come criterio “politico” al nostro interno.
Pochi ricordano infatti che dopo il c.d. “patto della Fabbrica” – che si poneva tra gli altri il compito di ridurre le sovrapposizioni tra CCNL per riportare il contratto collettivo “alla reale attività svolta dall’impresa” (termine che di fatto orienterà poi l’articolo 30 comma 4 del vecchio codice e soprattutto l’articolo 11 dell’attuale) – nel suo documento congressuale, la CGIL assunse come criterio “in caso di sovrapposizione di perimetri tra CCNL” di “favorire i CCNL che riconoscevano ai lavoratori le migliori condizioni economiche e normative”.
Il punto era, e rimane, come farlo in modo codificato, condiviso da tutti i soggetti della rappresentanza e che regga la doppia pressione dell’articolo 39 e dell’articolo 36 della Costituzione.
Sapendo che per quanto riguarda il primo termine – mancando una chiara volontà politica del legislatore e dei datori (anche se qualcosa, seppur timidamente, comincia a muoveri e non casualmente la “molla” è stata la prima versione della bozza di modifica del Codice Appalti, con una definizione di “comparativamente più rappresentativi” alquanto scandalosa) – sono rimaste solo Cgil e Uil a chiedere una legge sulla rappresentanza.
Mentre sul secondo ritengo che, se fatto bene, il processo (e soprattutto l’eventuale decreto del Ministero del Lavoro) previsto dall’articolo 4 dell’Allegato I.01 (e su cui abbiamo chiesto l’apertura di uno specifico tavolo), possa comunque aiutare a “fare un po’ di luce”.
E favorire (o comunque non escludere), in prospettiva, anche quella riflessione più generale di indicare come punto di riferimento il CCNL migliore, inteso come quello che da più tutele ai lavoratori. Almeno partendo degli appalti pubblici.
A patto che, però, tanto l’equivalenza presunta (articolo 3 dell’Allegato I.01) e quella da “calcolare” (articolo 4) siano affrontate con la serietà e se vogliamo la “rigidità” che in questa prima fase è obbligatoria.
Tutto il resto – dalla possibile riforma dell’Archivio dei CCNL presso il Cnel, al consolidarsi di una interpretazione più estensiva dei rapporti tra le varie fonti e relative gerarchie contrattuali, fino all’individuazione di criteri di orientamento costituzionale – è conseguenza ed effetto, non certo causa.
E allora occorre entrare nel merito affinchè ciò che va fatto sia fatto bene, per quanto richiede la norma in sé e per le prospettive che può aprire o tenere aperte.
Le equivalenze presunte devono sempre “messe alla prova”
Sulle c.d. equivalenze presunte , visti i principi della legge delega 78/22, nonché quanto riportato dall’ articolo 11 comma 3 per cui “Nei casi di cui ai commi 2 e 2-bis, gli operatori economici possono indicare nella propria offerta il differente contratto collettivo da essi applicato, purché garantisca ai dipendenti le stesse tutele di quello indicato dalla stazione appaltante o dall’ente concedente”, il successivo Allegato I.01 all’articolo 3 (“presunzione di equivalenza) ritengo debba prima di tutto affermarsi quanto indicato dalla stessa ANAC, prima dell’intervento normativo.
Cioè che l’articolo 3 (quello per cui basterebbe che diversi CCNL siano firmati dalle stesse Federazioni di Categoria per essere definiti equivalenti tra loro) sia inteso come una presunzione iuris tantum, cioè una presunzione giuridica che ammetta anche una prova contraria e quindi che tale equivalenza sia comunque oggetto di una verifica, magari semplificata, nel merito delle tutele economiche e normative, soprattutto se eventuali differenze siano non marginali.
Infatti il fatto che CCNL diversi siano firmati congiuntamente dalle stesse federazioni sindacali ma da associazioni datoriali diverse, per la natura giuridica o per dimensione non produce in automatico le stesse tutele economiche e normative, facendo venire meno quella “garanzia” prevista dal Codice e dalla legge delega. Ricordiamo che anche secondo il Consiglio di Stato, dalla formulazione della disposizione “sembra doversi supporre che la stessa organizzazione sindacale rappresentativa dei lavoratori abbia la medesima forza contrattuale per ogni contratto collettivo stipulato con le associazioni datoriali, a prescindere dalla dimensione e dalla natura giuridica delle imprese da esse rappresentate” (Consiglio di Stato, parere n. 1463/2024, 27 novembre 2024, 123 -124). Senza considerare, per esempio, che alcuni CCNL hanno durata (e aumenti salariali) triennali, altri quadriennali, in virtuù di accordi interconfederali diversi, proprio per natura giuridica delle imprese. Basterebbe al riguardo, per esempio, verificare anche solo le 5 voci economiche del salario, di cui all’articolo 4 comma 2 dello stesso Allegato I.01, per verificare differenze significati anche dell’ordine del 20/25%.
Non sarebbe logico, anche in termini giuridici, che – seppur involontariamente – il legislatore finisca per violare una o più delle norme nazionali (oltre che comunitarie) sulla parità di concorrenza e non discriminazione tra operatori economici, esclusivamente per la natura giuridica degli stessi.
Favorire la partecipazione agli appalti delle imprese artigiane e/o delle cooperative e/o delle piccole e piccolissime imprese (che ricordiamo possono tra loro anche consorziarsi), come ha fatto per esempio il D. Lgs. 209/24 sul 20% dei subappalti, non dovrebbe realizzarsi attraverso l’applicazione di CCNL a danno delle altre imprese e delle lavoratrici e dei lavoratori con la limitazione del profilo di tutele economiche e normative.
Equivalenze: tra sotto inquadramento e cosa è veramente “marginale”
Una premessa è obbligatoria e vale tanto per la misurazione di eventuali equivalenze dei trattamenti economici fissi (le 5 voci indicate dall’articolo 4 comma 2) che per la misurazione delle equivalenze normative: ogni confronto andrebbe fatto a parità di inquadramenti contrattuali (o parametri delle scale salariali) ovvero sia a parità di figura professionale (per esempio aiuto cuoco con aiuto cuoco, operaio specializzato con operaio specializzato).
Sempre di più, infatti, diversi CCNL operano in dumping sotto inquadrando la specifica mansione per cui, se il CCNL X inquadra l’operaio specializzato al 3 livello a parametro 146 e un altro CCNL inquadra l’operaio specializzato ad un livello e parametro inferiore (per esempio il 2° livello a parametro 130), la misurazione dell’equivalenze deve avvenire tra le voci economiche e normative del 3° livello del primo CCNL e le voci del 2° livello del secondo CCNL (venendo così meno, da subito, nella stragrande maggioranza dei casi l’equivalenza economica).
In relazione poi al Decreto ministeriale che dovrà indicare (comma 5, articolo 4 dell’Allegato I.01) “le linee guida per la determinazione delle modalità di attestazione dell’equivalenza delle tutele di cui al comma 4 e per la valutazione degli scostamenti che, in ragione anche del numero di parametri interessati, possono essere considerati marginali dalle stazioni appaltanti ed enti concedenti ai sensi del medesimo comma 4” vi è innanzi tutto da rilevare che:
a) i diversi parametri normativi non sono tra loro – per l’importanza concreta delle tutele che esprimono, dei costi diretti ed indiretti che gravano sulle imprese, per gli effetti in termini di prestazioni riconosciute dai lavoratori – di “uguale peso”;
b) alcune tutele espresse dai parametri sono “garantite” anche da normative specifiche, volte a tutelare diritti definiti dalla legge e dalla giurisprudenza di valore “cogente”, volte a rappresentare una declinazione di diritti indisponibili o di diritti fondamentali e per cui il legislatore stesso ha demandato in via esclusiva alla contrattazione collettiva la precisazione, facendone parte integrante, della tutela ex legis;
c) a determinare uno scostamento “marginale” o meno, sempre in riferimento al principio di garantire le stesse tutele normative”, deve essere una valutazione complessiva (per intenderci 3 scostamenti presi singolarmente come “marginali” possono nell’insieme produrre una riduzione “non marginale” di tutele complessive, “ricadendo” nella violazione del principio di garanzia di cui all’articolo 11 del Codice).
Infatti non stiamo nell’ambito di una “misurazione di bontà o meno” di un CCNL (almeno non ora, almeno in assenza di legge sulla rappresentanza e della scelta del principio “magis”, cioè del migliore), ma esclusivamente sul piano tecnico della valutazione tra un CCNL correttamente individuato dalla Stazione Appaltante ed un eventuale altro CCNL dichiarato dallo specifico operatore economico come equivalente ed è su tale dichiarazione che agisce la verifica obbligatoria in campo alla P.A. proponente l’appalto.
Per questo dovrebbero esserci degli istituti per cui gli scostamenti marginali possano essere solo pari “a zero (pensiamo al periodo di comporto per malattia e infortunio e relative indennità, alla salute e sicurezza, alle norme su clausole elastiche e flessibili dei part time tanto diffusi negli appalti di servizi, al versato per la previdenza complementare e al versato per la sanità integrativa e il rapporto tra versato e prestazioni, agli orari di lavoro, ecc.) o ancora (anche ai sensi dell’articolo 4 comma 6) l’obbligo ad essere iscritti ad una Cassa Edile/edilcassa riconosciuta dalla CNCE o ad applicare le migliori “clausole sociali” a tutela dell’occupazione nei cambi appalto.
E altri istituti per cui lo scostamento marginale potrebbe essere al massimo ricompreso in un range minimo di valutazione quasi “algoritmica” o matematica per un valore inferiore massimo a pochi punti percentuali (tipo 1%). L’istituto del periodo di preavviso (i giorni minimi entro cui va comunicata una dimissione) non pesa sulla vita di un lavoratore come il diritto (e i permessi) alla genitorialità, o ancora la futura pensione, ecc.
E anche per le tutele normative le verifiche andrebbero fatte a parità di inquadramento (esempio operaio di 3° livello) e scala parametrale (su cui si calcolano i salari e quindi le relative incidenze economiche).
Infine occorre tenere ben saldo anche il principio di un numero massimo di scostamenti marginali: cioè in ogni caso, per i parametri possibili oggetto di scostamenti marginali (per i più importanti abbiamo già scritto che debbano essere “pari a zero”), essi non dovrebbero essere più di due, determinando in caso contrario (tre scostamenti o anche in numero maggiore) una somma di “scostamenti marginali” tali da produrre uno “scostamento non più marginale”, in termini di corpus delle tutele normative e quindi non in grado di garantire il principio di cui all’articolo 11 del Codice.
Sapendo (questa è una critica che gli amici giuslavoristi spero mi perdonino) che servono comunque precise classificazioni, se vogliamo anche un po’ schematiche, perché il singolo dirigente della Pubblica Amministrazione, il singolo RUP, possano anche con una certa trasparenza, velocità e certezza, operare verifiche (ed esclusioni) senza dover per forza essere contemporaneamente esperti di progettazione, diritto amministrativo, diritto del lavoro, ecc. Su questo forse sarà quasi insanabile, in assenza di una legge sulla rappresentanza e di una sistemazione dei perimetri tra CCNL comparativamente più rappresentativi, la dialettica tra un corpus complesso e organico e l’esigenza di comparare “sistemi diversi” (e per questo molto utili a tutti, lavoratori, imprese e PP.AA. sono le intese sindacali che si stanno facendo indicando e condividendo per i vari settori quali siano i CCNL più coerenti con la stessa attività, oltre che con la procedura di cui all’Allegato I.01; si veda da ultimo l’intesa sottoscritta tra il Comune di Torino e CGIL,CISL, UIL).
E allora solo dopo queste “classificazioni misurabili” saranno possibili studi comparativi tra CCNL, comparabili a propria volta anche i fini statistici o sarà più logico (se non doveroso) chiedere magari che lo stesso deposito dei CCNL presso l’archivio del CNEL (al fine della conferma o attribuzioni del Codice Contratto) preveda che gli stessi soggetti stipulanti siano loro a sintetizzare le 5 voci economiche e le numerose voci normative oggetto del decreto sulle equivalenze (fatto salvo la verifica degli stessi uffici del CNEL sulla veridicità e correttezza dei dati forniti), alimentando così in modo permanente comunque la base informativa (“l’insieme”) su cui operare eventuali scelte comparative oggi, in meius domani. Offrendo così anche quegli elementi dinamici e di aggiornamento che regolano la vita propria delle relazioni industriali e di cui i CCNL sono spesso espressione di “sintesi codificata”.
In conclusione
L’articolo 11 del Codice, piaccia o non piaccia, ha indicato un possibile equilibrio tra libertà di impresa e tutele sociali così come indicate da quell’atto “specifico” che è un CCNL; ha rimesso al centro del dibattito la questione di definire come un soggetto sia veramente comparativamente più rappresentativo o meno (pensiamo al principio che ora sono le stesse “tabelle ministeriali” a fornire indice ai fini di legge per tale definizione); e infine, con l’Allegato I.01, sta provando un primo, per quanto complesso e per certi versi “rischioso”, carotaggio al fine di entrare nel merito delle principali tutele codificate dalla contrattazione collettiva.
Ora sta alle stesse parti sociali dimostrare di essere all’altezza dei cambiamenti e delle trasformazioni, soggetti attivi e non passivi, creatori e non “subalterni” ad altre dinamiche o altri soggetti (Governo in primis).
Alessandro Genovesi – Responsabile contrattazione inclusiva/appalti/lavoro nero Cgil nazionale