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Home - Rubriche - Poveri e ricchi - Poveri giovani

Poveri giovani

di Maurizio Ricci
29 Aprile 2024
in Poveri e ricchi
Censis, 330mila giovani lavoratori a rischio povertà

Ecco un giovanotto sulla trentina. Il solito precario, direte. E invece, no. Con un colpo di fortuna è uscito dalla catena dei lavori precari e ha trovato un posto fisso. Ma il futuro non luccica lo stesso. Presto, infatti, si accorge che non riesce ad andare avanti. L’idea di carriera è bloccata da quelli che c’erano prima di lui. Non solo: gli stipendi di questi colleghi più maturi aumentano più in fretta del suo. Più va avanti, insomma, e più, in proporzione, scivola indietro. È destinato ad avere uno stipendio più basso e più a lungo. Rispetto alle storie giovanili dei suoi genitori, è come se fosse bloccato in un interminabile gioco dell’oca.

Questa è molto più di una storia triste. È una statistica. Ovvero, questo progressivo restringimento degli orizzonti di carriera dei giovani è un fenomeno di massa. E, spiegano due economisti – Nicola Bianchi e Matteo Paradisi – non investe solo l’Italia, paese per vecchi per antonomasia. Ma tutto l’Occidente. Anche negli Stati Uniti, paese relativamente giovane, fra il 1979 e il 2018, il divario salariale fra chi ha meno di 35 anni e chi ne ha più di 55, è cresciuto del 61 per cento. Certo, a noi nessuno ci batte: negli stessi 40 anni, dicono i dati Inps, il fossato fra gli stipendi dei giovani e degli anziani è cresciuto del 96 per cento. In una parola, è raddoppiato.

Mettiamo, insomma, una pietra sopra l’idea che i giovani, nativi digitali, cresciuti a tablet e telefonino, navighino meglio le sfide del mercato del lavoro di oggi. Ma non vale neanche il detto contrario e cioè che i lavoratori più anziani vengono remunerati meglio, in base alla maggiore esperienza. Perché questo non spiega come mai, in un mondo di vertiginoso mutamento tecnologico, l’age pay gap – la differenza retributiva in base all’età – questo premio all’esperienza si gonfi inesorabilmente, tagliando le ali ai giovani. Dagli anni ‘80, la quota di under 35 che si trovano nelle fasce superiori di stipendio è sceso dal 15 al 10 per cento. Mentre la quota di over 55 nelle fasce alte è salita dal 32 al 37 per cento e, nelle fasce basse, è scesa dal 23 al 18 per cento.

Lo conferma il destino dei manager. Non è strano che, 40 anni fa, la quota dei manager con meno di 35 anni fosse solo dell’8 per cento, mentre quello degli over 55 fosse più alta, del 12 per cento. Ma è strano che, nel frattempo, i manager giovani si siano ristretti al 3 per cento, mentre gli anziani sono schizzati al 28 per cento: il capello grigio, del resto, sembra essere una sorta di bonus a tutti i livelli. Fra il 1985 e il 2019, i salari reali degli under 35 sono cresciuti di un modesto 14 per cento. Quelli degli over 55 fra il 33 e il 53 per cento.

Qualcosa non gira se, in un mondo dove la tecnologia cambia a ritmo mozzafiato, la carta vincente non è il giovane, dinamico e sul pezzo, ma il vecchio affidabile. Una prima spiegazione può essere nella distribuzione dell’occupazione nei diversi settori. Quaranta anni fa, imperava l’industria manifatturiera, terra di stipendi relativamente alti e di progressi di carriera ben regolati. Nel mondo dei servizi di oggi, invece, tutto, a cominciare dai percorsi lavorativi, è più fluido, incerto, mutevole.

Contano anche, tuttavia, la natura e le prospettive delle aziende, a prescindere dal settore. Ci si aspetterebbe, ad esempio, che le imprese più avanzate, più dinamiche, più innovative avessero un occhio di riguardo per i giovani. Ma è vero esattamente il contrario. Sono le imprese più mature e più arretrate quelle dove finiscono i giovani. Quelle vispe, invece, cercano, o si tengono gli anziani. E siccome sono anche quelle che pagano meglio, le diverse traiettorie vanno a incidere sul livello dei salari per età. Fra il 1985 e il 2019, la quota di giovani nelle ditte che pagano meglio è scesa di due punti percentuali (erano l’8 per cento, ce n’è dunque un quarto in meno), mentre nelle aziende che pagano meno sono cresciuti di tre punti.

In conclusione, è difficile trovare un lavoro. È ancora più difficile trovare un posto fisso. E lo trovi in aziende che pagano peggio e ti offrono carriere sempre più lente.  Non è un grande affare essere giovani.

Maurizio Ricci

Maurizio Ricci

Maurizio Ricci

Giornalista

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