di Vincenzo Scudiere – Segretario Generale CGIL Piemonte
Anche in Piemonte è ora di cambiare l’agenda politica e sociale, caratterizzata fino ad ora dalla rincorsa al salvataggio di aziende e posti di lavoro a fronte di previsioni rosee lanciate da più parti e che tendevano, attraverso un malinteso “senso di responsabilità”, ad annacquare i dati di una crisi molto grave, che ha portato le ore di Cig allo stesso livello di quelle dell’inizio degli anni ’90 e messo a rischio migliaia di posti di lavoro. Tutto ciò a fronte di un quadro in cui i dati sull’occupazione dimostrano un aumento che è frutto essenzialmente delle regolarizzazioni di lavoratori extracomunitari e delle forme di precariato, attraverso le quali in un anno sullo stesso posto di lavoro è occupato da più persone.
Oggi in Piemonte c’è bisogno di dare risposte alle priorità più evidenti: dalla Fiat al tessile biellese. Bisogna costruire le condizioni in cui il confronto produca soluzioni soddisfacenti, che aiutino le imprese a risollevarsi in un quadro in cui ai lavoratori ed alle lavoratrici sia riconosciuta una condizione di lavoro capace di migliorare non solo la qualità del prodotto ma quella del lavoro. Occorre cioè, considerare allo stesso modo l’esigenza di qualità dello sviluppo con quella di qualità del lavoro e della vita. Bisogna abbandonare l’idea che il ruolo dei lavoratori nell’impresa può essere semplicemente quello di esecutori acritici di funzioni imposte da un’accentuazione delle forme di rapporto sempre più precarie. Migliorare le condizioni di lavoro e garantire un futuro alle persone che lavorano, è la condizione essenziale per costruire uno sviluppo di qualità.
Le ragioni del lavoro devono dunque essere considerate alla pari di quelle delle imprese. Questa situazione ci fa dire che la politica economica del Governo non ha aiutato né le imprese competitive, né quelle che continuano ad avere un gap competitivo e tecnologico. In questo quadro aumentano i livelli di insicurezza sociale, rappresentati dalle mille incertezze che riguardano le politiche sociali e la condizione di benessere nella nostra regione. Il carovita mette seriamente in discussione i livelli di reddito di una popolazione sempre più anziana: dalle pensioni, ai prezzi, alle tariffe, le condizioni di vita delle fasce più deboli sono messe seriamente in discussione. Per tutto questo bisogna partire dai temi più importanti, sui quali si possono verificare le effettive volontà delle nostre controparti di costruire proposte e soluzioni di qualità.
Le scelte sciagurate del Governo fanno registrare tagli pesantissimi agli enti locali che non migliorano certamente il quadro già precario. Con la Regione Piemonte continua ad essere annunciato l’avvio di un confronto sullo sviluppo per concordare, se possibile, le priorità ed aiutare la ripresa, mettendo al centro i problemi del lavoro. Negli ultimi anni anche in Piemonte il leit-motiv per lo sviluppo è stato caratterizzato dalla riduzione dei costi e da più flessibilità senza regole, con il risultato che anche da noi si rischia il declino.
Una delle aree più industrializzate del Paese si caratterizza per l’incertezza sul futuro della Fiat e in particolare dello stabilimento di Mirafiori e, negli ultimi tempi, anche la crisi del tessile del biellese mostra la gravità della situazione. Non solo sono a rischio i posti di lavoro “poveri”, figli di scelte produttive che hanno portato alla riduzione dei costi e non alla qualità del prodotto, ma va in crisi anche un sistema in cui la qualità ha rappresentato una delle caratteristiche per battere la concorrenza, utilizzando il distretto come sede per aumentare la capacità competitiva. Anche il Piemonte chiede un profondo cambiamento delle politiche economiche al Governo centrale e a quello decentrato.
Una politica economica alternativa a quella del Governo che miri ad uno sviluppo di qualità, vuole anche dire la conquista di un nuovo sistema di regole, senza le quali si metterebbe in seria difficoltà il carattere confederale del sindacato, a partire dalla Cgil, e soprattutto si consegnerebbe alla deriva corporativa il conflitto sociale subordinandolo alla ricetta liberista, che, senza regole e con la prevalenza delle ragioni dei più forti, non porta certamente alla soluzione dei problemi di milioni di lavoratori e pensionati.
E’ in questo contesto che a Torino non possiamo più accontentarci di galleggiare sulle crisi, individuando di volta in volta, anche egregiamente, provvedimenti tampone che attenuano gli effetti di queste crisi. Stanno per sfumare, anche per coloro che le hanno avute, le illusioni che bastino eventi importantissimi e utili come quelli le Olimpiadi per invertire la tendenza e per attrarre nuovi investimenti. Noi continuiamo a sostenere che senza un cambiamento generale delle politiche nazionali e locali, in cui finalmente il pubblico diventa parte attiva nel governo e nella soluzione dei processi in atto, non si inverte la tendenza.



























