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Home - Approfondimenti - Analisi - Ragioni e responsabilità di un declino

Ragioni e responsabilità di un declino

9 Febbraio 2004
in Analisi

Luigi Copiello – Segretario Generale Fim Veneto

Nei metalmeccanici è tempo di bilancio. Non conclusivo, visto che la partita è ancora aperta.

Sono stati tre anni “vissuti pericolosamente”: due contratti nazionali separati cui hanno fatto da contrappunto quattro scioperi generali e due manifestazioni nazionali separate. In ogni caso un conflitto tra organizzazioni senza quartiere e senza regole. Con un sovraccarico non solo di ideologia, ma anche di materiale meno nobile.


Ma sono passati ormai tre “esercizi” (2001-2-3) e, come ogni buon analista sa, tre esercizi bastano e avanzano per tirare un bilancio che se non fa piazza pulita delle opinioni, almeno le costringe a verificarsi.


 


Nel bilancio sono assunti due orizzonti temporali. In quello più breve, il triennio 2001-2003, si impone la grande stabilità. Si è vissuto pericolosamente, ma non è cambiato nulla. Gli iscritti dichiarati mostrano leggerissimi aumenti, ma non cambiano i rapporti tra organizzazioni. Poco più di 650.000 totali, con una rapporto 29-56-14% tra FIM-FIOM-UILM, quasi identico al 27-57-15 del 1992.


Per chi nutrisse dubbi sugli iscritti autodichiarati, si vedano i voti raccolti nelle elezioni delle RSU. FIM Lombardia e Veneto hanno monitorato tutti i rinnovi delle RSU tenuti negli ultimi due anni nelle aziende dove competono i tre sindacati. E’ un campione, ma ormai robusto di migliaia di delegati eletti e quasi centomila metalmeccanici votanti. Nel pieno dello scontro. Risultato: come sopra. Compresa la maggioranza confermata alla FIOM in Lombardia e alla FIM in Veneto.



I dettagli dicono che declina la presenza Cobas e minori e che soffre un po’ la UILM: le fanterie soffrono più delle artiglierie. Ma è poca roba, dettagli. Fanno molti più danni organizzativi eventuali problemi interni alle organizzazioni che i conflitti esterni.


Dopo tre anni di guerra, le trincee sono esattamente al punto di partenza. Nulla è cambiato, nessuno ha vinto, nessuno ha perso. Iscritti, delegati eletti nelle RSU: i rapporti sono esattamente quelli che erano all’inizio. La propaganda è al lavoro: i bollettini parlano di vittorie FIM e UILM nelle elezioni delle RSU alla FIAT di Mirafiori, Cassino e Termini Imerese, di quattrocento precontratti FIOM, e altro ancora. Ma sono bollettini che raccontano battaglie, non dicono nulla della guerra. La guerra è al punto di inizio: nessuno ha sfondato, nessuno ha ributtato a mare gli assalitori, nessuno ha vinto.


 


Altro scenario, di più lungo periodo: 1992-2002.


FIM-FIOM-UILM perdono novantamila iscritti nel decennio. Erano  739.000, sono oggi 650.000. Nello stesso periodo gli addetti metalmeccanici passano da 1.700.000 del 1992/3 a 1.820.000 del 2002. Novantamila iscritti in meno, centoventimila addetti in più. Bel colpo…. E, infatti, il tasso di sindacalizzazione passa (o crolla) dal 43 al 35 %.


 


Tutti perdono e continuano a perdere iscritti nelle grandi fabbriche, per la banale circostanza che le grandi fabbriche perdono addetti. Tutti fanno un po’ di iscritti nelle medie aziende, ma il saldo è comunque nullo nel breve e negativo nel lungo periodo.


Nessuno interviene dove è cresciuta l’occupazione, tutt’altro che precaria (è antecedente alla legge 30). Sono le nuove professioni, o vecchie professioni svolte in maniera nuova. Basti dire che nella più grande azienda informatica FIM-FIOM-UILM raccolgono assieme 200 iscritti su 8.000 dipendenti.


 


C’è poi l’area della piccola impresa e anche qui i numeri sono quelli di cui sopra.


 


Questo il bilancio.


1 -Le singole organizzazioni sono sufficientemente forti per resistere nel conflitto. FIM  e UILM possono resistere alla FIOM. La FIOM può continuare ad andare avanti per la sua strada. Ma non ha forza sufficiente per imporsi, se non con localissime denominazioni di origine controllata (precontratti di Reggio-Modena-Bologna).


 


2 -FIM-FIOM-UILM sono abbondantemente attrezzate al declino. Un altro decennio e si va ben sotto il 30% di sindacalizzazione. Sotto quella soglia, dicono gli studiosi, si aprono le porte dell’inferno (vedi sindacato USA; o vedi FIM-FIOM-UILM di Milano: ieri “stato maggiore” delle tute blu, oggi affannosamente alle prese con un’esistenza quotidiana popolata da direzioni, filiali, studi, agenzie: pochi colletti blu, qualche colletto bianco, un sacco di casual o come gli pare. In ogni caso: iscritti pochi, per poco e con fatica).


 


Non so se questo declino era nelle menti dei dirigenti della FIOM. Certo che il restyling del ’69 (conflitto, forti aumenti, uguali per tutti) non ha funzionato. Bene hanno fatto FIM e UILM a non starci. Ma non basta. Probabilmente a nessuno.


In ogni caso il declino che abbiamo alle spalle è una responsabilità, non un destino. Sappiamo dove sono le aree critiche: piccola impresa e nuove professioni.  Nell’artigianato e nella piccola azienda sta la maggioranza di categoria, che non è assolutamente interessata ai nostri modelli contrattuali, per il buon motivo che fino ad ora, bene o male, ha fatto senza. Figurarsi poi quanto lo sono le nuove professioni, che vorremmo “tutelare” con strumenti che funzionavano sì e no col fordismo.


 


Più in generale: anche i metalmeccanici sono uomini e donne, giovani e meno, indigeni ed extra, professionali e non, “grandi” e “piccoli”: prima parleremo ciascun “dialetto”, rifuggendo dalla lingua livellatrice, tipica dell’egualitarismo metalmeccanico, e prima saremo capiti e ci faremo capire. 


 “Sparate sul quartier generale” disse il presidente Mao, e fu forse l’unica che azzeccò. Sarebbe un bel titolo per un vero congresso dei metalmeccanici italiani.


 


                                   

redazione

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