In Italia oggi versano in stato di povertà assoluta oltre 5,6 milioni di persone, pari al 9,7% della popolazione, che “non hanno accesso a un livello di vita dignitoso”. È la drammatica fotografia scattata dalla Caritas italiana, che alla vigilia della VII Giornata Mondiale dei poveri, istituita da Papa Francesco, ha reso noto i risultati del suo Rapporto sulle povertà e sull’esclusione sociale nel nostro Paese. Si tratta di “un fenomeno ormai strutturale e non più residuale come era in passato”, con “la persistenza, e in molti casi il peggioramento, di tante situazioni di deprivazione e di esclusione sociale che appare inaccettabile”.
Sono oltre 2,1 milioni di famiglie povere in Italia, “una sconfitta per chi ne è direttamente coinvolto, ma anche per l’intera società, che si trova a dover fare i conti con la perdita di capitale umano, sociale, relazionale che produce gravi e visibili impatti anche sul piano economico”, afferma il Rapporto Caritas – Un triste panorama, si legge ancora, aggravato dal “1,2 milioni di minori in condizione di indigenza, costretti a rinunciare a tante opportunità di crescita, di salute, di integrazione sociale, e il cui futuro sarà indubbiamente compromesso”.
“L’Italia – chiosa la Caritas – risulta essere il Paese in Europa in cui la trasmissione inter-generazionale delle condizioni di vita sfavorevoli risulta più intensa. Chi nasce povero molto probabilmente lo rimarrà anche da adulto. Questo costituisce un’alterazione dei principi di uguaglianza su cui si fondano le nostre democrazie occidentali. Rispetto a questo punto perde anche la nostra Costituzione repubblicana, e in particolare l’articolo 3, che continua a restare inapplicato”.
Ma in Italia si può anche essere poveri nonostante il lavoro: i cosiddetti “lavoratori poveri”, ricorda l’organismo caritativo della chiesa italiana, sono infatti “lavoratori in nero, in grigio, part time forzati, con contratti regolari ma tutti con salari inadeguati”. Cause “di svolta” in questo senso, possono essere rappresentati da diversi fattori: “Innanzitutto i figli per i quali spesso non riescono a garantire i beni primari (i materiali scolastici, i vestiti o gli alimenti); la famiglia e la relazione di coppia, esposta ad una vita precaria che genera povertà e disagi; in secondo luogo le spese per la casa (affitti, bollette, ecc.); la spesa alimentare che, in alcuni casi, i ‘working poor’ riescono ad acquistare per due settimane al mese e poi vanno in sofferenza”. Altri elementi che possono trascinare famiglie o singoli nell’indigenza sono, secondo quanto testimoniato dai fruitori dei servizi Caritas, rappresentati “dalla salute, dalla paura di star male, di aver bisogno di visite mediche specialistiche, il doversi trascurare, la difficoltà di curare i familiari ammalati; la difficoltà di immaginare un futuro diverso, di progettare, di sognare”.
Per completare il quadro emerso dall’ascolto dei cosiddetti “working poor”, è stato raccolto il punto di vista di quanti sono direttamente coinvolti, a vario titolo, nel mondo del lavoro, secondo i quali, riferisce sempre il Rapporto, il fenomeno del lavoro povero è dovuto a tre dimensioni principali: alla debolezza contrattuale (proliferazione dei CCNL, mancato rinnovo contrattuale, non solo retribuzione oraria, ecc.); alla trasformazione del mercato del lavoro (precarietà, terziarizzazione del mercato del lavoro, diminuzione delle ore lavorate, prevalenza delle nano-imprese); ai comportamenti dei datori di lavoro e ai fenomeni storico-economici di sfondo (lavoro grigio, nero e irregolare, part-time involontario, aumento del costo della vita).
Quanto alle forme di assistenzialismo, la riforma del Reddito di Cittadinanza (RdC), con la transizione verso le nuove misure di Supporto alla formazione e al lavoro (SFL) e Assegno di inclusione (Adi) “riguarda da vicino una parte consistente della popolazione italiana”, visto che “nei primi sette mesi del 2023 il totale di nuclei familiari che hanno fatto affidamento sul RdC è stato di 1 milione e 331 mila (dati Inps 2023), per un totale di più di 2,8 milioni di persone coinvolte”. Questo mentre nel corso del 2021, anno in cui la misura ha avuto più beneficiari in assoluto, il totale delle persone coinvolte è stato di quasi 4 milioni di persone. Durante il 2022, tra i beneficiari dei servizi Caritas, il 19% era percettore di RdC (17mila famiglie) con punte del 44% al Sud e del 50% nelle Isole.
“L’abbandono del principio di universalismo selettivo e l’introduzione di nuovi requisiti lascia scoperte alcune specifiche tipologie di poveri”, conclude lo stesso organismo caritativo della Chiesa italiana, aggiungendo che “le stime disponibili indicano in circa il 33% i nuclei già beneficiari di RdC che non avranno diritto all’Adi, per un numero di 400mila nuclei su 1,2 milioni di famiglie.
“Vi sono inoltre molti dubbi – si legge ancora sul RapportoCaritas – sulla reale possibilità di trovare un’occupazione entro i 12 mesi di copertura economica per la formazione garantiti dall’SFL. Note positive riguardano invece – si conclude – i circa 50mila nuclei di stranieri che potranno accedere per la prima volta alla misura e il fatto che sommando gli importi dell’Adi con quelli dell’Assegno Universale Unico per i figli a carico, la nuova impostazione è sicuramente migliore per le famiglie numerose rispetto a quella precedente”.
e.m.



























