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Home - Rubriche - Giurisprudenza del lavoro - Recuperati i dati aziendali cancellati dal computer, l’azienda chiede il risarcimento dei danni al dirigente

Recuperati i dati aziendali cancellati dal computer, l’azienda chiede il risarcimento dei danni al dirigente

di Biagio Cartillone
26 Novembre 2021
in Giurisprudenza del lavoro
La grande bufala della gig economy

La datrice di lavoro agisce in Tribunale contro il suo ex dirigente, chiedendogli il risarcimento dei danni patrimoniali subiti per danno alla sua immagine e alla sua reputazione imprenditoriale. L’azienda ha contestato al dirigente la violazione dell’obbligo di fedeltà negli anni della sua prestazione lavorativa, per aver intrattenuto delle relazioni con soggetti in concorrenza con l’azienda, per aver rivelato a terzi informazioni tecniche riservate sui metodi di produzione aziendale, per aver partecipato a prove tecniche di campione di prodotto concorrente, per aver omesso la segnalazione ai vertici aziendali la perdita di clientela e il calo del fatturato in alcune regioni da lui seguite. Il Tribunale di Torino ha accolto la domanda dell’azienda condannando l’ex dirigente ad un ingente importo risarcitorio (€ 370.000,00). La Corte di Appello di Torino, però, su ricorso dell’ex dirigente, ha riformato la sentenza rigettando ogni domanda risarcitoria dell’azienda. La Corte di Appello, contrariamente al Tribunale, ha rigettato la domanda risarcitoria della datrice di lavoro perché ha escluso l’esistenza della prova dei fatti addebitati all’ex dirigente ed assunti dall’azienda a sostegno della sua azione.

La disputa giuridica verte sulla prova dei fatti di infedeltà e sulla utilizzabilità o meno in Tribunale delle prove dell’infedeltà del dipendente acquisite dalla datrice di lavoro dal computer aziendale che il dipendente aveva in dotazione all’epoca della sua prestazione lavorativa e che aveva restituito alla cessazione del rapporto di lavoro, dopo aver cancellato tutti i dati, messaggi, e-mail, documenti, numero di telefono etc. L’azienda ha recuperato questi dati dal computer dell’ex dirigente, secondo la Corte d’Appello, in modo illegittimo. Questa illegittima acquisizione non consentiva il loro utilizzo processuale, non potendo assumere la qualità di prova.

Contro la decisione della Corte di Appello ha proposto ricorso in Cassazione la datrice di lavoro sostenendo la sua legittima attività di recupero dei documenti, dei dati e delle informazioni contenute nel computer aziendale, e dolosamente cancellate dal dirigente prima della sua riconsegna alla legittima proprietaria. La datrice di lavoro ha sostenuto che il recupero di questi dati aziendali, che erano stati cancellati dolosamente dal sistema informatico dal dirigente infedele, non costituisce a carico dell’azienda una “incursione in una corrispondenza privata chiusa” perché questa corrispondenza recuperata era di proprietà aziendale e, pertanto pienamente acquisite.

La Cassazione ha accolto il ricorso dell’azienda perché nella causa è emerso in modo inconfutabile il fatto storico che il dirigente aveva riconsegnato il computer svuotato di tutti i dati. Si tratta di un fatto storico pacifico di cui la Corte d’Appello nella sua decisione di rigetto della domanda risarcitoria aziendale non ha tenuto debitamente conto. Questo fatto per la Cassazione è decisivo per determinare un esito diverso della controversia rispetto a quanto deciso nella sentenza impugnata. L’azienda ha legittimamente recuperato i dati cancellati con particolari procedure dispendiose, dandone incarico ad un perito informatico. I dati recuperati hanno consentito di avere completa conoscenza di una serie di conversazioni scritte eseguite dal dirigente sull’applicativo Sky.

Accertato questo recupero, la Cassazione ha affermato che “la produzione in giudizio di documenti contenenti dati personali è sempre consentita ove sia necessaria per esercitare il proprio diritto di difesa, anche in assenza del consenso del titolare e quali che siano le modalità con cui è stata acquisita la loro conoscenza: dovendo, tuttavia, tale facoltà di difendersi in giudizio, utilizzando gli altrui dati personali, essere esercitata nel rispetto dei doveri di correttezza, pertinenza e non eccedenza previsti dalla L. n. 675 del 1996, art. 9, lett. a) e d), sicché la legittimità della produzione va valutata in base al bilanciamento tra il contenuto del dato utilizzato, cui va correlato il grado di riservatezza, con le esigenze di difesa (Cass. 11 febbraio 2009, n. 3358; così pure, ai sensi del D.Lgs. n. 196 del 2003, artt. 4 e 11, applicabili ratione temporis”. La Corte di Cassazione ha rimproverato alla Corte di Appello di Torino di aver “omesso di bilanciare i diritti di difesa e di tutela della riservatezza, posto che, in materia di trattamento dei dati personali, il diritto di difesa in giudizio prevale su quello di inviolabilità della corrispondenza, consentendo la L. n. 196 del 2003, art. 24, lett. f), di prescindere dal consenso della parte interessata per il trattamento di dati personali, quando esso sia necessario per la tutela dell’esercizio di un diritto in sede giudiziaria, a condizione che i dati siano trattati esclusivamente per tale finalità e per il periodo strettamente necessario al loro perseguimento”.

Rafforzando questo concetto, la Cassazione ha aggiunto che “nel caso di specie, l’attività di recupero dei dati, cancellati dal dirigente prima della riconsegna del computer avuto in dotazione e integranti patrimonio aziendale, dopo la cessazione del rapporto di lavoro …, è stata compiuta da ACL s.r.l. in funzione dell’odierno giudizio risarcitorio, sul presupposto della distruzione da parte del dipendente di beni aziendali, quali appunto quelli memorizzati nel personal computer: condotta integrante violazione dei doveri di fedeltà e di diligenza, tale da costituire giusta causa di licenziamento” Cass. civ., sez. lav., sent., 12 novembre 2021, n. 33809.

La Cassazione ha rinviato parti e causa avanti sempre la Corte di Appello di Torino, ma con diversa composizione del collegio giudicante, perché provveda a correggere la sua decisione applicando correttamente le norme che disciplinano la materia così come da essa individuate e interpretate.

Il computer apparentemente svuotato può continuare pericolosamente a parlare perché non vale per questo strumento la damnatio memoriae.

Biagio Cartillone

Biagio Cartillone

Biagio Cartillone

Avvocato, Giuslavorista del Foro di Milano - www.biagiocartillone.it

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