I risultati del referendum dell’8 e 9 giugno si stanno appena scrutinando, quello che emerge però chiaramente è il mancato raggiungimento del quorum per nessuno dei referendum proposti.
Quindi, come previsto dalla Costituzione, nessun quesito referendario è stato in grado di abrogare la relativa disposizione legislativa vigente.
Purtroppo tutti i contendenti parleranno di vittoria o almeno di una “non sconfitta” ma non è la prima volta che materie complesse, quali quelle che regolano, in parte, l’attuale legislazione del lavoro, vengono sottoposte all’ordalia del “giudizio divino” di medioevale memoria, col risultato quasi sempre scontato di verificare, quanto meno, un disinteresse profondo tra l’elettorato per temi che, oggettivamente hanno una loro complessità giuridica.
Questo si sapeva bene anche al momento della promozione dell’iniziativa abrogativa.
Utilizzare il numero dei votanti al referendum come una dimostrazione di forza dell’opposizione è un grave e cinico errore. Come commentare il 40% dei no all’abrogazione del diritto di cittadinanza dopo 10 anni? L’opposizione vuole farsi carico anche di questo (per me ignobile) dato?
Quanto ai risultati dei referendum sul lavoro, mi dispiace dirlo, ma il vero risultato raggiunto, anche qui con una notevole dose di cinismo è la ormai cronica frattura nel movimento sindacale.
Se qualcuno saluta questo dato dicendo che era “ora di fare chiarezza tra i lavorativi” non sa quale mostro sta evocando, e come ogni apprendista stregone, non saprà nemmeno governarne gli effetti.
Dopo aver speso mesi a “mobilitare” i propri militanti per sostenere la battaglia referendaria, sarà difficile sgombrare il campo dalle macerie che questa battaglia ha lasciato sui luoghi di lavoro. Così successe con il referendum sulla scala mobile e cosi sarà anche dopo questa consultazione. La storia del movimento sindacale assegnerà le responsabilità a ciascuno dei contendenti, ma tali responsabilità è bene dirlo sono anche di chi, nel campo progressista, non ha fatto nulla, o non a sufficienza, per impedire questa deriva.
Nenni, leader storico del socialismo italiano, era solito dire che avere le piazze piene e le urne vuote, non è proprio un gran risultato per chi vuole rappresentare gli interessi dei lavoratori ma, mi sembra, e spero davvero di sbagliarmi, che ormai in molti in questo schieramento, siano sostenitori di un vecchio slogan di “Lotta Continua” : di sconfitta in sconfitta fino alla vittoria!
Luigi Marelli