Gianfranco Refosco, segretario generale della Cisl veneta, spiega il sentire nella sua regione sul tema dell’autonomia, riproposta da Zaia dopo la vittoria alle regionali. L’autonomia, afferma Refosco, deve essere pensata solo all’interno di un’ottica di solidarietà nazionale. E (in risposta a Salvini) ribadisce l’autonomia del suo sindacato da qualsiasi forza politica.
Refosco, che aria tira in Veneto rispetto all’autonomia regionale?
L’autonomia è un sentire comune in Veneto, dove è presente nei territori una forte tradizione legata alla sussidiarietà nel costruire le risposte dal basso. È un abito mentale, una mentalità, che attraversa trasversalmente la nostra terra e che non è appannaggio di una sola forza politica.
Dunque l’autonomia come prerogativa della Lega non regge?
Guardi, al referendum sull’autonomia del 2017 andarono a votare 2,3 milioni di veneti. Zaia, che ha stravinto le ultime regionali, ha preso un 1,8 milioni di voti. Questo vuol dire che molti veneti, anche se politicamente lontani dalla Lega, hanno tuttavia votato per l’autonomia. Semmai sono stati gli altri partiti che hanno “regalato” questo tema alla Lega.
E il suo sindacato, la Cisl, come vede l’autonomia? Opportunita’ o rischio?
Noi come Cisl abbiamo sempre partecipato al dibattito sul tema, mettendo in evidenza le criticità ,i rischi da evitare e anche le opportunità. L’autonomia deve essere, prima di tutto, pensata all’interno del dettato costituzionale (seppellendo così velleità secessionistiche o di statuti speciali) e nell’ottica di una rafforzata solidarietà nazionale. Le regioni, che per vari motivi, hanno di più, devono aiutare quelle in maggior difficoltà. Dobbiamo evitare di acutizzare gli squilibri territoriali già presenti. Il paese deve crescere assieme. Inoltre, attraverso l’autonomia si devono responsabilizzare maggiormente anche le classi politiche locali.
Dunque quello che avete in mente è un modello soft di autonomia?
Ricorda la famosa richiesta, avanzata dal Veneto , di trattenere i 9/10 delle tasse?
Certo. Ebbene?
Nelle trattative, prima con il governo Gentiloni, poi con il Conte I e, infine, con l’ attuale, è stata cassata. Quando parliamo di risorse da mantenere sul territorio, parliamo di quei denari utilizzati dalla Regione per far fronte alle varie competenze che le spettano, come è già per la sanità. Non un euro di più. Un calcolo che, fino a questo momento, è stato fatto guardando i costi storici, e che in futuro si dovrà basare sui costi standard. Inoltre, se parliamo di autonomia, perché vogliamo meno centralismo statale, questa non può tradursi in un centralismo regionale, ma dovrà coinvolgere anche le province e i comuni.
Con il COVID-19 la sanità è tornata al centro del dibattito pubblico, e l’opinione pubblica si è spaccata tra i sostenitori della dimensione regionale del sistema sanitario e chi, invece, ha auspicato un ritorno in mano allo Stato. Che posizione ha in merito?
La gestione dell’emergenza ha fatto affiorare le debolezze di alcuni sistemi regionali e ha, invece, valorizzato quelle che sono le buone prassi. La scelta del Veneto di fare tamponi a tappeto, anche diversamente dal parere dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, alla fine si è rivelata vincente. Quello che conta è affrontare la questione senza ideologie e dogmatismi politici. E le buone pratiche territoriali devono poter essere esportate anche altrove.
Sulla questione del lavoro, come si puo’ declinare il tema dell’autonomia?
In Veneto, fin prima della crisi del 2009, abbiamo dato vita a un sistema molto collaudato di relazioni tra la Regione, il sindacato e le associazioni datoriali. Nel 2017 è stato varato il Piano Regionale per il Lavoro, che ha disposto strumenti che ci permettono di gestire alcune difficoltà attuali . E’ stato attivato l’Assegno per il Lavoro, una politica attiva rivolta alle fasce più deboli e per chi sconta una disoccupazione di medio/lungo periodo. Dall’avvio di questo strumento fino ad agosto 2020 sono stati erogati 43mila assegni, di cui 2mila tra marzo e aprile di quest’anno. Questa politica attiva ha portato all’attivazione di 26mila rapporti di lavoro. Naturalmente tutto questo passa attraverso la formazione, come quella professionale e degli ITS, molto presente nella nostra regione, e attraverso una sinergia tra pubblico e privato.
E sul versante della scuola?
Anche per questo aspetto puntare su un’autonomia spinta come quella ipotizzata con il Governo precedente, non è la soluzione ai problemi che ci sono e che comunque vanno affrontati. In Veneto, già prima del Covid, c’era una carenza di 5-6mila insegnanti qualificati. Nella formazione dei docenti è mancata negli anni scorsi una programmazione di medio e lungo periodo, e ora il problema sta esplodendo. Qui il Ministero ha grossissime responsabilità. Naturalmente la scuola deve poggiare su programmi, ordinamenti e regole di livello nazionale, ma una maggiore agibilità per le regioni vista negli aspetti organizzativi e gestionali sarebbe senz’altro positiva.
La proposta di Veneto sull’autonomia parte da presupposti diversi di quella dell’Emilia-Romagna. In che cosa si differenziano?
Le due regioni hanno un approccio politico diverso nei confronti dello Stato. In Veneto si sono coltivate ambizioni secessioniste/separatiste spinte anche dalle specialità che hanno ottenuto con la Repubblica le regioni contermini (Friuli Venezia Giulia e Trentino Alto Adige), L’Emilia Romagna ha invece una storia di strette relazioni con lo Stato e non si è mai sentita trascurata. Il referendum sull’autonomia che si è svolto in Veneto ha quindi sancito che la richiesta di autonomia comporta una rinuncia a maggiori pretese, diversamente per l’Emilia Romagna dove le istanze di autonomia presentate sono già, di partenza, complete.Veneto ed Emilia-Romagna hanno declinato il tema secondo le proprie specificità. In Emilia-Romagna le politica regionale ha sempre svolto un ruolo di programmazione e coordinamento per tutti i soggetti territoriali e sociali. In Veneto, invece, la Regione non ha svolto questo ruolo di regia se non su spinta delle parti sociali. Inoltre in Veneto scontiamo un forte campanilismo territoriale. Resta che, nonostante le diversità, durante la crisi COVID-19 Zaia e Bonaccini hanno lavorato bene assieme nella conferenza delle regioni.
Salvini, prima delle elezioni, ha detto che in Toscana la Cisl avrebbe votato per la Lega. Crede a questa affermazione?
Guardi, hanno già risposto i colleghi della Cisl Toscana. La nostra prassi è quella di confrontarci con tutte le forze politiche, con un approccio laico e pragmatico. Ma è ben radicata nella nostra storia la piena autonomia nei confronti di tutti i partiti e di tutti i governi, figurarsi quindi se diamo indicazioni di voto ai nostri iscritti.
Tommaso Nutarelli