E’ ben difficile che le tre confederazioni sindacali tornino unite. Lo dice la storia di questi ultimi anni e l’ultima riprova è venuta questa mattina da un importante convegno organizzato dal gruppo dirigente del Fondo pensioni della Bnl, nel quale si sono confrontati Susanna Camusso, Raffele Bonanni e Anna Rea per la Uil senza riuscire a sciogliere i nodi dei problemi che li allontanano. A poco sono servite le parole di Giorgio Benvenuto e Pierre Carniti, grandi sindacalisti del passato, che hanno sottolineato le ragioni dello stare assieme. A poco è servito che il sociologo Gian Primo Cella elencasse con puntigliosità i motivi tecnici e politici per cui al sindacato conviene marciare unito. A poco è servito l’incoraggiamento del presidente di Bnl Luigi Abete, che ha suggerito almeno due temi sui quali tutto il sindacato dovrebbe impegnarsi a breve. Camusso e Bonanni non sono riusciti a fare quel passo uno verso l’altra in grado di far ripartire il convoglio unitario.
La partita si gioca al momento tutta attorno alla possibilità di raggiungere un accordo sulle rappresentanze sindacali. L’accordo in realtà ci sarebbe anche, è quello che Cgil, Cisl e Uil raggiunsero nella primavera del 2008, per far ripartire il dialogo sul modello contrattuale, però poi finito con un accordo separato. Se si volesse davvero riprendere il discorso sul sistema di contrattazione per superare la rottura del 2009 sarebbe necessario ricominciare proprio dalle rappresentanze e da quell’intesa. Il punto è che su quell’accordo Cgil, Cisl e Uil non sono più d’accordo.
La Cgil soprattutto che pensa che qualcosa debba essere modificato. Infatti la struttura portante di quell’accordo prevedeva che la rappresentatività delle confederazioni dovesse essere misurata sulla base degli iscritti e dei voti riportati nelle elezioni delle Rsu. Era l’uovo di Colombo, perché riuniva il credo della Cisl, che punta da sempre sugli iscritti, e quello della Cgil, favorevole all’espressione di tutti i lavoratori. Ed era la formula già sperimentata positivamente per il pubblico impiego dalla Legge Bassanini. Il punto è che l’accordo diceva anche che gli accordi sarebbero stati validi se la maggioranza semplice dei lavoratori si fosse dichiarata d’accordo.
Alla Cgil questa ultima indicazione non va più bene. Non siamo un’organizzazione politica, ha detto anche ieri Camusso, non possiamo accontentarci del 50%, per far passare un’intesa deve esserci una maggioranza qualificata, perché non sia un referendum sulle ragioni dell’azienda, ma trovi il consenso della gran parte dei lavoratori. Non l’ha ripetuto oggi, ma la Cgil pensa che per valicare un accordo serva il consenso di almeno il 60% dei lavoratori.
La Cisl però non ci sta. Bonanni lo ha detto più volte in questi mesi e lo ha riaffermato questa mattina. L’accordo del 2008 rappresenta a suo avviso il punto di accordo più avanzato tra le posizioni delle diverse confederazioni. “Avrei difficoltà, ha detto, a tornare dai miei a dire che quell’intesa non va più bene e che si deve ricominciare tutto daccapo”. Ha detto anche di più. “Mi stupisco, ha affermato, che ci si allontani da quel baricentro. Se non è possibile applicare quell’accordo, ha aggiunto, vorrà dire che la Cisl tornerà a valorizzare solo gli iscritti, che in fin dei conti pagano la loro quota, partecipano alla vita del sindacato, si assumono le loro responsabilità”. Ma questo, appunto, sarebbe la fine del sindacato unitario. E, su questi tutti hanno concordato, il sindacato diviso è più debole.
Carniti ha detto che se non si riannoda l’unità i grandi obiettivi posti al sindacato dall’evolvere della situazione economica vanno fuori portata. Benvenuto ha ricordato come il sindacato di una volta, quando era unito, era in grado di avanzare delle proposte per affrontare i problemi della società, mentre adesso che è diviso il sindacato è in grado solo di difendersi, ma non di attuare trasformazioni sociali come sarebbe necessario. Guglielmo Epifani ha fatto presente che proprio quando il lavoro è più debole sarebbe necessaria l’unità e adesso il sindacato sta attraversando forse la sua stagione più difficile.
Ancora più preciso Cella, che ha ricordato come l’unità sia la condizione per rappresentare meglio le componenti minoritarie del sindacato, sia la condizione per poter contrattare nelle condizioni migliori perché non si conosce il punto di caduta delle posizioni del sindacato, sia il modo per assicurare e ottenere dalla controparte l’applicazione dei contratti.
Ma le speranze non sono tutte svanite. E’ possibile ritrovare nelle parole di tutti le tracce di queste speranze. Come quando Anna Rea spinge tutti a concentrarsi sulle cose che uniscono le confederazioni, non su quelle che le dividono. “Torniamo a parlare di lavoro, ha detto, rappresentanza è saper dare delle risposte”. Bonani ha sottolineato come il sindacato italiano sia ancora forte e si stia allargando, anche e soprattutto tra i lavoratori attivi, segnale di forza e vitalità cui occorre dare una risposta in positivo. Camusso ha invitato tutti a uscire dal populismo imperante, a lavorare sapendo che oggi l’urgenza è quella della crescita.
Abete ha indicato due terreni sui quali le parti sociali potrebbero muoversi. Il primo è quello per rendere stabile la tassazione al 10% del salario aziendale, il secondo quello della riforma fiscale. Riforme importanti, che darebbero sollievo a tutti, consentirebbero una ripresa, una spinta. “Ma allora, ha incitato, facciamole finalmente queste riforme”.
Massimo Mascini