Le modifiche che il Governo vuole introdurre all’attuale Codice degli Appalti rischiano di colpire l’intero assetto delle relazioni industriali e le concrete tutele di milioni di lavoratori. Di conseguenza verrebbe colpito un aspetto fondamentale della democrazia economica in questo Paese, parte essenziale della democrazia delle società contemporanee.
Di questo si tratta e di questo devono avere consapevolezza tutti i soggetti sociali (sindacali ed imprenditoriali), forze politiche e istituzioni.
Di fatto è sotto attacco il principio duplice per cui è l’attività oggetto dell’appalto (svolto anche in maniera prevalente) “a fare” il CCNL da applicare ai lavoratori coinvolti, insieme alla comparativamente maggiore rappresentanza dei soggetti firmatari (attuale articolo 11 del D. Lgs. 36/2023).
Le modifiche proposte infatti inseriscono tante e tante di quelle variabili che, se non modificate/cancellate, porteranno caos e dumping contrattuale, secondo le peggiori pratiche del mercato privato, in quello che rimane comunque un settore alimentato da risorse pubbliche e che dovrebbe essere una “leva industriale” volta a far crescere qualità, dimensione di impresa, valore aggiunto nei diversi settori produttivi, oltre che garantire il massimo delle tutele economiche e normative, orientando in meglio l’intero assetto delle relazioni industriali e fornendo coordinate “in avanti”.
Il rischio oggi è che invece passi il principio non più di favorire il meglio, ma di accettare il peggio, in un sistema dove, mancando una legge sulla rappresentanza, in attuazione dell’articolo 39 della Costituzione, i rischi di degenerazione sono ormai noti, per moltiplicazione e crisi della rappresentanza datoriale, per la presenza di soggetti con pochissimi associati, per sovrapposizioni di perimetri sempre più spinte, ecc.
Il rischio è che una volta consolidati certi principi nel settore degli appalti pubblici, “bye bye” ad ogni tentativo di portare certezza e qualità nel rapporto tra privati.
Perché quello che vi è dietro alla proposta del Governo è una visione specifica – potremmo dire “mercantilista” – delle relazioni industriali, con il sistema contrattuale collettivo non più inteso come sistema regolatorio e parte essenziale della democrazia economica (per cui cogenza e rappresentatività ne sono essenza e presupposto), ma “mercato” da conquistare “alla faccia” di rappresentanza e reale efficacia protettiva.
Una “contro rivoluzione” che rischia di mandare in soffitta anche una parte dello spirito dello stesso “Patto per la fabbrica”, con il suo giusto obiettivo di andare sempre più vicini ad un sistema basato sui c.d. “Ccnl leader” e riportare gli stessi CCNL “alla reale attività svolta dalle imprese”.
Per entrare più nello specifico, il Governo propone di modificare l’articolo 11 in particolare al comma 2 e al comma 4 dell’attuale D. Lgs. 36/23 (il Codice degli Appalti). Il comma 2 è quello che obbliga le stazioni appaltanti ad indicare il CCNL applicabile in base al comma 1 (Ccnl e contratto territoriale “in vigore per settore e per la zona stipulati dalle associazione dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative a livello nazionale e cui ambito di applicazione sia strettamente connesso all’attività oggetto dell’appalto o della concessione svolta dall’impresa anche in maniera prevalente”), mentre il comma 4 è quello relativo alla verifica, in caso di altro CCNL applicato dall’impresa, di equivalenza delle tutele rispetto al CCNL indicato dalla Stazione appaltante.
La proposta inserisce un rinvio aggiuntivo (e di fatti esplicativo) ad un nuovo Allegato: l’allegato I.01, che, accanto al principio che è l’oggetto dell’appalto a “fare il CCNL”, introduce anche altri indicatori (codici Ateco e specifici criteri di rappresentatività, alcuni assai discutibili) e poi il principio della “dimensione” e della “natura giuridica dell’impresa” per identificare l’equivalenza tra CCNL diversi da quelli indicati dalla Stazione appaltante.
Inoltre, per la prima volta verrebbero normati i criteri della “comparazione” ai fini della rappresentatività maggiore, con criteri che introdurrebbero ulteriore vulnus sulla reale consistenza dei firmatari, allontanandoci ancora di più dalla certezza e cogenza di un accordo in virtù se non della norma (mai applicata), sicuramento dello spirito dell’articolo 39 e dei principali accordi interconfederali siglati in tutti i decenni passati.
Il punto è l’equiparazione che il nuovo Allegato introdurrebbe infatti sia tra indicatori tra loro diversi e non per forza sempre compatibili tra loro, sia tra CCNL in realtà non equivalenti, con effetti di “dumping” e di “ribasso mascherato” rispetto al CCNL leader e al costo del lavoro come calcolato e comunicato dalla Stazione Appaltante.
Una scelta tutta politica, visto che a più di un anno dall’approvazione del Codice il tema era stato comunque affrontato tra interpelli e comunicazioni ANAC, sentenze (poche) dei tribunali amministrativi (e anche con pareri discordanti), Ufficio Giuridico del MIT.
Inoltre, i principi di delega contenuti nella legge 78/2021 anche in riferimento alla parità di tutele economiche e normative dei lavoratori lungo la filiera dell’appalto, si basavano sul precedente articolo del Codice in vigore già dal 2021, per cui era il CCNL dell’impresa appaltatrice (una volta individuato) a garantire la parità di trattamento così come individuato dal vigente art. 119 (e già previsto dal passato articolo 105 del D. Lgs. 50/2016) e su questo, in ben tre anni, non si sono registrati particolari contenziosi.
Entriamo ora nei dettagli: il nuovo Allegato I.01 consta di 5 articoli e stravolge pesantemente le tutele attualmente previste in tutti e 3 i “momenti” in cui si articola un appalto – in relazione alle tutele dei lavoratori e all’applicazione del giusto CCNL – ovvero sia quando si individua prima e si verifica poi il rispetto del giusto CCNL modificando gli equilibri (e le tutele) e quando poi tale verifica si trasferisce lungo la filiera (subappalti).
Il primo “momento” è quello iniziale quando la stazione appaltante deve individuare e di conseguenza indicare obbligatoriamente il CCNL e il contratto territoriale da applicare e in virtù dei quali – ricordiamo – scattano sia le determinazione del costo del lavoro previsto dal bando/assegnazione che degli oneri della sicurezza.
Il secondo momento è quello per cui un Operatore economico può indicare un altro CCNL ma deve dimostrare che esso garantisca le stesse tutele economiche e normative di quello indicato dalla stazione appaltante, e qui scattano i c.d. “criteri di equivalenza”.
Il terzo momento è quello della verifica da parte del RUP sia prima (per autorizzare) sia in fase di esecuzione (per controllare) della parità di tutele economiche e normative dei lavoratori in subappalto rispetto ai lavoratori dell’appaltatore principale e, in caso di lavoro sulle categorie prevalenti (ora nella proposta diventa “categoria prevalente” al singolare), l’applicazione del medesimo CCNL (che “in re ipsa” garantisce le stesse tutele).
Cosa cambia ora?
Innanzitutto in coerenza con le modifiche inserite all’articolo 11 (“in conformità con l’Allegato I.01”), l’art. 1 del nuovo allegato specifica il campo di applicazione, relativo sia all’indicazione del contratto collettivo applicabile (momento 1, ora normato dallo specifico articolo 2 dell’allegato) che alla verifica di equivalenza. Con gli “effetti di trascinamento” che non riportati direttamente nell’allegato influenzano anche le tutele previste dagli articoli 41,57 e 119 dell’attuale codice (che infatti vengono modificati anche essi).
E qui si presenta già una prima fondamentale correzione da richiedere in quanto la nuova norma di dettaglio dell’Allegato rinvia al “contratto collettivo nazionale o territoriale di lavoro applicabile al personale impiegato nei lavori, servizi e forniture oggetto di appalti pubblici e concessioni, nonché per la presentazione e verifica della dichiarazione di equivalenza delle tutele ai sensi dell’articolo 11, commi 3 e 4”. Poiché la norma madre (articolo 11) parla di contratto nazionale e territoriale dovrebbe essere pacifica la prima correzione affinché la “o” diventi “e” sia all’articolo 1 che all’articolo 2 comma 1.
Nello specifico poi l’articolo 2 proposto prevede:
“1. Le stazioni appaltanti e gli enti concedenti individuano il contratto collettivo nazionale o territoriale di lavoro applicabile al personale dipendente impiegato nell’appalto o nella concessione previa valutazione della stretta connessione dell’ambito di applicazione del contratto collettivo rispetto alle prestazioni oggetto dell’appalto o della concessione, da eseguire anche in maniera prevalente”.
“2. Fermo restando quanto previsto dall’articolo 11, comma 3, le stazioni appaltanti non possono imporre, a pena di esclusione, nel bando di gara o nell’invito l’applicazione di un determinato contratto collettivo quale requisito di partecipazione”.
“3. Ai fini di cui al presente articolo, il contratto collettivo nazionale o territoriale di lavoro applicabile al personale dipendente impiegato nell’appalto o nella concessione è individuato in base ai seguenti due criteri:
1) l’attività da eseguire, identificando il rispettivo codice ATECO, secondo la classificazione delle attività economiche adottata dall’ISTAT, eventualmente anche in raffronto con il codice per gli appalti pubblici (CPV) indicato nel bando o nell’invito. L’ambito di applicazione del contratto collettivo di lavoro da indicare nel bando o nell’invito è individuato in relazione ai sottosettori con cui sono stati classificati i contratti collettivi nazionali depositati nell’ Archivio nazionale dei contratti e degli accordi collettivi di lavoro istituito presso il Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro;
2) la maggiore rappresentatività comparata delle associazioni sindacali e delle associazioni datoriali firmatarie, secondo quanto indicato al comma 4”.
“4. Le stazioni appaltanti e gli enti concedenti indicano nel bando di gara o nell’invito il contratto collettivo nazionale di lavoro preso a riferimento dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali nella redazione delle tabelle per la determinazione del costo del lavoro, adottate ai sensi dell’articolo 41, comma 13. Se non sono disponibili le tabelle per la determinazione del costo del lavoro, in presenza di più contratti collettivi di lavoro strettamente connessi all’attività oggetto dell’appalto o della concessione, individuati ai sensi del comma 3, ai fini della verifica delle associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale di cui all’articolo 11, comma 1, le stazioni appaltanti e gli enti concedenti considerano i seguenti parametri:
- a) il numero complessivo dei lavoratori associati;
- b) il numero complessivo delle imprese associate;
- c) la diffusione territoriale, con riferimento al numero di sedi presenti sul territorio a livello nazionale e agli ambiti settoriali;
- d) il numero dei contratti collettivi nazionali di lavoro sottoscritti”.
“5. Può essere altresì valutata, ai fini della verifica delle associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, la presenza di rappresentanti delle associazioni firmatarie dei contratti collettivi di lavoro nel Consiglio del CNEL”.
E qui i rischi sono molteplici: l’ambito di applicazione di un CCNL da prendere a riferimento per “valutare la stretta connessione” all’attività svolta anche in modo prevalente oggetto dell’appalto deve essere prima di tutto dato dal perimetro del medesimo CCNL (vedi diverse sentenze Tar e Consiglio di Stato, pensiamo alle attività edili che sono normate da specifici CCNL sin dal 1945) che contempli in modo “stretto” l’attività oggetto dell’appalto oltre che i diversi indicatori sulla maggiore rappresentatività comparata dei firmatari (a parità di possibili “perimetri”) come riportati al comma 4 (lavoratori e imprese associate ai firmatari CCNL, diffusione, ecc.) seppure necessitanti questi ultimi (comma 4 articolo 2) di alcune modifiche e precisazioni fondamentali per non legittimare anche chi rappresentativo non è (vedi oltre).
Per prima cosa è proprio sbagliato il riferimento primario ai codici Ateco che indicano l’attività economica dell’impresa (e per cui l’impresa è iscritta in Camera di Commercio) che può anche non coincidere o contemplare l’oggetto dell’appalto. Indicativa al riguardo è la stessa relazione di accompagnamento che, per esempio, per le costruzioni (appalti di lavori) cita 4 classificazioni Ateco quando sono, in base ai Codici CPV solo 3 (i Codici Ateco 41, 42 e 43).
Codici Ateco che ricordiamo (così come il riferimento alla dimensione e alla natura giuridica dell’impresa) non sono mai stato contemplati come indicatori nella stessa legge delega 78/2022 rispetto al criterio che è l’oggetto dell’appalto che fa il CCNL e non l’impresa.
Al riguardo la stessa giurisprudenza ha più volte riconosciuto la libertà dell’impresa, in base al proprio codice Ateco, di applicare il CCNL più confacente (non essendovi una legge attuativa dell’art. 39 Cost.), limitando però questa libertà proprio in caso di appalti pubblici, per cui al “solo personale” impiegato in quell’appalto fosse (e sia) l’attività oggetto dell’appalto a fare il CCNL, ovvero il trattamento economico e normativo, e non altro. Potrebbe allora avere più senso – sia detto per inciso – il richiamo come indicatore sussidiario e successivo alla correlazione “oggetto dell’appalto – CCNL”, il Common Procurement Vocabulary (CPV) cioè il sistema di classificazione europeo per categorizzare l’oggetto dei contratti d’acquisto pubblici, oggetto anche di una precisa indicazione fornita dall’ANAC con messaggio del 9 maggio 2023.
Quindi occorre meglio precisare (in virtù proprio del combinato disposto che a fare l’identificazione del CCNL da parte della stazione appaltante siano i due criteri “oggetto dell’appalto” + la condizione “comparativamente più rappresentativa” dei firmatari) quanto disposto dal comma 4, specificando che il criterio “geografico” riguardi la copertura contrattuale di lavoratori ed imprese (e non certo le sedi dei firmatari) ed escludendo sia il riferimento alla “quantità di CCNL sottoscritti” (di per sé non indicativi di nulla, anzi la maggioranza dei CCNL presenti nella banca dati del CNEL sono di sindacati e organizzazioni datoriali con pochissimi associati o per nulla rappresentativi) che alla mera presenza nel CNEL (che non è indicatore di rappresentanza certa a differenza dei dati di cui al comma 4, rilevabili anche tramite dichiarazioni di natura pubblica).
Infine, segnaliamo l’esigenza che il legislatore chiarisca meglio il rapporto tra l’articolo 2 comma 3 e il riferimento al successivo comma 4, per cui la maggiore rappresentatività andrebbe infatti usata anche in caso di sovrapposizione di perimetri, indipendentemente dalla presenza o meno di tabelle ministeriali specifiche.
Inoltre occorre dare un’indicazione certa, in termini tecnici, per la misurazione degli indicatori per meglio chiarire il concetto di “comparativamente più rappresentativi” dei soggetti stipulanti. Al riguardo lo strumento più utile potrebbe, per intanto, essere la rilevazione del dato associativo dei lavoratori alle Organizzazioni Sindacali e delle imprese alle Associazioni Datoriali tramite Uniemens, ai sensi della legge 24 novembre 2003, n. 326 e successive modifiche e integrazioni, attraverso una convenzione con INPS.
Procedura già in essere per il dato associativo alle Organizzazioni Sindacali per gli ambiti di Confindustria, CONFAPI e Confservizi in attuazione degli accordi interconfederali sulla rappresentanza.
Ma i pericoli delle norme proposte non sono solo “nel primo momento”, anzi.
Le nuove norme incidono pesantemente anche nel “secondo momento” di un appalto, quando cioè – nonostante la corretta individuazione del CCNL e del contratto territoriale – un operatore economico partecipa all’affidamento dell’appalto con altro CCNL, per cui andranno verificati ai sensi dell’articolo 11 l’equivalenza delle “tutele” sia economiche e normative. Qui il rischio della “liberalizzazione” dell’applicazione dei CCNL diviene infatti massimo.
L’ Allegato I.01 produce aggiunte di merito e di procedura molto gravi altrettanto, se non più rischiose di quelle previste in materia di “identificazione del CCNL”. In particolare, con i nuovi articoli 3 e 4 del nuovo Allegato si prevede che:
- vi sia un’equivalenza già sancita (quindi non oggetto di verifica da parte della stazione appaltante) ai sensi dell’articolo 3, determinata dalla dimensione o dalla natura giuridica dell’impresa;
- vi sia un’equivalenza da verificare nel merito, ai sensi dell’articolo 4.
Nello specifico, l’articolo 3 (Presunzione di equivalenza) stabilisce che “1. Ai fini della dichiarazione di cui all’articolo 11, comma 4, e della conseguente verifica, si considerano equivalenti le tutele garantite da contratti collettivi nazionali e territoriali di lavoro, sottoscritti dalle medesime organizzazioni sindacali con organizzazioni datoriali diverse in base alla dimensione o alla natura giuridica delle imprese, a condizione che ai lavoratori dell’operatore economico sia applicato il contratto collettivo di lavoro corrispondente alla dimensione o alla natura giuridica dell’impresa”.
Modifica non condivisibile e anche “problematica” in quanto non può essere sicuramente la dimensione (quantità di addetti? Volumi economici?) a determinare l’applicazione dei CCNL nell’ambito degli appalti pubblici, essendo la “classe dimensionale” non incidente (si vedano anche i “considerata” delle Direttive Europee vigenti) rispetto alle clausole sociali e ambientali (e tra le clausole sociali è pacifico rientrino i contratti collettivi di lavoro da applicare).
Assai discutibile (per gli effetti concreti di dumping salariale) è anche il riferimento alla natura giuridica delle imprese, come criterio a questo punto che non produce una verifica sui vari istituti, divenendo un criterio di equivalenza de iure tra CCNL che hanno tutele e salari diversi.
Con la codifica dell’equivalenza presunta, in sintesi, il principio di non negoziabilità delle tutele di cui all’art. 11 del Codice, i cui livelli sono definiti dal contratto collettivo individuato nel bando di gara, risulta in termini sostanziali cedevole in ragione “della dimensione o della natura giuridica” dell’operatore economico, cioè PMI, imprese artigiane, società cooperative.
Al netto delle considerazioni sulla sostenibilità, de jure condito, di un simile approccio, la domanda è per esempio quanto, in un appalto ad alta intensità di manodopera, il contratto collettivo applicato da un operatore economico in ragione dell’equivalenza presunta possa condizionare l’aggiudicazione dell’appalto.
In termini pratici, una PMI potrebbe, legittimamente, applicare un CCNL che contempla una retribuzione più bassa e quindi aggiudicarsi la gara, attuando dumping contrattuale che, nelle intenzioni del legislatore delegato, doveva essere evitato.
Esempi concreti potrebbero verificarsi, negli appalti di sevizi, nella ristorazione collettiva tra Ccnl Turismo Ristorazione collettiva e Ccnl cooperative sociali ma anche con Ccnl Pulizie servizi integrati/multiservizi. O ancora nelle manutenzioni quello tra CCNL metalmeccanico industria e metalmeccanico artigiano.
Altro esempio di un problema concreto in fase di aggiudicazione si presenterebbe a fronte di CCNL per esempio sottoscritti dagli stessi sindacati sia specifici per le PMI che per imprese artigiane o cooperative dove i perimetri prevedono anche ambiti di applicazione in base al numero degli addetti.
Conterà di più la dimensione o la natura giuridica dell’operatore economico?
Insomma se prima era il combinato disposto “attività svolta anche in modo prevalente oggetto dell’appalto” e CCNL leader in base alla rappresentatività che poteva orientare la scelta della stazione appaltante, fornendo parametri certi nella verifica anche dell’equivalenza dei vari istituti economici e normativi tra CCNL diversi, ora di fatto si introduce un principio di equivalenza automatica in base ai firmatari e rispetto a dimensione e natura giuridica dell’impresa (S.p.A., S.r.l., cooperativa sociale, impresa artigiana, Pmi) rendendo ancora più labile il principio della verifica delle stesse tutele economiche e normative e facendo del costo medio indicato da una Stazione Appaltante in virtù di un CCNL un elemento ulteriormente aleatorio (proprio in funzione di come verrebbe riscritto l’articolo 41 del Codice), che potrà agire una funzione di “turbativa” nella definizione delle proposte da parte dei singoli operatori.
Una sorta di concorrenza sleale (ma legittima e automatica) in funzione del CCNL che si applica sapendo già che sarà riconosciuto equivalente. Siamo all’incentivazione a passare al CCNL che costa meno, con minori tutele in tema di formazione, salute, sicurezza, magari senza neanche cambiare ragione giuridica, ma giocando esclusivamente sulla “dimensione”.
Infine – se poi passasse una definizione molto allargata di quali siano i soggetti “comparativamente più rappresentativi” – il cerchio si chiuderebbe: diventando magari equivalenti anche i CCNL sottoscritti da soggetti privi di reale rappresentanza, rispetto a quelli sottoscritti da sindacati e associazioni di imprese che contano invece, centinaia di migliaia di associati.
Principio che comunque poi si scontrerebbe anche con le modifiche introdotte all’articolo 119 (anche qui letteralmente la norma è senza ambiguità, “stesse tutele”).
Si pongono allora più questioni.
La prima è stata posta in materia di rappresentatività commentando gli articoli precedenti.
Poi si pone un tema giuridico formale e sostanziale rispetto a questo specifico articolo: mentre la natura giuridica (pur contestabile) ha riferimenti legislativi certi (impresa artigiana, PMI, cooperativa, ecc.) maggiore è l’alea formale sulla definizione/classificazione di “dimensione” essendoci imprese di dimensioni (addetti) ridotte iscritte a Confindustria (servizi, forniture) o Ance (per gli appalti di lavori) e imprese con maggiori dimensioni aventi natura giuridica per esempio artigiana (per la presenza in produzione dell’imprenditore).
Stesso ragionamento per la specificità cooperativa, dove la dimensione ha valenza neutra, e così continuando.
Qui si tratta o di superare la norma con l’abrogazione secca dell’articolo 3 dell’Allegato I.01 oppure di porre il tema del “fatto salvo la parità di tutele economiche e normative rispetto al CCNL comunque identificato dalla stazione appaltante anche ai sensi del successivo articolo 4”, affinchè la natura giuridica dell’impresa non sia di fatto fattore di dumping e di ribasso sui costi della manodopera in modo surrettizio.
Passando invece all’eventuale equivalenza da verificare (articolo 4), il primo aspetto da evidenziare è come l’articolo 4 introduca un rinvio che lascerà ampli margini alla decretazione del Ministero del Lavoro, con effetti diretti sulla tenuta dei vari CCNL e sul sistema delle relazioni industriali. Nello specifico l’articolo 4 (Indicazione da parte dell’operatore economico di un diverso contratto collettivo nazionale di lavoro) stabilisce:
“1. Quando, al di fuori delle ipotesi di cui all’articolo 3, l’operatore economico indica nell’offerta un diverso contratto collettivo di lavoro da esso applicato, si considerano, ai fini della valutazione di equivalenza, le tutele economiche e le tutele normative”.
“2. La valutazione di equivalenza economica dei contratti è effettuata in relazione alle componenti fisse della retribuzione globale annua, costituite dalle seguenti voci:
- a) retribuzione tabellare annuale;
- b) indennità di contingenza;
- c) elemento distinto della retribuzione (EDR);
- d) eventuali mensilità aggiuntive;
- e) eventuali ulteriori indennità previste”.
“3. La valutazione di equivalenza delle tutele normative è effettuata sulla base dei seguenti parametri:
- a) disciplina concernente il lavoro supplementare;
- b) clausole relative al lavoro a tempo parziale;
- c) disciplina del lavoro straordinario, con particolare riferimento ai limiti massimi;
- d) disciplina compensativa relativa alle festività soppresse;
- e) durata del periodo di prova;
- f) durata del periodo di preavviso;
- g) durata del periodo di comporto in caso di malattia e infortunio;
- h) disciplina dei casi di malattia e infortunio, con particolare riferimento al riconoscimento di eventuali integrazioni delle relative indennità;
- i) disciplina relativa alla maternità e alle indennità previste per l’astensione obbligatoria e facoltativa dei genitori;
- l) monte ore di permessi retribuiti;
- m) disciplina relativa alla bilateralità;
- n) previdenza integrativa;
- o) sanità integrativa”.
“4. La stazione appaltante può ritenere sussistente l’equivalenza delle tutele quando il valore economico complessivo delle componenti fisse della retribuzione globale annua di cui al comma 2 risulta almeno pari a quello del contratto collettivo di lavoro indicato nel bando di gara o nell’invito e quando gli scostamenti rispetto ai parametri di cui al comma 3 sono marginali.
- Con decreto del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, sono definiti i criteri per la determinazione delle modalità di attestazione dell’equivalenza delle tutele di cui al comma 4”.
Se nel merito degli indicatori, essi sono quelli “consolidati” e presenti sia nelle note emanate nel tempo dall’Ispettorato Nazionale del Lavoro (INL) e dall’ANAC (si vedano linee guida “bando tipo” per appalti di servizi e forniture) è evidente la delicatezza insita nel principio di “scostamenti marginali” sulle tutele.
Non è chiaro in capo a chi toccherebbe valutare il grado di “marginalità” (le stazioni appaltanti?) se non, come crediamo, rinviare (comma 5) ad uno specifico decreto ministeriale (quindi senza confronto con Parlamento e parti sociali) dove con le modalità di attestazione presumiamo si quantifichi “cosa/quanto sia marginale” un eventuale scostamento.
Il tutto senza confronti ne con il Parlamento ne soprattutto con le organizzazioni firmatarie di CCNL di cui si va a sancire possibili “marginalità” non rispettabili.
Insomma, in queste settimane nessuno si faccia “distrarre”, si alzino subito antenne e discussioni su quanto sta avvenendo, perché la partita è “seria” e potrebbe avere effetti assai, negativamente, pervasivi sulle condizioni reali di centinaia di migliaia di lavoratrici e lavoratori e sulla qualità della stessa democrazia economica nel paese, parte essenziale, della democrazia tout court dei contemporanei.
Alessandro Genovesi – Responsabile Contrattazione inclusiva Cgil Nazionale