Domenica scorsa i cittadini della Lombardia e del Veneto sono stati chiamati alle urne per decidere se delegare maggiore autonomia, in materia fiscale e di gestione di alcune politiche, ai due governi regionali. Quella aperta dal referendum lombardo-veneto è una partita potenzialmente enorme, perché si tratterebbe di ricollocare, in seno alle due regioni, le competenze e le risorse per finanziarle, che ammonterebbero a 28 miliardi di euro. Per quanto riguarda le 23 competenze, si tratta di settori che spaziano dalla politiche del lavoro, alla sanità, l’istruzione e i trasporti, che, secondo l’articolo 116 della Costituzione, possono essere assegnate anche alle amministrazioni territoriali. Il Veneto ha già preparato un disegno di legge per chiederle tutte e 23 a far sì che i nove decimi delle tasse pagate dai veneti restino sul territorio. La Lombardia sembra intenzionata a prendere la stessa strada. Per analizzare meglio la situazione e, nello specifico, quella della regione governata da Luca Zaia, abbiamo intervistato Onofrio Rota, segretario generale della Cisl Veneto
Rota quale è stata la posizione della Cisl riguardo al referendum?
Noi come Cisl Veneto abbiamo sostenuto il Sì nel referendum del 22 ottobre dopo aver chiarito tre punti fondamentali con il presidente Zaia. Il primo riguarda il tipo di percorso per l’autonomia che si vuole intraprendere. Abbiamo ribadito (come ripetiamo da anni) che altro non può essere che quello previsto dalla Costituzione nell’art. 116. Il secondo: le materie sulle quali si va richiedere “maggiore autonomia” devono essere concordate con le Parti Sociali e le rappresentanze delle autonomie locali e cioè i Comuni. Infine che ci debba essere una reale volontà di aprire un serio negoziato con il governo. In sostanza: basta discorsi e provocazioni secessioniste, coordinare le idee e le proposte per delineare una autonomia già partecipata, uscire dalla contrapposizione sterile tra Stato e Regione.
Le richieste avanzate dal governatore della regione Luca Zaia si muovono principalmente su due fronti: legiferare in via esclusiva sulle 23 competenze, in base all’art. 116 della Costituzione, e una maggiore libertà fiscale con la richiesta di trattenere sul territorio veneto i nove decimi delle imposte pagate. Partendo dal primo punto, ritiene che sia possibile?
Partiamo da due considerazioni. Abbiamo immediatamente cassato il disegno di legge sullo Statuto Speciale che la Giunta Regionale ha approvato il 23 mattina. Non ci sta con la Costituzione e non ci sta con il quesito referendario. Aggiungo che non ci abbiamo mai creduto alla “specialità” perché il Veneto, certamente confina con il Trentino, l’Alto Adige ed il Friuli Venezia Giulia, ma si confronta e si rapporta in primo luogo con la Lombardia e l’Emilia- Romagna. Riteniamo invece corretto sotto il profilo costituzionale il disegno di legge dove si chiede di trattare su tutte le 23 materie elencate dall’art. 117. Su questo si deve andare avanti anche mettendo subito in atto il terzo ddl che prevede la costituzione della Consulta del Veneto per l’Autonomia a cui partecipano, come abbiamo richiesto, tutte le rappresentanze del lavoro e dell’economia regionale, più le Università. Detto ciò noi manteniamo la nostra opinione sulla questione delle materie concorrenti che la riforma costituzionale, del 2001, ha prodotto. La legislazione concorrente va superata con una maggiore e più netta distinzione tra ciò che spetta decidere allo Stato Centrale/Governo nazionale e quello che invece va effettivamente attribuito alle Amministrazioni regionali. Alcune materie devono essere di competenza esclusiva nazionale. Faccio alcuni esempi: le infrastrutture strategiche per il sistema Paese, le politiche energetiche, le politiche comunitarie. Non si devono ripetere esperienze come quelle del recente referendum “No Triv” e non a caso a suo tempo abbiamo espresso una valutazione positiva su questa parte della riforma Boschi. Quindi va bene ragionare sulle 23 materie ma con la dovuta ponderatezza e sulla base di un doppio presupposto: cosa serve al Paese e quindi al Veneto, cosa serve al Veneto per dare di più a sé stesso e quindi al Paese. Andiamo quindi al tavolo del negoziato con mente aperta e senza pregiudizi. La filosofia non deve essere quella dell’antagonismo ma della partecipazione. La stessa che sosteniamo quando andiamo a trattare con le aziende (facendo le debite distinzioni!).
Per quanto riguarda la volontà del governatore Zaia di trattenere sul territorio i nove decimi delle imposte, come valuta la questione?
Credo che su questo punto si sia impostato male tutto il discorso, nel senso che la richiesta di trattenere nel territorio veneto i nove decimi delle imposte pagate deve essere, prima di tutto, preceduta da una nostra bravura nel pianificare e gestire quelle competenze per le quali chiediamo maggiore autonomia. La logica deve essere: devo gestire questa materia al posto dello Stato? Bene, mi si diano le relative risorse.
Quali ritiene che siano, tra le 23 competenze, quelle che meglio si adattano ad un’amministrazione di tipo regionale?
Abbiamo, prima di tutto, la gestione delle politiche riguardanti il lavoro e il tema della sicurezza nei luoghi di lavoro. C’è poi tutta l’area della previdenza complementare e del secondo welfare, così come quella dell’istruzione. Ognuna di queste potrebbe essere molto più efficiente se delegata alla nostra regione.
E una maggiore autonomia nella gestione di questi aspetti ritiene che possa portare a dei benefici? E se si di che tipo?
L’autonomia di per sé non genera automaticamente condizioni migliori. L’autonomia (la “maggiore autonomia”) è una risorsa che se sappiamo utilizzarla, sfruttarla positivamente, può dare maggiori frutti della gestione centralizzata delle politiche centralizzate perché permette maggiori flessibilità e quindi adattamento alle caratteristiche della specifica realtà sui cui intervengono. Faccio un esempio: le politiche per il lavoro e l’occupabilità e la loro gestione in una regione come il Veneto che ha un mercato del lavoro dinamico e livelli di disoccupazione limitati non possono essere eguali a quelle che riguardano aree del paese dove la disoccupazione è, purtroppo, una realtà drammatica. Ottenere più autonomia è il meno. La vera sfida è saperla utilizzare con responsabilità, competenza ed efficienza. E qui torniamo al tema della autonomia partecipata.
L’Emilia Romagna ha avanzato le stesse richieste di autonomia del Veneto e Lombardia senza, tuttavia, passare attraverso lo strumento del referendum. Quale crede che siano le ragioni di questa scelta?
Credo che le motivazioni siano più di ordine politico, ma al livello di contenuti non cambia nulla. Non è che lo strumento del referendum sia in sé sbagliato, ma non deve diventare un mezzo né per portare avanti uno strappo né per sostenere delle richieste ambigue, tipo quello della autonomia come apripista della secessione.
Dunque non ritiene la secessione una soluzione plausibile e non ipotizza uno scenario come quello della Catalogna?
Certamente no. Le “idee indipendentiste” appartengono a piccole minoranze. Piuttosto si è mantenuta in piedi una visione del Veneto bistrattato, a cui è impedito esprimere tutte le sue energie e potenzialità come se fossimo ancora ai tempi del dominio Austro-Ungarico. Il Veneto però è una regione italiana ed europea, per storia e per cultura. Non dimentichiamoci che cento anni fa proprio in Veneto si è combattuta la più grande battaglia mai avvenuta nella storia in Italia. Prima del voto ho avuto modo di parlare e discutere con i nostri lavoratori e pensionati. Il sentimento preponderante è sempre quello: poter decidere più cose in Veneto ma restando sempre italiani ed europei. La grandissima maggioranza dei Sì ha espresso questa idea. Mi permetto anche di dire: una parte importante dei non votanti aveva lo stesso pensiero ma ha avuto timore di sottoscrivere votando un mandato in bianco. La politica veneta e nazionale deve rispettare e non travisare questa visione del Veneto.
Tommaso Nutarelli