Assalti ai supermercati e lunghe file per fare la spesa. Immagini sempre più frequenti, che ci dicono come il settore agroalimentare sia una delle filiere che non può permettersi di fermarsi durante l’emergenza del coronavirus. Onofrio Rota, segretario generale della Fai-Cisl, fa il punto sullo stato di salute del comparto, in grado di reggere, nonostante il grande sforzo. Il numero uno degli alimentaristi della Cisl ribadisce come la salute dei lavoratori sia la stella polare del sindacato, afferma che, una volta superata la crisi, l’agroalimentare potrà essere un punto fermo del rilancio economico, se avrà un contratto moderno e all’altezza della sfida. La Fai, ricorda il suo segretario, insieme a Flai e Uila è impegnata a sostenere lo straordinario sforzo della sanità pubblica attraverso una raccolta di risorse.
Rota come valuta il Protocollo sottoscritto da sindacati, imprese e governo per contrastare l’emergenza Covid-19 nei luoghi di lavoro?
Molto positivamente. Non possiamo non apprezzare il protocollo sottoscritto dalle tre Confederazioni, con le parti datoriali e il governo. Si tratta di uno strumento importante e di un passo decisivo per garantire la sicurezza nei luoghi di lavoro.
Nell’agroalimentare come è stato recepito il Protocollo?
Anche nel nostro settore abbiamo seguito le linee guida del documento, fornendo dispositivi di protezione individuale, favorendo il distanziamento sociale, dove possibile, evitando la promiscuità nei luoghi di lavoro, nelle mense e negli spogliatoi. Ci sono certamente delle diversità nel nostro comparto delle quali abbiamo tenuto conto.
Quali nello specifico?
Già da tempo avevamo sollevato il tema della sicurezza nell’agricoltura. Per questo stavamo mettendo a punto, assieme agli altri sindacati e alle controparti, un protocollo sulla salute e la sicurezza dei lavoratori. La firma del 14 marzo e i vari DPCM non hanno fatto altro che accelerare questo processo. Tuttavia non nego che stiamo riscontrando delle criticità, oltre al tema della salute e della sicurezza.
Che criticità?
Prima di tutto una carenza di personale e di risorse. Sono due campanelli di allarme che stiamo monitorando costantemente. Da una parte, infatti, molti lavoratori stranieri, con il blocco delle frontiere, non possono per il momento tornare in Italia. Questo causa una carenza di manodopera, in una fase decisiva, perché ci stiamo avvicinando alla raccolta di molti prodotti. Dall’altra, sempre per il blocco alle frontiere, non possiamo contare su tutte quelle produzioni che solitamente esportavamo.
C’è poi, purtroppo, il problema del lavoro nero e del caporalato?
Esattamente. Ci sono situazioni fortemente a rischio, dove non c’è il rispetto della legalità e tantomeno il rispetto della salute e della sicurezza. Ci arrivano segnalazioni di braccianti che ancora continuano ad andare al lavoro ammassati nei furgoni. In queste condizioni disumane si trovano oltre 300mila persone. Noi come sindacato cerchiamo di presidiare il territorio in questi momenti drammatici.
Per quanto riguarda l’industria le cose come stanno andando?
La filiera avicola è quella con qualche criticità maggiore, perché i lavoratori operano gomito a gomito. Tuttavia abbiamo avuto piena disponibilità dai principali gruppi italiani ad applicare tutte le misure per arginare il contagio e mettere in sicurezza i luoghi di lavoro. Ma devo dire che in tutte le filiere stiamo riscontrando delle risposte molto positive da parte delle aziende.
Molte realtà produttive, penso al gruppo Rana, hanno deciso di alzare lo stipendio dei propri dipendenti, anche con incrementi del 25%. Come valuta queste iniziative?
Guardi stiamo registrando iniziative di questo tipo in numerose aziende. Noi non abbiamo nulla in contrario. Certamente non si deve barattare la salute dei lavoratori con lo stipendio. Questo è un punto fermo, che abbiamo sempre ribadito e dal quale non ci spostiamo. La Commissione di Garanzia sullo Sciopero ha chiesto di non effettuare astensioni collettive almeno fino al 30 aprile. Ne prendiamo atto, ma certamente continueremo a vigilare affinché venga garantita la massima sicurezza a lavoratrici e lavoratori.
Si potrebbe pensare che l’agroalimentare sia una delle pochissime filiere non in crisi, dal punto di vista economico, data la sua centralità.
È vero, la nostra è una delle filiere cardine in questo momento, indispensabile per la sopravvivenza della popolazione, che sta operando a pieno ritmo. Ma non è vero che tutte le aziende stanno facendo affari d’oro. Anzi stiamo registrando molte richieste di cassa integrazione.
Sul serio?
Pensi a tutte quelle realtà che lavorano principalmente con gli alberghi, la ristorazione e il turismo, che in questo momento sono fermi. Sta cambiando anche il carrello della spesa degli italiani. In questa fase si prediligono prodotti essenziali, rispetto alle patatine, alla paprika o alla cioccolata.
Si può dire che è il mercato che sta facendo una selezione naturale delle aziende, piuttosto che i codici ATECO?
Direi di si.
Nei giorni passati le persone hanno letteralmente preso d’assalto i supermercati. Cosa si sente di dire?
Che non c’è nessun bisogno di adottare simili comportamenti, peraltro dannosi anche dal punto di vista sanitario. Il settore regge ed è in grado di soddisfare la domanda delle persone.
Pensa che ci saranno delle ripercussioni pensanti per l’agroalimentare made in Italy, considerato che buona parte di esso è rivolto all’export?
Sono sicuro che quando ci saremo lasciati alle spalle questa orribile situazione l’agroalimentare sarà uno dei punti di forza della ripresa. Il made in Italy è resiliente e apprezzato in tutto il mondo. Certo occorreranno delle azioni di rilancio e di rafforzamento del settore.
Di che tipo?
Prima di tutto sul versante contrattuale. Le trattative per il rinnovo, sull’industria alimentare, stanno procedendo, e ci siamo presi l’impegno con le controparti di arrivare a una firma ad aprile. Quello che noi chiediamo è un contratto moderno, che sia all’altezza della sfida che abbiamo davanti, nel quale non solo mettere più soldi e tutele per i lavoratori, ma che sappia fare tesoro di tutte quelle pratiche che si stanno generando in questo momento, come lo smart working, che anche noi stiamo incentivando, se le condizioni lo permettono. Ecco penso che questi potranno essere strumenti decisivi per l’innovazione e la ripresa.
Nel DL Cura Italia sono stati stanziati 25 miliardi, e Conte ne ha annunciato al Senato altri 50. È soddisfatto di queste prime misure?
Si. Nel decreto Cura Italia ci sono strumenti importanti come la cassa integrazione in deroga, che può essere estesa a tutti i lavoratori, anche a quelli non coperti dagli ammortizzatori tradizionali. Altrettanto positivo è il fondo da 390 milioni destinato ai lavoratori stagionali, che nell’agroalimentare sono una parte significativa. Bene anche l’anticipo dei fondi della Pac. È pur vero che tutti questi interventi dovranno essere nuovamente finanziati e sostenuti con risorse maggiori. Per uscire vittoriosi da questo momento drammatico serve lo sforzo di tutti.
Tommaso Nutarelli