Nessuno sa come finirà, la Lega è un animale strano. Ma per come si stanno mettendo le cose, Matteo Salvini rischia di perdere lo scettro di segretario. A insidiare il vicepremier e discusso ministro dei Trasporti e delle Infrastrutture è Roberto Vannacci. Salvini l’ha fatto salire sul Carroccio, nella primavera dell’anno scorso, pur di non uscire sconfitto alle elezioni europee. Ma ora l’ex generale della Folgore sta valutando, studiando, l’ipotesi di metterlo da parte. E di prenderne il posto. Tu quoque.
Per la Lega, destino di Salvini a parte, significherebbe il compimento della mutazione genetica avviata dall’attuale segretario. Da partito territoriale, xenofobo, un po’ folle e un po’ anarchico come era quello di Umberto Bossi, a partito nazionale nell’alveo dell’ultradestra che va di moda in Europa. Quella che, per intenderci, fa il tifo per Vladimir Putin e Donald Trump. Ed è complice della strana coppia che coltiva il sogno di sbriciolare l’Unione europea. Salvini, che in sei anni è riuscito nel disastro di portare la Lega dalle vette del 34.2 % delle elezioni europee del 2019 all’8.8% di questi giorni (7 milioni di voti in meno), ha confidato ai suoi di non temere Vannacci. “L’ho creato io, l’ho fatto segretario io. Non è tipo che tradisce”, è il suo mantra. Eppure, i segnali che manda l’ex generale vanno nella direzione opposta. Nominato vicesegretario la scorsa primavera, Vannacci ha deciso di non versare, violando le regole interne, un quinto del suo stipendio da europarlamentare nella casse del partito. Anche se il bilancio del Carroccio è in rosso di 700 mila euro.
In più Vannacci – che ha trascorso l’estate a fare il mattatore nelle feste di partito ingollando polenta e salsicce, raccogliendo più presenze e applausi di Salvini – è attivissimo e presentissimo sui social. È in tour continuo sul territorio. Scandisce, non facendo il vicepremier, slogan diretti e fragorosi nel solco nazionalista, populista, sovranista, razzista, che hanno maggior presa di quelli del suo capo; che pure non si risparmia, come dimostra la crisi diplomatica con il presidente francese Emmanuel Macron. E, a sentire chi sa fare di calcolo, ormai “sono suoi” i voti di metà della Lega.
A guardare i numeri, Vannacci alle europee ha incassato oltre 530 mila preferenze. E, sorpresa, queste sono arrivate più dal Nord che dal Centro o dal Sud: l’autore de “Il mondo al contrario” ha preso oltre 186 mila voti nel Nord-Ovest, 140 mila nel Nord-Est dove i governatori “nordisti” Luca Zaia e Massimiliano Fedriga gli avevano apertamente negato il loro appoggio. Al Centro invece Vannacci ha preso 95 mila voti, 70 mila al Sud e 34 mila nelle Isole. Il segno che il turbo fascista piace all’elettorato leghista e conterebbe, a sentire i sondaggisti, tra il 2.5 e il 3.5% su scala nazionale. Di certo, c’è che tra Salvini che ci prova e Vanacci che lo è, chi mette la scheda nell’urna sembra orientato a preferire l’originale, non l’imitazione. Discorso che vale, per il leader leghista, anche rispetto a Giorgia Meloni. Non a caso l’underdog della Garbatella veleggia nei sondaggi al 29%, contro l’8.3-8,8 della Lega.
Si tratta di dati che dovrebbero aprire gli occhi al vicepremier. Ma Salvini non sembra accorgersi del pericolo, oppure lo sottovaluta. Così continua a suonare la fanfara per il Ponte sullo Stretto, di cui al suo Nord non importa un fico secco. Prosegue la campagna contro l’Ue in compagnia di Marine Le Pen e Viktor Orban, nel ruolo di fiancheggiatore – si diceva – di Trump e di Putin, scontentando il mondo produttivo del Nord messo in ginocchio dai dazi di The Doland. E tira dritto nel progetto di “partito nazionale”. Quello che disgusta i governatori Zaia, Fedriga, Attilio Fontana e i capigruppo in Parlamento, Max Romeo e Riccardo Molinari. Tutti però troppo pigri o con la pancia troppo piena per aver voglia di lanciare la scalata alla segreteria.
In soccorso di Salvini non correrà Meloni. Alla premier, che a giorni alterni fa l’europeista, starebbe bene se la Lega scivolasse ancora di più a destra sotto le insegne di Vannacci. La ragione: il Carroccio diventerebbe del tutto irrilevante. Così, dalle parti di palazzo Chigi, non fanno mistero di smaniare per ridurre all’impotenza Salvini. Uno che, come Tafazzi, dopo i mojito del Papeete in quest’opera si è gettato da solo. E con grande entusiasmo.
Alberto Gentili