L’Italia perde ancora terreno nella spesa sanitaria rispetto ai principali partner UE (quelli ‘originari’ ante 1995) ed è sempre minore anche il vantaggio rispetto ai partner più recenti (post 1995): il livello della spesa italiana è distante dalla media UE del 32 per cento. Per portare la quota di Pil destinata alla Sanità sui valori attesi in base alle effettive disponibilità del Paese – ricordando che una parte significativa del Pil non è disponibile perché impegnata per gli interessi sul debito pubblico (sono il 4,3% del Pil contro una media dell’1,8% negli altri Paesi) – servirebbero 15 miliardi di euro, ma questo lascerebbe un rilevante gap fra la spesa sanitaria italiana e quella dei Paesi europei di confronto; ed anche se in tal modo si eviterebbe di peggiorare ulteriormente il gap con i partner UE nel breve periodo, il vantaggio sarebbe solo transitorio, qualora il Pil dovesse continuare a crescere meno che nella media degli altri Paesi Ue.
Una situazione critica quindi, che il C.R.E.A. Sanità, Centro di ricerca riconosciuto da Eurostat, Istat e Ministero della Salute, composto da economisti, epidemiologi, ingegneri biomedici, giuristi, statistici, ha illustrato nel suo 19° Rapporto, (curato da Federico Spandonaro, Daniela D’Angela, Barbara Polistena e da ricercatori ed esperti) presentato oggi nella sede del Cnel a Roma.
La spesa sanitaria privata nel 2022, segnala il rapporto, ha raggiunto i 40,1 mld di euro, in crescita dello 0,6% medio annuo nell’ultimo quinquennio. Nell’ultimo anno si registra un incremento di circa il 5,0 per cento. Nel 2022 Trentino-Alto Adige (21,0%) e Lombardia (19,7%) sono le Regioni con la quota più alta di spesa privata intermediata. La Sicilia quella con la quota minore (1,0%). Il 75,9% delle famiglie italiane sostiene spese per consumi sanitari: la quota è aumentata dell’1,7% nell’ultimo anno. Tra le famiglie più abbienti, quelle che ricorrono a spese sanitarie private, superano l’80%; tra quelle meno abbienti non si raggiunge il 60%.
La Sanità si comporta come un bene di lusso – evidenzia il CREA – e quindi la sua quota sui consumi delle famiglie aumenta al crescere del reddito disponibile. Sulla base di questa relazione, considerando il Pil “netto” (degli interessi), il punto di “neutralità” per la spesa sanitaria si può stimare intorno ai 3.150 euro pro-capite, cioè il +8,2% in più di quella attuale; in termini di incidenza sul Pil, tale livello di spesa risulterebbe pari al 10,0% (contro l’11,5% medio dei Paesi EU originari) e, quindi, assumendo (cosa discutibile) che la spesa sanitaria privata sia una variabile indipendente e rimanga pari ai livelli sul Pil attuali, ovvero che non si riduca al crescere di quella pubblica, la spesa sanitaria pubblica dovrebbe aumentare sino a raggiungere il 7,2% del Pil (nominale). Nel 2023 la spesa pubblica è stata il 6,7% del Pil e le previsioni la danno in discesa nei prossimi anni.
“Sarebbe opportuno che venisse prodotto un documento di indirizzo strategico finalizzato a ridefinire prospetticamente i bisogni della popolazione e a riconciliarli con le capacità di risposta del Ssn”, suggerisce il C.R.E.A. Sul fronte della prevenzione per il CREA bisogna operare “una rivoluzione culturale, capace di generare una convinta adesione della popolazione sulla opportunità di adottare stili di vita salutari. Dove non si possano evitare interventi clinici, è necessario snellire i processi di presa in carico: lo sdoppiamento (territorio e ospedale) dei luoghi di erogazione, rischia di generare una duplicazione di interventi. È necessaria una presa in carico multidisciplinare, sviluppando livelli di integrazione fra professionisti”.
Per la cronicità “una vision che guardi al futuro del Ssn deve iniziare a occuparsi dei ‘futuri cronici’ (non solo anziani), ripensando le modalità della medicina di iniziativa, adattandola ai bisogni e ai comportamenti dei ‘millenials’: una popolazione nativa digitale, che comunica quasi solo attraverso gli strumenti digitali, che compra praticamente tutto a distanza, valuta i servizi mediante le informazioni in rete, etc., più disposta verso alcune innovazioni quali l’Intelligenza Artificiale, ma forse anche meno critica nella analisi delle evidenze scientifiche”.
Evitare poi l’aumento dell’iniquità, “con la crescita dei casi di disagio economico (impoverimento e rinuncia alle cure) per la crescita dei consumi sanitari delle famiglie meno abbienti. Tra le cause la totale non integrazione del “circuito” privato con quello pubblico, alimentata anche dal pregiudizio che il privato è anche non etico perché risponde a esigenze di massimizzazione del profitto; tesi che si scontra con la natura dei mercati sanitari europei, dove anche la massimizzazione del profitto è perimetrata dalle regolamentazioni pubbliche”.
Appare distorsivo – indica ancora il CREA – il mantenimento di categorie che non trovano riscontro in “natura”, come la forzata distinzione fra “prestazioni integrative” e “sostitutive”, spesso utilizzata per stigmatizzare la crescita dei Fondi Sanitari; va ricordato che le prestazioni “integrative” per essere tali si vorrebbero escluse dai LEA. Ma la possibilità di avere la prestazione in tempi percepiti come ragionevoli e nel luogo prescelto, sono elementi sufficienti per definire una “integrazione” del servizio pubblico: non riconoscerla appare un negare la realtà. Se non si vogliono forme di sussidiarietà, si dovrebbe spingere per aumentare la risposta pubblica, e non cercare di limitarne le alternative.
“Se la detraibilità delle spese sanitarie può essere sulla carta considerata iniqua, nella misura in cui premia i maggiori consumi, ragionevolmente attribuibili alle famiglie più abbienti, gli sgravi legati ai premi versati a Fondi collettivi, essendo oggi appannaggio fondamentalmente del ceto medio e di larga parte del lavoro dipendente, appaiono tutt’altro che iniqui; anzi, si possono ritenere una (parziale) compensazione del fatto che si tratta delle uniche fasce della popolazione a cui è, di fatto, impedito evadere. Andrebbe nelle azioni di governo recuperato – suggerisce il CREA – il tema del rapporto fra Ssn e fisco: è un tema che rimane centrale, nella misura in cui i sistemi di welfare universalistico richiedono sistemi fiscali efficienti, in assenza dei quali si generano inaccettabili sperequazioni”.
E ancora: rivedere i criteri di Riparto del fondo sanitario, da alcuni anni sostanzialmente “congelati”; rivedere le regole che caratterizzano l’operatività delle aziende pubbliche; agire sulle risorse umane che “sono l’aspetto più critico per il SSN; per quanto concerne i medici, più di numero è un tema di incentivi per la copertura delle posizioni meno appetite e non è più procrastinabile l’adeguamento delle retribuzioni”; per gli infermieri, le retribuzioni sono in cima all’agenda, insieme a un serio problema di carenza.
Infine per il CREA “sarebbe necessario che le decisioni sulla adozione delle tecnologie fossero prese in base a trasparenti e razionali criteri di valutazione, secondo il dettato dell’HTA”, Health Technology Assessment, “a supporto di una decisione che rimane politica, e che deve basarsi su una declinazione finale del ‘valore’ delle tecnologie: quest’ultima dimensione è però sinora rimasta in secondo piano perché il Ssn ha garantito la quasi totalità delle tecnologie sanitarie; tuttavia, la crescente scarsità di risorse rischia di far divenire il tema ‘sensibile’ in quanto occorrerà adottare una logica di prioritarizzazione legata al valore sociale, la cui valutazione richiede una decisione politica, che comporta il coinvolgimento di tutti gli stakeholder del sistema sanitario”.
e.m.




























