Uno pensa subito alle bollette, ma per quanto pressante, se si alza un poco lo sguardo si vede che il problema è più grosso. Il mondo è elettrico, lo sarà sempre più. E noi – per parafrasare un vecchio monologo teatrale – non abbiamo niente da metterci.
Dagli anni ‘70 in poi, abbiamo imparato a parlare dei “petrostati”: i paesi – soprattutto quelli degli sceicchi del Golfo Persico – dove il petrolio è re. Ovvero, quasi tutta la produzione e quasi tutta l’esportazione nazionali, nonchè il motore di una crescente , apparentemente inarrestabile, ricchezza. Oggi, sappiamo che l’energia più efficiente è quella elettrica e che dobbiamo produrla senza combustibili fossili e usarla, anzi, al posto dei combustibili fossili, altrimenti il pianeta non ha domani. Quanta elettricità generi e, ancor più, quanto sei capace di generarne sono,dunque, al posto di pozzi e trivelle, il nuovo termometro del futuro. Dopo i petrostati, è il momento degli elettrostati. Ce n’è già uno e quale? I dati non lasciano dubbi: il primo elettrostato non siamo noi europei, nonostante le medaglie ambientaliste, non sono gli Stati Uniti ed è, ovviamente, la Cina.
Elettrificazione significa guidare auto elettriche, riscaldarsi con le pompe di calore, fare l’acciaio senza il carbone negli altiforni. Tutto questo lo riscontriamo nella quota di energia finale dovuta all’elettricità. In Cina è arrivata al 30 per cento, in Europa e in America è ferma al 22 per cento. Ma la patente di buona condotta – per quanto possa essere importante il contributo della seconda economia mondiale contro l’effetto serra – conta fino ad un certo punto. Avere molti pannelli solari è una cosa. Produrre molti pannelli solari è un’altra e, negli equilibri mondiali, vale di più, come avveniva, nei petrostati, con il petrolio esportato, piuttosto che prodotto. L’elettrificazione della Cina,in altre parole, è soprattutto il rovescio della dominazione che la Cina esercita sui processi di elettrificazione e, dunque, sul percorso degli altri potenziali elettrostati.
Dominazione non è una parola scelta a caso. La Cina produce l’80 per cento dei pannelli solari fabbricati nel mondo. L’80 per cento delle batterie. Il 66 per cento delle pale eoliche. Il 60 per cento degli elettrolizzatori con cui fabbricare idrogeno. Il 40 per cento delle pompe di calore destinate a sostituire le caldaie a gas.
E’ il frutto di una politica industriale lungimirante (il caso di scuola di una economia arretrata che gioca la carta del salto tecnologico), quanto spregiudicata e censurabile: gli investimenti relativi sono stati fatti con forti indebitamenti e pratiche concorrenziali all’insegna del sottocosto. Per fare l’esempio di un settore collaterale, i telefonini cinesi occupano il 60 per cento del mercato mondiale. Ma fanno solo il 4 per cento dei profitti del settore (Apple e Samsung coprono il 94 per cento).
Il risultato finale, tuttavia, è una dominazione, alimentata fin dall’inizio dall’inerzia europea e americana, e che ora verrà esaltata dalla marcia indietro, rispetto a Biden, di Trump, intento a tagliare le gambe all’industria verde d’oltreoceano. Uscire da questa dominazione diventa ogni giorno più difficile, come dimostra quanto sta avvenendo in un settore tuttora determinante per le economie industriali: l’auto.
L’Iea, l’Agenzia per l’energia dell’Ocse (l’organizzazione che raccoglie i paesi industriali) ha celebrato in questi giorni la marcia dell’auto elettrica nel mondo. Le vendite superereranno, quest’anno, i 20 milioni di unità, tre in più dell’anno scorso e, in totale, un quarto di tutte le auto vendute. Per la prima volta, nel mondo, una nuova macchina su cinque è elettrica.
Ma le statistiche mondiali sono deformate dala spinta del fattore Cina. Qui vediamo l’elettrostato su strada: metà delle auto vendute l’anno scorso in Cina sono elettriche. Si tratta di 11 milioni di macchine, quante ne erano state vendute, in tutto il mondo, nel 2022. Negli Usa le vendite di elettriche si fermano al 10 per cento del mercato. In Europa, al 20 per cento.
Anche qui, come in generale per l’elettrificazione, il rovescio della penetrazione di mercato è nella produzione. I prezzi delle batterie (la componente pregiata delle elettriche) sono in discesa, grazie alla sovraproduzione e al sottocosto: due terzi delle auto elettriche vendute l’anno scorso in Cina hanno un prezzo più basso delle macchine equivalenti a benzina o gasolio, anche senza incentivi. Al contrario, in Germania il prezzo delle elettriche è superiore del 20 per cento e, negli Usa, del 30 per cento. Vogliamo tirare le somme? Il 70 per cento delle auto elettriche prodotte nel mondo è concentrato in Cina.
Finirà con le auto come con i giocattoli? Se, come assicurano scienziati ed esperti, il futuro dell’auto è elettrico, il futuro non può che essere cinese? In realtà, la situazione è molto più aperta e, anzi, potenzialmente esplosiva. Da una parte un’industria cinese, vincente e marciante, ma con un piede nella bancarotta. Dall’altra una industria occidentale ancora esitante, tentata dalla marcia indietro, ma con un potere di mercato quasi intatto. L’economia marcia in fretta e la partita si chiuderà ben prima del 2030. Per quell’anno, l’Iea proietta un 40 per cento dell’elettrico sul totale di auto vendute. Cinese o no? La prima pietra dell’elettrostato ha le ruote.
Maurizio Ricci