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Home - Approfondimenti - Interviste - SiderAlloys, Forresu (Fiom Sardegna): per uscire dalla crisi si deve cambiare la proprietà

SiderAlloys, Forresu (Fiom Sardegna): per uscire dalla crisi si deve cambiare la proprietà

di Emanuele Ghiani
4 Luglio 2025
in Interviste
SiderAlloys, Forresu (Fiom Sardegna): per uscire dalla crisi si deve cambiare la proprietà

Le organizzazioni sindacali dei metalmeccanici territoriali Fiom Cgil, Fsm Cisl e Uilm hanno denunciato una “situazione sempre più grave” per quanto riguarda il futuro dello stabilimento di alluminio primario di Portovesme di proprieta delle aziende SiderAlloys – GMS. Il diario del lavoro ne ha parlato con il segretario generale Fiom Cgil Sardegna, Roberto Forresu, per chiedergli ulteriori chiarimenti sulla crisi in corso. Per il sindacalista, solo un cambio di proprietà potrebbe salvare le sorti dello stabilimento, dei lavoratori e dell’intero comparto. Infatti, precisa Forresu, quella di Portovesme è l’unica e ultima produzione del nostro Paese e non averla ci mette in una posizione di totale dipendenza dal mercato estero.

 

Forresu, insieme agli altri sindacati avete denunciato i debiti accumulati con appaltatori, fornitori e istituzioni e il mancato pagamento delle retribuzioni ai lavoratori. La proprietà però si appresta in questo periodo a chiedere altre risorse al governo, è un segnale positivo per risolvere la crisi in corso?

In realtà la proprietà sta chiedendo un finanziamento, con la garanzia di una costola del governo che è la Sace (gruppo assicurativo-finanziario partecipato dal Ministero dell’Economia e delle Finanze specializzato nel sostegno alla crescita delle imprese italiane, ndr) e il problema è a chi arriveranno queste risorse. Perché ci troviamo di fronte ad un imprenditore che fa tutto tranne che far ripartire questo stabilimento. Senza dimenticare i danni ambientali che ha creato. Sono uno strenue difensore della ripartenza della fabbrica di alluminio primario e le assicuro che è un settore non in crisi. Basterebbe saper investire, soprattutto sui lavoratori.

Nel senso che ci sarebbe un mercato interessato ad acquistare l’alluminio primario?

Ma certo. Guardi, per darle una idea di contesto: in Italia non produciamo più alluminio primario dal 2012, in pratica da quando ha chiuso la produzione di questo stabilimento, quindi ad oggi non esiste un solo stabilimento di questo genere in tutta Italia. Nel frattempo la richiesta negli anni non solo non è diminuita ma è incrementata. Vuol dire che il nostro Paese dipende totalmente dal mercato estero e pensi che la produzione di Portovesme soddisfaceva appena il 15 per cento del fabbisogno nazionale. Parlo sempre di alluminio primario, qualcosa abbiamo ancora per quanto riguarda l’alluminio da rifusione.

Basterebbe quindi pagare i lavoratori e debiti, riavviare lo stabilimento e vendere in un mercato che certamente compra. Sembra ci siano tutti gli elementi per una ripartenza, allora quale tassello manca?

Ci vorrebbe un piano industriale serio, da sottoporre poi all’attenzione di tutti, governo e parti sociali. Però prima ancora servono persone affidabili. Perché si possono anche avere tutti i tasselli necessari ma capisce che serve comunque l’abilità di riuscire a organizzarli per ricostruire il puzzle.

La proprietà quindi non ha presentato piani industriali?

No, anzi ne ha presentati tanti: nel 2020, nel 2021, e così tutti gli anni ma ogni volta lo stravolgeva, cambiava le carte in tavola, all’inizio sembrava che volesse assumere chissà quanti lavoratori e ora ne abbiamo a malapena 60 in attività e altri 330 lavoratori in mobilità, in attesa della ripartenza dello stabilimento. Insomma è una proprietà inaffidabile, lo stabilimento con loro non potrà mai partire, aldilà di quante altre risorse economiche riesca a ottenere dal governo.

Quindi la prospettiva migliore per l’attività sarebbe in buona sostanza cambiare proprietà?

Quasi, nel senso che bisognerebbe rispettare un ordine cronologico. Prima il governo dovrebbe valutare per bene gli eventuali compratori che in questo periodo si sono recati a visitare lo stabilimento e dopo aiutarli per facilitare la cessione. Quindi sì, di sicuro non può rimanere in mano alla SiderAlloys. Questo è quello che pensiamo noi come organizzazioni sindacali, sia chiaro. Poi le altre valutazioni le farà il governo.

Ma il Governo potrebbe fare quello che vi augurate faccia? Perché se la proprietà non vuole vendere apparirebbe forse come una ingerenza non crede?

Non proprio, perché il Governo ha validi motivi su cui poggiarsi. In questi ultimi sette anni SiderAlloys ha preso 170 milioni di euro di finanziamento, di cui 28 a fondo perduto, e non ha fatto niente per lo stabilimento a parte danni ambientali che hanno non solo inquinato, creando di fatto una discarica abusiva, ma hanno anche portato a subire l’imposizione dei sigilli a molti reparti. Le produzioni per quanto riguarda l’area della sala elettrolisi sono abbondantemente ferme per non dire smantellate. Davanti a tutto questo scempio, tutto certificato, senza riuscire a presentare un piano industriale serio, il governo dovrebbe pensarci almeno otto volte prima di dare altri soldi a questa proprietà.

Quindi dice che è fattibile chiedere che se ne vadano perché hanno utilizzato male le risorse che negli anni lo Stato ha erogato.

Si, ci sono le condizioni per metterli alla porta e dire: guardate, fate il favore, adesso o cedete lo stabilimento oppure si mette subito in produzione, quindi fate i lavori che dovevate fare e si finisce qui con i prestiti.

Serve un compratore insomma per riuscire a cambiare le sorti dello stabilimento, ma ci sono persone interessate?

Si, l’ultimo ha visitato lo stabilimento un paio di settimane fa, era una societa greca. Ora stiamo sperando, ci stiamo augurando che presentino la relazione su quello che hanno potuto vedere e poi tireremo le somme. Puntiamo di essere convocati al Mimit nel più breve tempo possibile poi vediamo.

C’è speranza quindi, ma questi ultimi visitatori hanno dato uno sguardo sommario oppure vedevate che erano realmente interessati all’acquisto?

No no, guardi non hanno guardato e basta, lo stabilimento lo hanno vivisezionato, con il chiaro intento di capire se questo sito si può far ripartire. Posso dirle che abbiamo sentito delle voci che ci hanno rincuorato, in pratica sembra che alcuni visitatori abbiano valutato positivamente lo stabilimento. Certo, logicamente ci sarà da metterci altri soldi sopra e ci sarà da lavorare. L’unica cosa certa che sappiamo al momento, per quanto ci riguarda come sindacato, è che il futuro non può essere con SiderAlloys.

Il Governo ha dato soldi “all’acqua di rose” oppure erano vincolati a precisi obiettivi per la ripartenza del sito?

Erano vincolati, ma come spesso e volentieri capita i vincoli si perdono lungo la strada. Il Governo aveva e tutt’ora ha ancora la possibilità di dire che la gestione non è stata all’altezza delle aspettative, perché in realtà il 20% della proprietà è rimasto in mano a Invitalia. Questo significa che avrebbe dovuto controllare la gestione di SiderAlloys e fare in modo che si producesse a regola d’arte. Invece non ha né controllato né ha garantito possibili ripartenze.

Ma Invitalia ha ancora il 20%? Quindi qualcosa potrebbe ancora fare per scongiurare la crisi

Si certo, ma siamo arrivati ormai troppo vicini allo scadere dei tempi. Invitalia ha dei vincoli legali e dovrà uscire nel più breve tempo possibile dalla proprietà dello stabilimento. Inoltre, a dirla tutta, diventa anche complicato per Invitalia arrivare a svegliarsi adesso e decidere di togliere lo stabilimento dalle mani di SiderAlloys, perché se fino a ieri non ha controllato ed è pure in parte proprietaria significa che è anche corresponsabile di questa situazione.

Un futuro incerto insomma, ma la partita non è ancora chiusa

Non saprei dirle come andrà a finire, ma se il passato insegna qualcosa posso prevedere cosa succederà se ricevono altri finanziamenti senza che cambi la proprietà: continueranno a fare quello che hanno fatto fino ad oggi, prenderanno altro tempo e ci ritroveremo ancora punto e a capo.

Emanuele Ghiani

Emanuele Ghiani

Emanuele Ghiani

Redattore de Il diario del lavoro.

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