Il 12 ottobre è partita una campagna promossa dal primo ministro inglese, David Cameron per il mantenimento del Regno Unito nell’Unione Europa. La campagna “Britain stronger in Europe” si contrappone alle campagne che nel paese sostengono invece la Brexit, come “Vote Leave” e “Leave.EU”.
Il maggiore sostenitore del governo inglese, per scongiurare l’uscita del Regno Unito dall’Europa, è proprio il governo Renzi con cui, da alcuni mesi, si è innescato un fitto dialogo che è approdato alla lettera conginuta prubblicata il 15 dicembre su Repubblica e Telegraph, del ministro degli esteri italiano, Paolo Gentiloni e quello inglese, Philip Hammond.
Il governo Renzi come quello inglese concordano sull’esigenza di riformare profondamente l’Unione Europea, semplificandone funzionamento, procedure e regolamenti. Per ottenere questo, Cameron vorrebbe vincere la battaglia attorno al concetto di “ever closer union”, che è al centro del negoziato in corso tra Regno Unito e l’Ue. Ovvero, come prevede in Trattato di Libona, favorire una maggiore integrazione europea e una maggiore garanzia di non discriminazione ai paesi fuori dall’Eurozona. In pratica, la Gran Bretegna, anche se fuori dall’Euro, richiede una maggiore integrazione. Mentre dal canto suo, Il governo italiano vorrebbe scongiurare la Brexit perché da un lato questa, secondo il premier, Matteo Renzi può favorire ipotesi come quelle sostenute da Marine Le Pen; dall’altro, l’alleanza con il Regno Unito, può aiutare l’Italia nella battaglia in Europa contro il monopolio franco-tedesco riguardo tematiche come il trattato transatlantico (Ttip) e l’apertura al digitale.
La lettera conginuta appersa martedì di Gentiloni e Hammond ha lo scopo di sostenere, durante il Consiglio Europeo, in corso oggi e domani a Bruxelles, le richieste del Regno Unito all’Unione Europea. In particolare, la lettera auspica un Europa “flessibile e riformata in cui differenti percorsi di integrazione possano coesistere con successo, rendendo l’Unione pronta ad affrontare il futuro.”
Ma il mondo del sindacalismo europeo rappresentato dalla Confederazione europea dei sindacati (Ces), il sindacato britannico Tuc e i sindacati italiani Cgil, Cisl e Uil “condannano le implicazioni sociali della proposta per un’Europa a due velocità”.
“I sindacati – si legge in una nosta congiunta – temono che prevedere differenti velocità di integrazione nel campo sociale e dell’occupazione comporta il rischio di lasciare indietro i lavoratori inglesi. Il timore è fondato anche alla luce del programma di lavoro della Commissione europea per il 2016 che confina il concetto di ‘pilastro sociale’, peraltro non ancora definito, alla sola Unione economica e monetaria ed al suo completamento”.
“I sindacati – aggiunge la nota – sottolineano la necessità di dotare la EMU di mezzi necessari per far fronte agli shock economici e alle sue debolezze strutturali nonché assicurare che gli sviluppi sociali non debbano essere confinati alla sola Unione economica e monetaria. I lavoratori inglesi non possono e non devono essere trattati come cittadini di serie B. A tutti i lavoratori devono essere garantite le stesse possibilità di migliorare le condizioni di lavoro e di vita, qualunque sia il luogo in cui essi vivano nella UE, e di essere coinvolti nella definizione del ‘pilastro sociale’ della UE” .
“I sindacati chiedono ai governi riuniti oggi e domani a Bruxelles per il Consiglio europeo – concludono Ces, Tuc, Cgil, Cisl e Uil – di respingere l’idea che la UE sia ridotta ad un’area di libero mercato per alcuni, di più ampia integrazione per altri, e di piccola o assente dimensione sociale per tutti. Non ci può essere un mercato unico senza un’Europa sociale. Il fallimento nel riconoscere tutto ciò comporta il rischio di alienare ulteriormente gli elettori inglesi e di altri Paesi.”