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Spettacolo, un “non settore” cui è destinato lo 0,025% del Pil: i dati dell’indagine Slc-Cgil e Fondazione Di Vittorio

di Elettra Raffaela Melucci
19 Maggio 2025
in La nota
Spettacolo, Landini: indennità di discontinuità è una misura insufficiente e restrittiva

LAVORATORE LAVORATORI DELLO SPETTACOLO E DELLA CULTURA TECNICO TECNICI SPECIALIZZATO SPECIALIZZATI LAVORO BAULE BAULI

Le condizioni di lavoro nel settore del cine-audiovisivo e dello spettacolo dal vivo sono state oggetto di un’indagine promossa da Slc-Cgil insieme a Fondazione Giuseppe Di Vittorio, presentata lo scorso 16 maggio a Roma presso il Centro Congressi Frentani e frutto di elaborazioni da dati Istat, Osservatorio Ex Enpals e MiC.  Un tema (ri)salito agli onori della cronaca anche per via della battaglia in corso sulla riforma del Tax Credit, ma che per le sue criticità investe ad ampio spettro tutto il comparto.

Il cine-audiovisivo e lo spettacolo dal vivo sono due settori costituzionalmente tutelati, volano di crescita economica e sociale, che tuttavia sembrano attraversare una crisi sempre più profonda. Se è chiaro che il nostro patrimonio culturale e artistico è unico al mondo, animato da professionisti e talenti di grande levatura, lo è altrettanto che gli investimenti sono carenti e discontinui, mettendo a rischio le competenze di chi lavora e la qualità dell’offerta. Secondo l’indagine, infatti, dal 1985 al 2023 la spesa dei contributi statali diretti allo spettacolo in rapporto al Pil ha continuato a scendere fino ad arrivare allo 0,025% del 2023 – risultato, questo della somma dei fondi del Fondo Unico Spettacolo (FUS) e dei contributi diretti del Cine-audiovisivo.

Da un punto di vista statistico, la composizione spettacolo è difficilmente ricostruibile, per cui nel rapporto si azzarda a definirlo un “non settore”. Questo perché è caratterizzato da forte discontinuità, più committenti (multiple job holding), diffusione del lavoro precario, non retribuito e in nero, dispersione contrattuale ed eterogeneità sia dal lato della domanda che dell’offerta. Mancanza unità e forte frammentarietà, quindi, fa venire meno il presupposto di una rappresentanza che sia strutturale, laddove “presentarsi in ordine sparso è un elemento di debolezza”.

Tuttavia, elaborando i dati Istat della Rilevazione trimestrale della forza lavoro (2023), il rapporto quantifica una platea di 141.471 lavoratori e lavoratrici che sono soltanto una parte del mondo che gravita intorno al settore, quella che svolge questo lavoro in modo più o meno abituale pur con forte discontinuità (di cui 42.860 nell’audiovisivo e 57.822 nello spettacolo dal vivo). Una sottostima che viene compensata dalla sovrastima dell’Osservatorio INPS ex Enpals: in questo caso conta chi lavora nel settore anche con una sola contribuzione in un anno. Escludendo le professioni dello sport, si arriva nel 2023 a oltre 327.542 nello spettacolo. Di questi, però, una larga parte può fare questo lavoro soltanto in modo occasionale. A essere penalizzati sono i più giovani: sotto i 35 anni solo il 9% ha un contratto a tempo indeterminato e le paghe medie annue sono inferiori alla media di 11mila euro lordi. Complessivamente gli occupati per contratto sono così distribuiti: 20% stagionale, 20% tempo indeterminato, 60% tempo determinato; il lavoro dipendente è al 78%, mentre gli autonomi sono il 22% della forza lavoro (tra le categorie professionali con più lavoro autonomo si trovano, tra gli altri, direttori e mastri d’orchestra, concertisti e orchestrali, direttori di scena e doppiaggio, registi e sceneggiatori, truccatori e parrucchieri).

Pesano anche le differenze territoriali che penalizzano il Sud del Paese: nel Mezzogiorno, infatti, si trova solo il 20% degli occupati dello spettacolo a fronte del 46% del Nord e del 34% del Centro, con forti concentrazioni tra Lazio e Lombardia [nel Live: Lombardia (16,7%), Lazio (15%). Nel cine-audiovisivo: Lombardia (32,4%), Lazio (36,2%)]. Tra il 2015 e il 2023, in proporzione il Sud aumenta più delle altre aree, ma non abbastanza da colmare il divario che resta importante e la percentuale inferiore al 20% (il Sud passa dal 16,7 % nel 2015 al 17,8% nel 2023). La sperequazione tra le due Italie si riscontra anche nelle retribuzioni: a fronte di una retribuzione annua media lorda annua per il 2023 di 11mila euro, al Sud il dato si attesta a 7.920 euro; mentre la retribuzione giornaliera, in media di 130 euro, al sud si ferma a 85 euro.

Forte anche il gender gap. Le donne sono il 36% della forza lavoro attiva nel settore e guadagnano guadagnano il 21% in meno. La retribuzione media 2023 vede gli uomini guadagnare 12.124 euro, le donne 9.567 euro. Le percentuali più alte si riscontrano tra registi e sceneggiatori (38%), direttori e maestri d’orchestra (43%), operatori e maestranze A (35%), canto (50%), operatori e maestranze B (49%), attori (35%), ballo, figurazione e moda (36%)

Molti altri dati, sulla condizione di lavoro, le retribuzioni, la discontinuità del lavoro, i tempi non riconosciuti per la preparazione e lo studio, la mancanza di tutele, la difficoltà di programmare il futuro, i ritmi e gli orari nei periodi di lavoro, le condizioni di salute e sicurezza, le molestie, il rispetto dei contratti nazionali, l’impatto della crisi del Covid e, in futuro, dell’Intelligenza artificiale sul settore e molto altro saranno il risultato dell’analisi del questionario, la cui diffusione tra i lavoratori e le lavoratrici del settore parte con oggi.

Elettra Raffaela Melucci

Elettra Raffaela Melucci

Elettra Raffaela Melucci

Redattrice de Il diario del lavoro

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