Ma quindi, ci si chiede, dopo il susseguirsi di annunci di riconoscimento degli ultimi giorni è nato davvero questo Stato di Palestina? In realtà la risposta è no. O perlomeno, non ancora.
Per approfondire bisogna necessariamente fare prima un passo indietro e tornare sul piano prettamente giuridico del diritto internazionale. Il riconoscimento è quell’atto con cui un soggetto riconosce in modo del tutto unilaterale l’esistenza di una certa situazione o di un certo stato delle cose. Ovviamente può essere compiuto anche dall’insieme di più soggetti ma resterà comunque un atto a senso unico.
Tra i casi più frequenti, per l’appunto, c’è il riconoscimento di uno Stato, che però per essere considerato tale dovrebbe comunque rispondere ai requisiti individuati nel 1933 dalla Convenzione di Montevideo sui diritti e doveri degli Stati.
I requisiti sono quattro e sono elencati nel primo articolo di questo testo sacro del diritto internazionale: una popolazione permanente (a) che quindi abita in maniera sufficientemente stabile in un territorio definito (b), dotata di un proprio governo (c) a sua volta capace di stabilire relazioni diplomatiche con altri Stati (d).
Nel caso palestinese questi requisiti sono evidentemente soddisfatti solo in parte: c’è senz’altro una popolazione con una forte identità e che cerca faticosamente di esistere (a) e di farlo su un territorio a cui tuttavia ancora oggi non si vogliono riconoscere confini certi e definiti (b). A questo si somma un’autorità di governo spacchettata (c) in più realtà, diverse tra Gaza e Cisgiordania, e il fatto di disporre di uno status di Osservatore non membro presso le Nazioni Unite (d). Quest’ultimo punto peraltro non avrebbe potuto essere altrimenti, perché bisogna innanzi tutto essere uno Stato per poter diventare membro dell’ONU. Certo, l’articolo 4 dello Statuto prevede che possano essere membri tutti gli Stati “amanti della pace che accettino gli obblighi del presente Statuto e che, a giudizio dell’Organizzazione, siano capaci di adempiere tali obblighi e siano disposti a farlo”. Possiamo quindi dire in passato qualche deroga è stata evidentemente già applicata.
Ma, tornando al principio, non è comunque per la mancanza di requisiti che lo Stato palestinese non è ancora nato. Il motivo è se possibile ancora più formale e cioè che il riconoscimento in sé, proprio per la sua natura unilaterale, non può produrre alcun effetto costitutivo e di fatto non dà al riconosciuto alcuna personalità giuridica.
Quindi è tutto inutile? Anche in questo caso la risposta è no. O perlomeno non ancora. La scelta di riconoscere espressamente la Palestina – non ricorrendo quindi a un tacito riconoscimento, cosa possibile, bensì annunciandolo a gran voce – riveste un grande valore simbolico e politico. Serve in primis a marcare la volontà di molti Stati di intraprendere un percorso che potrebbe forse finalmente portare a un cambio di rotta, fosse anche solo nelle relazioni diplomatiche grazie all’inaugurazione delle nuove ambasciate palestinesi.
Non volendo sembrare esageratamente ingenui, è chiaro che serve sicuramente anche un po’ ai singoli governi come risposta alle loro popolazioni che mai come in questi giorni continuano a riversarsi nelle piazze chiedendo di smettere di girarsi dall’altra parte. E poi, soprattutto, serve anche a non lasciare più sola QUELLA popolazione, quella che esiste e finalmente viene riconosciuto. Non solo che esiste per davvero ma anche e soprattutto che lo fa in un territorio che le appartiene e che, a quel punto si, che avrebbe finalmente dei confini certi dai quali non si potrebbe più attingere liberamente senza ripercussioni.
Quanto fatto fin qui possiamo quindi ritenerlo sufficiente? La risposta è sempre la stessa. No. O perlomeno non ancora.
Marianna Fazzolari

























